Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19357 del 17/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/09/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 17/09/2020), n.19357

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9354-2015 proposto da:

B.G., IMMOBILIARE G., ITALICA SRL,

C.V., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FRANCESCO DE SANCTIS 4,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE TENCHINI, che li rappresenta

e difende unitamente agli avvocati FABIO FRANCO, GIUSEPPE FERRARA;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1834/2014 della COMM.TRIB.REG. di FIRENZE,

depositata il 29/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/01/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

B.G. alienava in data 24 ottobre 2007, per il corrispettivo di Euro 1650.000,00, ad Italica S.r.l. e ad Immobiliare G. s.r.l. un immobile ad uso commerciale, sito nel Comune di (OMISSIS). Il valore indicato in atto veniva rettificato dall’Agenzia delle entrate con avviso di rettifica e liquidazione n. (OMISSIS) in Euro 2.016.000,00, cui conseguiva una maggiore imposta di registro, ipotecaria e catastale, per un totale di Euro 38.614,00. I contribuenti impugnavano l’atto impositivo, lamentando carenza di motivazione e asserendo la congruità del valore imponibile dichiarato e, quindi, il mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’Ufficio, con conseguente illegittimità delle pretese avanzate, per violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52. La Commissione Tributaria Provinciale di Firenze accoglieva il ricorso, con sentenza n. 151/20/12. La pronuncia veniva appellata dall’Ufficio innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Toscana che, con sentenza n. 1834/13/2014, accoglieva il gravame, ritenendo che i contribuenti non avevano fornito alcuna concreta prova idonea a contrastare le valutazioni dell’Agenzia del Territorio. Italica s.r.l., Immobiliare G. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore C.V., C.V. in proprio e B.G., ricorrono per la cassazione della sentenza, svolgendo LiguattrQ1 motivi.

L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo si denuncia nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), in quanto nelle memorie depositate in appello i contribuenti avevano riproposto, in via preliminare, l’eccezione di illegittimità dell’avviso di rettifica oggetto di causa, per violazione dell’obbligo di motivazione ai sensi del disposto della L. n. 212 del 2000, art. 7 e D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 2 bis, ed al par. 4 delle deduzioni in appello le società comparenti avevano ribadito l’illegittimità dell’avviso per carenza di motivazione. Su tali eccezioni preliminari la Commissione Tributaria Regionale avrebbe omesso di pronunciarsi. I ricorrenti concludono chiedendo a questa Corte, in accoglimento del motivo di ricorso, di enunciare il seguente principio di diritto: “Atteso che gli odierni ricorrenti, in via preliminare, avevano riproposto in appello, sotto vari versanti, l’eccezione di illegittimità dell’avviso di rettifica, per violazione dei principi in tema di obbligo di motivazione, la Commissione Regionale, in ossequio all’art. 112 c.p.c., avrebbe dovuto pronunciare sul punto. L’omessa statuizione su tale preliminare eccezione determina, dunque, la nullità della sentenza, per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato”.

2.Con il secondo motivo si denuncia, in subordine, erroneità della sentenza impugnata, per violazione del combinato disposto del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 53, comma 2 bis e artt. 51 e 52 nonchè della L. n. 212 del 2000, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che, nell’ipotesi in cui si dovesse respingere il suddetto motivo di ricorso, la sentenza impugnata sarebbe comunque incorsa nella violazione dei principi in tema di obbligo di motivazione dell’avviso di rettifica ai fini delle imposte indirette sui trasferimenti, in quanto non risulta essere stato allegato l’atto di trasferimento assunto a termine di comparazione ai fini della rettifica di valore oggetto del contendere, in quanto si richiama solo il nome del Notaio rogante, si indica l’ubicazione dell’immobile trasferito e i relativi dati catastali. La perizia allegata all’atto impositivo giustificherebbe la determinazione del valore dell’immobile, assumendo a comparazione un atto di compravendita relativo ad un cespite asseritamente similare e determinando forfetariamente il valore del bene per cui è causa, nè tale atto di compravendita sarebbe stato allegato neppure nel corso del giudizio. Pertanto, atteso che l’Agenzia delle entrate, mediante il rinvio per relationem al contenuto della perizia dell’Agenzia del territorio, avrebbe omesso di indicare, nella motivazione dell’avviso di rettifica, i plurimi atti di trasferimento richiesti dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51 nonchè ogni altro elemento di valutazione necessario ai fini della rettifica di valore, la Commissione Tributaria Regionale avrebbe dovuto dichiarare l’illegittimità dell’atto impugnato per violazione dell’obbligo di motivazione. Si conclude, chiedendo a questa Corte di enunciare il seguente principio di diritto: “La motivazione dell’avviso di rettifica si fonda sul rinvio per relationem al contenuto di una perizia predisposta dall’Agenzia del Territorio, la quale ha fondato la propria valutazione: a) unicamente sul riferimento ad un asserito atto di trasferimento comparabile, b) non allegato alla stessa perizia e neppure all’avviso di rettifica, c) e senza che la ritenuta valenza dimostrativa di tale atto comparativo sia stata avvalorata da ulteriori elementi, nonchè d) alla luce di una apodittica quantificazione del valore di mercato del cespite. Pertanto, il giudice di appello avrebbe dovuto, sulla base dei principi generali in tema di obbligo di motivazione, dichiarare illegittimo l’avviso di rettifica, siccome i) non recante, in allegato, il predetto atto comparativo ed, inoltre ii) perchè non fondato, tale avviso, sui tipici – ai fini della rettifica – elementi prescritti dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51 oltre che iii) in quanto recante un’apodittica forfetaria – alla luce dell’atto comparativo – determinazione del valore dell’immobile oggetto di causà.

