Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19355 del 18/07/2019

Cassazione civile sez. I, 18/07/2019, (ud. 05/04/2019, dep. 18/07/2019), n.19355

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24584/2017 proposto da:

H.S., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avv. De Mattia Alessio, giusta procura in calce al ricorso,

nonchè dall’Avv. Zullo Sabina, giusta procura alle liti depositata

in data 18/10/2018;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale di Venezia;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2029/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

pubblicata il 20/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/04/2019 dal Cons. Dott. FEDERICO GUIDO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso tempestivamente depositato H.S., cittadino Pakistano, originario del villaggio di (OMISSIS), nella provincia di (OMISSIS), impugnava dinanzi il Tribunale di Venezia il provvedimento con cui la Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Verona, gli aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale di quella sussidiaria e di quella umanitaria. Il ricorrente riferiva che nel 2005 si era convertito, unitamente alla moglie ed ai figli, alla religione sciita e tale conversione era stata osteggiata dalla sua famiglia di origine e dalla maggioranza del proprio villaggio ed a seguito di una rissa un partecipante all’assemblea del villaggio era rimasto ucciso ed il S. aveva appreso di essere stato incolpato della morte del ragazzo e di blasfemia: temendo per la propria vita, dopo aver trovato una collocazione per la moglie ed i figli presso una comunità sciita, era fuggito dal proprio paese.

Il Tribunale di Venezia, con ordinanza in data 20.07.2016, rigettava la domanda di protezione internazionale, sussidiaria e quella umanitaria e la Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 2029/2017 confermava la pronuncia di rigetto, ritenendo non sussistenti i presupposti per la concessione di alcuna forma di protezione.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione articolato in quattro motivi H.S..

Il Ministero dell’Interno non ha svolto nel presente giudizio attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e) d) nonchè del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. D) nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia per avere la Corte territoriale ritenuto non integrati i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, nonostante la sussistenza di veri e propri timori di persecuzione, essendo in pericolo la stessa vita del ricorrente, vittima di un tentativo di uccisione per motivi religiosi, cui è sopravvissuto per circostanze del tutto eccezionali.

Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio della pronuncia, fondata sulla scarsa credibilità del racconto del richiedente.

Invero, la Corte ha escluso, con apprezzamento adeguato, la credibilità del racconto del richiedente, per l’inattendibilità intrinseca e per l’illogicità delle sue dichiarazioni, valutando una pluralità di elementi quali il fatto che il richiedente non sapesse ben indicare le differenze tra la religione sunnita e quella sciita cui dichiarava di essersi convertito, la circostanza che non ricordasse con esattezza la data di nascita dei figli ed ancora la circostanza secondo la quale non aveva portato con sè nella fuga moglie e figli, anch’essi esposti al pericolo poichè ritenuti di religione sciita, ma li avesse collocati presso una comunità sciita, ritenendo in tal modo che nel suo paese si poteva trovare una qualche forma di protezione.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione ed errata interpretazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e h) conformemente al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. f) e g) per avere la Corte territoriale escluso la sussistenza della protezione sussidiaria.

Il motivo è infondato.

Qualora le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua dei criteri di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel paese di origine – con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) – salvo che – ipotesi neppure allegata nella specie – la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018).

Quanto invece al riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) la nozione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, interno o internazionale, va rappresentata dal ricorrente come minaccia grave ed individuale alla sua vita, sia pure in rapporto alla situazione generale del paese di origine ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018).

Orbene la Corte territoriale premesso che il ricorrente non aveva mai messo in relazione la propria fuga o il pericolo di rientro nel proprio paese d’origine con una situazione di violenza generalizzata derivante da una situazione di conflitto armato, ha altresì accertato, con apprezzamento adeguato, che, sulla base di fonti aggiornate, vale a dire il rapporto EASO del 27 luglio 2016, la regione del (OMISSIS), da cui proveniva il ricorrente, non risultava interessata da un contesto di violenza indiscriminata e diffusa.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione ed errata interpretazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 per non avere la Corte riconosciuto neppure la protezione umanitaria.

Conviene premettere che secondo il recente arresto di questa Corte, cui il collegio intende dare continuità, la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018 conv. nella L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dei presupposti esistenti prima dell’entrata in vigore della nuova legge, ed esse vanno dunque scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione (Cass. 4890/2019).

Ciò posto il motivo è inammissibile per genericità ed in quanto non coglie la ratio della pronuncia.

Premesso che pure ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria l’attendibilità della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il paese di origine svolge un ruolo rilevante, atteso che la situazione del paese dev’essere necessariamente correlata alla condizione personale del richiedente secondo le allegazioni da questo fornite (Cass. 4455/2018), nel caso di specie la Corte territoriale ha escluso che sussistessero specifiche condizioni di vulnerabilità, neppure enunciate dal ricorrente, tali da giustificare il riconoscimento di detta forma di tutela, essenzialmente fondata sulle persecuzioni asseritamente subite nel paese di origine, e che, come già evidenziato, erano state ritenute non credibili da entrambi i giudici di merito.

Va infine rilevata l’inammissibilità del quarto motivo con cui si denuncia la violazione dell’art. 10 Cost. per novità della questione che non risulta dalla sentenza impugnata e che l’istante non ha allegato di aver già dedotto nei precedenti gradi del giudizio.

Il ricorso va dunque respinto e, considerato che il Ministero dell’Interno non ha svolto difese, non deve provvedersi sulle spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

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