Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19361 del 20/07/2018


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 19361 Anno 2018
Presidente: CHINDEMI DOMENICO
Relatore: DELLI PRISCOLI LORENZO

SENTENZA

sul ricorso 12921-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente 2018
700

contro

UGF ASSICURAZIONI SPA SOCIO UNICO in persona del
Procuratore, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA
MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato GIOVAN
CANDIDO DI GIOIA, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato PAOLO CAPE giusta delega in

Data pubblicazione: 20/07/2018

calce;
ORIZZONTI COOP. EDILIZIA SRL IN LIQUIDAZIONE in
persona del liquidatore e legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA V.LE REGINA
MARGHERITA 262, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

all’avvocato GIOVANNI NARDINI giusta delega a margine;
– controricorrenti

avverso

la

sentenza

COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST.

di

n.
FOGGIA,

125/2010

della

depositata

il

26/03/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/05/2018 dal Consigliere Dott. LORENZO
DELLI PRISCOLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato GALLUZZO che si
riporta e chiede l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato CAPE’ che si
riporta agli atti.

MARSICO, che lo rappresenta e difende unitamente

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FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate di San Severo (Foggia) notificava alla “Orizzonti
soc. coop. Edilizia a r.l.” di Torremaggiore avvisi di accertamento ai fini
IVA, riferiti agli anni 2003 e 2004, con i quali chiedeva la restituzione di
euro 55.829 ed euro 35.818 rispettivamente per gli anni 2003 e 2004,
importi scaturenti da due rimborsi richiesti ed ottenuti per fatture ricevute
dalle imprese appaltatrici che avevano realizzato il complesso edilizio di

La suddetta Cooperativa, nonché la compagnia di assicurazioni Aurora
(che aveva rilasciato le polizze fideiussorie al momento della
corresponsione dei rimborsi), presentavano distinti ricorsi con cui
contrastavano l’operato dell’Agenzia, in quanto ritenevano corretto
l’assoggettamento ad IVA con aliquota al 20% in relazione alle fatture
ricevute dalle imprese che avevano realizzato il complesso edilizio di
proprietà della cooperativa perché tali costruzioni, al momento della
stipula del contratto di appalto ed anche successivamente, non avevano le
caratteristiche per essere assoggettate ad IVA con aliquota agevolata al
4%.
La Commissione Tributaria Provinciale di Foggia, riuniti i ricorsi, li
rigettava; contro tale sentenza proponevano distinti appelli sia la
Cooperativa che la società Aurora.
La Commissione Tributaria Regionale della Puglia, con sentenza n.
125/25/2010 del 26 marzo 2010, accoglieva l’appello dei contribuenti.
Riferisce la sentenza impugnata che nella certificazione rilasciata dal
Comune alla cooperativa edilizia, la complessiva cubatura doveva essere
destinata per il 31,3% a civile residenza e per il rimanente 68,7% ad
attività commerciali e direzionali. In conseguenza di tale prevalenza di
edilizia destinata ad uffici, il Comune rilasciava un’attestazione secondo la
quale tali costruzioni non potevano usufruire dell’IVA ad aliquota

Ric. n. rg. 12921 del 2011 – Udienza del 3 maggio 2018

proprietà della Cooperativa.

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agevolata al 4% di cui,all’art. 13 della legge n. 408 del 2 luglio 1949 (cd.
legge Tupini).
La Cooperativa concedeva in appalto la costruzione del complesso
immobiliare e tali imprese emettevano, dal 2003 in poi, fatture che,
coerentemente con quanto detto poc’anzi, recavano VIVA con un’aliquota
al 20%.
Durante i lavori però parte degli immobili venivano destinati non ad