3. Con il terzo motivo si denuncia la erroneità della sentenza di appello, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52 in relazione al principio di ripartizione dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che l’Ufficio finanziario avrebbe giustificato la rettifica del valore dell’immobile di cui trattasi richiamando la perizia predisposta dall’Agenzia del Territorio e l’atto di trasferimento ritenuto idoneo alla comparazione, ma non avrebbe prodotto in giudizio l’atto di compravendita comparativo cui ha fatto riferimento, nè nel corso del giudizio l’Ufficio avrebbe provveduto a versare ulteriori elementi di prova volti a suffragare la fondatezza della rettifica di valore. La sentenza impugnata sarebbe errata, in quanto la Commissione Tributaria Regionale avrebbe ritenuto corretta la rettifica di valore operata dall’Agenzia delle entrate sulla base di un inesistente assolvimento dell’onere della prova da parte dell’ente impositore. L’unico mezzo di prova indicato nella motivazione dell’atto di accertamento impugnato non sarebbe stato neppure prodotto in giudizio da controparte e laddove si dovesse ritenere sufficiente la mera indicazione dell’atto comparativo nella motivazione dell’avviso, ai sensi del D.P.R. n. 131 cit., artt. 51 e 52 emergerebbe che un unico atto di trasferimento astrattamente comparabile con quello in rettifica sarebbe inidoneo a fondare l’accertamento del valore imponibile dell’immobile oggetto di trasferimento. Inoltre, risulterebbe controverso in giudizio, alla luce delle eccezioni svolte dai contribuenti, oltre che della perizia da essi prodotta, che l’immobile oggetto dell’atto di vendita comparativa avesse caratteristiche paragonabili per ubicazione, estensione etc., a quelle del cespite di cui si controverte, oltre al fatto che i contribuenti avevano eccepito che la congruità del valore dichiarato era oltremodo palesata dalla sua aderenza (anzi dalla sua eccedenza) rispetto ai valori OMI di periodo (oscillanti tra Euro 4000,00 mq ed Euro 7000/mq.). Si conclude, chiedendo alla Corte di enunciare il seguente principio di diritto: “La sentenza in appello è incorsa nella violazione del principio di ripartizione dell’onere della prova di cui al disposto del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52 e art. 2697 c.c., in quanto ha ritenuto corretta la rettifica di valore operata dall’Ufficio, sebbene, da un lato, quest’ultimo non avesse ottemperato al tipico onere della prova stabilito da tali disposizioni e non avesse neppure prodotto in giudizio l’atto di trasferimento assunto a comparazione; e, dall’altro lato e comunque, gli elementi di fatto ritualmente allegati nel processo e provati dai comparenti, singolarmente considerati e complessivamente apprezzati, costituiscono mezzi di prova idonei ad elidere, ai sensi dell’art. 2697 c.c., la valenza dimostrativa dell’atto di trasferimento richiamato dall’Ufficio”.

4. I motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono infondati per le seguenti considerazioni.

Va premesso che questa Corte non terrà conto degli enunciati principi di diritto, i quali si intendono esposti a scopo meramente illustrativo, atteso che le dedotte censure non sono soggette al D.Lgs. n. 40 del 2006, posto che la sentenza impugnata non è stata pubblicata tra il 2.3.2006 e il 4.7.2009 (Cass. n. 25095 del 2014), ma in data 29.9.2014.

a) il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51 legittima l’Ufficio, nel procedere a rettifica dei valori dichiarati dalle parti in sede di trasferimenti immobiliari, a utilizzare comparativamente i valori accertati in occasione di trasferimenti aventi ad oggetto immobili aventi analoghe caratteristiche. Nella fattispecie, il ricorrente deduce il difetto di motivazione dell’atto impugnato, assumendo che la rettifica ha utilizzato come parametro un atto di cessione che è stato meramente indicato nell’avviso e nella perizia dell’Agenzia del territorio, ma non allegato.

Si è sostenuto, con indirizzo condiviso, che: “In tema di accertamento tributario, la motivazione di un avviso di rettifica e liquidazione ha la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, consentendo al contribuente l’esercizio del diritto di difesa. Ne consegue che, fermo restando l’onere della prova gravante sulla Amministrazione, è sufficiente che la motivazione contenga l’enunciazione dei criteri astratti, in base ai quali è stato determinato il maggior valore, senza necessità di esplicitare gli elementi di fatto utilizzati per l’applicazionè di essi, in quanto il contribuente, conosciuto il criterio di valutazione adottato, è già in condizione di contestare e documentare l’infondatezza della pretesa erariale, senza poter invocare la violazione, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 2 bis, del dovere di allegazione delle informazioni previste ove il contenuto essenziale degli atti sia stato riprodotto sull’avviso di accertamento” (Cass. n. 22148 del 2017).

Destituita di fondamento è, infatti, la critica formulata per la mancata allegazione integrale dell’atto richiamato in comparazione.

L’obbligo di allegare l’atto preso in comparazione è adempiuto anche mediante la riproduzione nell’avviso di rettifica del contenuto essenziale dello stesso, ossia delle parti utili a far comprendere quale parametro l’Agenzia abbia utilizzato per la rettifica (Cass. n. 6914 del 2011, n. 9032 del 2013; Cass. n. 21066 del 2017; Cass. n. 3388 del 2019). Non esiste, a carico dell’Ufficio finanziario, uno specifico onere di allegazione dell’atto stesso. Trattandosi di un atto pubblico, infatti, esso è conoscibile dal contribuente che abbia interesse a contestarne l’efficacia comparativa nell’ambito del più vasto onere di contestazione della pretesa, mediante esercizio della facoltà di estrarne copia.

A tale riguardo, non è contestato che l’atto indicato in comparazione indica il nome del notaio rogante, l’ubicazione dell’immobile trasferito e i dati catastali (v. pag. 12 ricorso per cassazione), quindi contiene tutti gli elementi necessari al contribuente per risalire al contenuto dello strumento utilizzato per la valutazione (Cass. n. 15371 del 2001; Cass. n. 16076 del 2000). Per la validità formale dell’avviso di accertamento in materia di imposta di registro che adotta il criterio comparativo, è sufficiente l’indicazione completa dell’atto di comparazione ai fini della “conoscibilità” da parte del contribuente.

Nella fattispecie, infatti, l’adozione del criterio comparativo previsto dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51 è stata ritenuta dal giudice del merito sufficientemente esplicitata dall’Ufficio con il riferimento ad una perizia di stima ed al “confronto con altro accertamento definitivo riguardante un immobile con destinazione commerciale ubicato in una zona vicina a quello di rettifica”, così che la legittimità dell’atto impositivo risulta per questo aspetto correttamente affermata facendo applicazione dei principi di cui alla giurisprudenza innanzi richiamata.

b) Stante alla censura relativa della mancata allegazione di plurimi atti di cessione, la stessa è da ritenersi infondata, posto che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51 stabilendo “per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari” consente che siano utilizzati ai fini dell’applicazione del criterio comparativo, atti relativi “agli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche”, indipendentemente dalla natura, eventualmente anche eterogenea, dei diritti oggetto delle due distinte cessioni ed indipendentemente dal numero degli stessi non essendo prevista dalla disposizione alcuna sanzione se l’Amministrazione fiscale decide di allegarne solo uno; da ciò consegue la legittimità dell’utilizzabilità dell’unico atto di cessione prodotto dall’Ufficio per motivare la rettifica dei valori dei diritti immobiliari di qualsiasi genere, oggetto dell’atto tassato.

c) L’atto impugnato, inoltre, non presenta profili di illegittimità per essere stato motivato con rinvio ad una perizia redatta dall’UTE, atteso che questa Corte ha, in più occasioni, affermato che: “In tema di imposta di registro, l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica del valore risulta assolto quando l’Ufficio enunci il petitum ed indichi le relative ragioni in termini sufficienti a definire la materia del contendere, con la conseguenza che va considerato adeguatamente motivato l’avviso di accertamento che rinvii ai dati contenuti in una stima effettuata dall’UTE” (Cass. n. 6928 del 2011; Cass. n. 21515 del 2005). L’accertamento e, quindi, il giudizio di accertamento può essere motivato legittimamente con “riferimento ad elementi extratestuali che il contribuente è in grado di conoscere (quale la relazione di stima dell’UTE), posto che, pure in tali casi, il contribuente è messo in condizione di identificare compiutamente i termini e le ragioni dell’accertamento in questione, e quindi di approntare la propria difesa, mentre dal canto suo, l’Amministrazione non può addure in giudizio altre diverse ragioni di accertamento” (Cass. n. 5106 del 2001, Cass. n. 793 del 2000, Cass. n. 10969 del 1996).