superavano il 50% della cubatura totale, onde per cui, a seguito delle
sanatorie concesse dal Comune, gli immobili così realizzati rispondevano ai
requisiti per usufruire delle agevolazioni della legge Tupini, cosicché al
momento dell’assegnazione degli alloggi in favore dei soci la Cooperativa
applicava VIVA con aliquota al 4%.
Secondo l’Agenzia d’elle entrate quest’ultima aliquota avrebbe dovuto
essere applicata anche dalle imprese appaltatrici, mentre la sentenza
impugnata ritiene corretta l’aliquota del 20% effettivamente applicata
dalle suddette imprese appaltatrici in quanto al momento della loro
emissione l’agevolazione non spettava se non altro perché, secondo l’art.
49 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in caso di abusi edilizi non spettano
le agevolazioni fiscali; parimenti corretta è stata la successiva applicazione
dell’aliquota al 4% perché avvenuta dopo la sanatoria da parte del
Comune e l’art. 50 del citato d.P.R. n. 380 del 2001 prevede proprio la
possibilità di usufruire dell’agevolazione in ipotesi di sanatoria.
In ogni caso, secondo la Commissione Tributaria Regionale, poiché
trattavasi di “prima casa”, l’agevolazione spettava comunque, a
prescindere cioè dalla presenza di fabbricati aventi le caratteristiche di cui
alla legge Tupini.
Infine, sempre secondo la sentenza impugnata, l’aliquota agevolata può
essere applicata dalle imprese appaltatrici solo se vi sia espressa richiesta
del committente, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.

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uffici e ad attività immobiliari ma ad abitazioni, così che quest’ultime

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Avverso detta sentenza, l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso
affidato a cinque motivi; si costituivano, con distinti controricorsi, sia la
società Cooperativa che la società assicurativa, chiedendo che il ricorso sia
dichiarato inammissibile o comunque infondato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc.
civ., comma 1, n. 5, l’Agenzia delle entrate deduce insufficiente

afferma che le imprese appaltatrici erano consapevoli della preponderanza
di edifici adibiti ad uffici anziché ad abitazioni, mentre sarebbe dimostrata
la sussistenza di comportamenti gravi e ripetuti diretti a far emergere un
consistente credito IVA,da chiedere a rimborso.
Ritiene il Collegio che l’accoglimento di questo motivo presupporrebbe
una diversa valutazione rispetto al giudice di merito circa la sussistenza
dei comportamenti diretti a far emergere un consistente credito IVA da
chiedere a rimborso.
Con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod.
proc. civ., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 49 e 50, comma 4, del d.P.R. 6 giugno 2001, n.
380 e dell’art. 16, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, in quanto l’art. 50
cit. prevede, al comma 4, che il rilascio del permesso in sanatoria produce
automaticamente la cessazione degli effetti dei provvedimenti di revoca o
di decadenza previsti dall’art. 49 cit.
Ritiene il Collegio che l’accoglimento di questo motivo presupporrebbe
una diversa valutazione rispetto al giudice di merito circa il momento del
rilascio delle fatture da parte delle imprese appaltatrici rispetto a quello
del rilascio della sanatoria ed una valutazione relativa al se la sanatoria sia
stata ottenuta sull’intero fabbricato o su alcune singole unità immobiliari.
Occorrerebbe infine indagare sul se la sanatoria abbia in fatto avuto
l’effetto di permettere ai soci assegnatari di invocare l’agevolazione o di

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motivazione su un fatto controverso e decisivo in quanto da un lato si

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rendere applicabile retroattivamente l’aliquota al 4°/0 sulle fatture emesse
dalle imprese appaltatrici.
Con il terzo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc.
civ., comma 1, n. 5, l’Agenzia delle entrate deduce insufficiente
motivazione su un fatto decisivo della controversia relativo all’indebita
detrazione dell’IVA al 20% su fatture di prestazione di appalto di
costruzione di fabbricato aventi le caratteristiche di cui all’art. 13 della