A tale riguardo, è stato detto che, in tema di imposta di registro, poichè dinanzi al giudice tributario l’Amministrazione finanziaria è sullo stesso piano del contribuente, la relazione di stima di un immobile, redatta dall’Ufficio tecnico erariale, prodotta dall’Agenzia delle entrate, costituisce una semplice perizia di parte, alla quale, pertanto, può essere attribuito il valore di atto pubblico soltanto per quel che concerne la provenienza, ma non anche per quel che riguarda il contenuto. Nondimeno, nel processo tributario, nel quale esiste un maggiore spazio per le prove atipiche, anche la perizia di parte può costituire fonte del convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento della decisione a condizione che spieghi le ragioni per le quali la ritenga corretta e convincente (Cass. n. 4363 del 2011; Cass. n. 8890 del 2007).

d) La Commissione Tributaria Regionale si è fatto carico di tali principi, adeguatamente motivando la decisione impugnata, perchè ha ritenuto la stima UTE, che faceva espresso rinvio all’atto di comparazione, maggiormente idonea ad accertare il valore del bene al momento della cessione, rispetto alla perizia di parte allegata dai contribuenti, rilevando, altresì, che: “la perizia di parte si muove sugli stessi elementi considerati nella perizia dell’Agenzia fiscale (anche per quanto riguarda la superficie interrata), basandosi però prevalentemente e genericamente sulla quotazione astratta dei valori della banca OMI”, precisando, correttamente che: “Il riferimento ai valori OMI non appare al Collegio un argomento dirimente in presenza di una valutazione basata su un’analisi comparativa diretta”. Questa Corte, con indirizzo condiviso, ritiene, infatti, che le quotazioni OMI, risultanti dal sito web dell’Agenzia delle Entrate, ove sono gratuitamente e liberamente consultabili, non costituiscono fonte tipica di prova ma strumento di ausilio ed indirizzo per l’esercizio della potestà di valutazione estimativa, sicchè, quali nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza, utilizzabili dal giudice ai sensi dell’art. 115 c.p.c., comma 2, sono idonee solamente a condurre indicazioni di valori di “larga massima” (Cass. n. 25707 del 2015). Le stime dell’OMI, meri valori presuntivi ed indiziari inidonei da soli a determinare un maggiore valore, non sono, pertanto, idonee a fondare il differente accertamento del valore effettuato dall’Ufficio e devono essere integrate da altri elementi probatorio, per essere considerate ragionevolmente attendibili(Cass. n. 21813 del 2018).

e) Vanno esclusi, pertanto, i dedotti vizi motivazionali della sentenza (violazione di legge con riferimento al vizio di motivazione dell’atto impugnato), anche in ragione del fatto che tali censure devono obiettivamente emergere come omessa considerazione e/o trascuratezza di valutazione di una circostanza essenziale (che avrebbe potuto, con grado di certezza, portare a diversa decisione), non potendo consistere nella difformità di apprezzamento di elementi di fatto e/o probatori emersi nel contraddittorio per cui è causa, diversamente valutati dalle parti, poichè un siffatto potere sull’apprezzamento dei fatti e delle prove spetta unicamente al giudice di merito. Va rigettato anche il primo motivo di ricorso, non essendo ravvisabile una omessa pronuncia nella decisione impugnata, atteso che il giudice di appello ha accolto nella sostanza una tesi incompatibile con quella prospettata dai contribuenti, implicando con le argomentazioni esposte un implicito rigetto (Cass. n. 2153 del 2020). Questa Corte, in più occasioni, ha precisato che: “Non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte” (Cass. n. 20718 del 2020; Cass. n. 29191 del 2017).

Tutte le espresse doglianze, nella realtà, rappresentano una inammissibile riproposizione nel presente giudizio di tesi o apprezzamenti propri di una parte, disattese correttamente dalla Corte territoriale con valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità. E’ incontestato che la deduzione dei vizi denuciati con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e di valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essa sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge), prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti. Correttezza logico-giuridica e coerenza formale che nella vicenda in esame, anche per le considerazioni esposte, non meritano di essere messe in discussione.

5.In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte soccombente al rimborso delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 4000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2020

 

 

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