delle imprese appaltatrici, in quanto l’Ufficio avrebbe espressamente
dimostrato il mancato versamento dell’IVA da parte della Cooperativa.
Ritiene il Collegio che l’accoglimento di questo motivo presupporrebbe
una diversa valutazione rispetto al giudice di merito circa la prova del
mancato versamento dell’IVA da parte della Cooperativa.
Con il quarto motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod.
proc. civ., comma 1, n. 5, l’Agenzia delle entrate deduce insufficiente
motivazione su un fatto decisivo della controversia relativo all’indebita
detrazione dell’IVA al 20% su fatture di prestazione di appalto di
costruzione di fabbricato aventi le caratteristiche di cui all’art. 13 della
legge n. 408 del 1949 affermando che in assenza di una richiesta della
Cooperativa le imprese appaltatrici non potevano sapere se sussistevano i
presupposti per applicare un’aliquota agevolata, sementendo le prove
dell’Ufficio secondo le quali tali imprese avevano rappresentato la
possibilità di usufruire di un’aliquota al 4%.
Ritiene il Collegio che l’accoglimento di questo motivo
presupporrebbe una diversa valutazione rispetto al giudice di merito circa
la valutazione delle prove offerte dall’Ufficio sul se le imprese appaltatrici
avessero o meno rappresentato alla Cooperativa la possibilità di usufruire
di un’aliquota al 4%.
Con il quinto motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod.
proc. civ., comma 1, n. 5, l’Agenzia delle entrate deduce insufficiente

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legge n. 408 del 1949, e in particolare il versamento dell’IVA da parte

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motivazione su un fatto decisivo della controversia nonché violazione
dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1,
n. 3 in quanto la sentenza impugnata non ha motivato sull’eccezione da
parte dell’Ufficio circa l’elusività del comportamento tenuto dalla
Cooperativa che ha volutamente ridotto la percentuale degli immobili
adibiti ad uffici.
Ritiene il Collegio che l’accoglimento di questo motivo presupporrebbe

delle prove offerte dall’Ufficio circa l’elusività del comportamento tenuto
dalla Cooperativa che avrebbe volutamente ridotto la percentuale degli
immobili adibiti ad uffici.
I motivi, che per la loro stretta connessione possono essere affrontati
congiuntamente, sono dunque inammissibili o comunque infondati.
Infatti, come osservato per ogni singola doglianza, i motivi di ricorso
contengono o questioni di fatto o questioni giuridiche che implicano
accertamenti di fatto, ed è stato affermato da questa Corte: che con il
ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione,
proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle
risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici
del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da
questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n.
29404); che in tema ‘di valutazione delle prove, il principio del libero
convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.,
opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in
sede di legittimità (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940); che, in tema di
ricorso per cassazione, il ricorrente che proponga una determinata
questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – ha l’onere, al fine
di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non
solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione o di una determinata
circostanza dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di

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una diverso giudizio rispetto alla sentenza di merito circa la valutazione

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autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del
giudizio precedente lo abbia fatto ed in quale sede e modo la circostanza
(ad esempio, nel caso di specie, senza poter esaminare la proposta
concordataria e la sentenza di omologazione del concordato fallimentare
non si è in grado di verificare se il terzo assuntore si fosse impegnato a
pagare tutte le spese della procedura) sia stata provata o ritenuta pacifica,
onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale

novembre 2017, n. 27568; Cass. 12 ottobre 2017, n. 24062); del resto
nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di
diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed
accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, nemmeno se si
tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. 25 ottobre 2017, n. 25319).
Peraltro, il ricorrente il quale, in sede di legittimità, denunci il difetto di
motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla
valutazione di esso, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze
oggetto della prova, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di
consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle
prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per
cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla
base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito
sopperire con indagini integrative (Cass. 10 agosto 2017, n. 19985);
ancora, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione,
sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., nel giudizio tributario, qualora il
ricorrente censuri la sentenza di una Commissione Tributaria Regionale
sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della
motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti
testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono
erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica

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asserzione, prima di esaminare nel merito la questione (Cass. 21

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della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Cass. 16
giugno 2017, n. 16147; Cass. 16 febbraio 2018, n. 3830).
Deve altresì aggiungersi che il ricorrente lamenta la violazione di una
serie di norme di cui non si fa menzione nella sentenza impugnata, ed è
inammissibile la doglianza mediante la quale gli argomenti addotti dal
ricorrente, per difetto, come nel caso di specie, di chiarezza e specificità,
non consentano di individuare le norme e i principi di diritto asseritamente

20 settembre 2017, n. 21819), dato che il vizio della sentenza previsto
dall’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., dev’essere dedotto, a pena
d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod.
proc. civ., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate
ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili
ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo
determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata
debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della
fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza
di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere
al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata
violazione. Risulta, quindi, formulata in maniera non idonea la deduzione
di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione
delle singole norme ché si assumono violate, ma non dimostrati per mezzo
di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le
questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche
e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le
diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera
contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione
della sentenza impugnata (Cass. 29 novembre 2016, n. 24298).
Peraltro, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di
un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della

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trasgrediti, precludendo la delimitazione delle questioni sollevate (Cass.

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fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica
necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di
un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze
di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce
alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di
legittimità (Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155), ed è inammissibile il ricorso
per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di

giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del
giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito
(Cass. 4 aprile 2017, n. 8758). A tal proposito ha affermato la Cassazione
in tema di accertamento dei fatti storici allegati dalle parti, che i vizi
deducibili con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.
5 (e tanto meno attraverso denuncia del n. 3) cod. proc. civ., non possono
riguardare apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una
delle parti, poiché, a norma dell’art. 116 cod. proc. civ., rientra nel potere
discrezionale – come tale insindacabile – del giudice di merito individuare
le fonti del proprio convincimento, apprezzare le prove, controllarne
l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie,
quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Tale operazione,
che suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, non è
consentita davanti alla Cassazione (Cass. 18 gennaio 2018, n. 1118; Cass.
27 luglio 2017, n. 18665).
Occorre altresì considerare che il controllo della motivazione in fatto ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nel testo previgente
rispetto alla novella di cui all’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito con
modificazioni in legge n. 134 del 2012, si compendia nel verificare che il
discorso giustificativo svolto dal giudice di merito presenti i requisiti
minimi dell’argomentazione (fatto probatorio – massima di esperienza fatto accertato), mentre non è consentito alla Corte sostituire la massima

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norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal

di esperienza utilizzata con altra diversa o confrontare la sentenza
impugnata con le risultanze istruttorie, al fine di prendere in
considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli
assunti a fondamento della decisione impugnata (Cass. 20 febbraio 2018,
n. 4070). Pertanto, e in considerazione del fatto che la sentenza
impugnata è sorretta da adeguata e razionale motivazione, anche i motivi
di impugnazione basati sulla denuncia di un vizio di motivazione sono

In effetti, la sentenza impugnata, con motivazione sintetica ma
chiara, ha svolto un ragionamento in fatto ragionevole che ha condotto i
Giudici ad accogliere l’appello della società contribuente sulla base di
valutazioni di merito relative al versamento da parte delle imprese
appaltatrici dell’IVA con un’aliquota al 20% in quanto in quel momento la
costruzione di immobili adibiti ad ufficio era preponderante rispetto a
quelli adibiti ad abitazioni, mentre il successivo pagamento con IVA con
aliquota al 4% è dipeso da un diverso rapporto quantitativo anch’esso
oggetto di una valutazione in fatto – tra immobili adibiti ad uffici e
immobili adibiti ad abitazioni.
Pertanto, il ricorso dell’Agenzia delle entrate va respinto e la
condanna alle spese segue la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso dell’Agenzia delle entrate e la condanna al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.200
a favore della società assicurativa Aurora e in euro 5.600 a favore della
società cooperativa Orizzonti soc. coop. Edilizia a r.I., oltre a rimborso
forfettario nella misura’del 15% e ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 3 maggio 2018.

inammissibili.

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