Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19354 del 03/08/2017


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Cassazione civile, sez. III, 03/08/2017, (ud. 10/05/2017, dep.03/08/2017),  n. 19354

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13680-2015 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO

101, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BAURO, rappresentato e

difeso dall’avvocato FRANCESCO RUSSO giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PENTA IMMOBILIARE SPA, (già FARMACEUTICA SPA), giusto atto di

fusione per incorporazione, in persona del legale rappresentante pro

tempore Dott. C.D. elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR 17, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA DEL

NOSTRO, rappresentata e difesa dall’avvocato BONAVENTURA CANDIDO

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 191/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 14/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/05/2017 dal Consigliere Dott. SALVATORE SAIJA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.G. propose opposizione al decreto del 20.7.1996, con cui il Tribunale di Messina gli aveva ingiunto di pagare immediatamente la somma di L. 1.100.000.000, oltre accessori e spese, in favore di Farmaceutica s.p.a., e ciò quale fideiussore delle obbligazioni assunte da F.A.T. per forniture farmaceutiche, relative all’anno 1992, in forza di scrittura privata del 7.5.1993. In corso di causa, il M., in particolare, con la memoria di costituzione di nuovo procuratore del 28.11.2002, aveva chiesto la sospensione del giudizio in attesa della definizione di quello (iscritto al n. 5700/2002 R.G.) da lui stesso frattanto avviato dinanzi allo stesso Tribunale per ottenere la declaratoria della nullità della fideiussione, e comunque la rimessione in termini per la formulazione di istanze istruttorie. Ciò sia perchè non era stata tenuta l’udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c., sia perchè soltanto dopo lo spirare dei termini ex art. 184 c.p.c. egli era venuto in possesso dei documenti comprovanti la nullità della citata scrittura del 7.5.1993.

Il Tribunale, con sentenza del 23.7.2003, rigettò l’opposizione, confermando il decreto opposto.

La Corte d’appello, con sentenza del 14.3.2013, rigettò l’impugnazione proposta dal M.. Per quanto qui ancora interessa, la Corte ha basato la decisione sui seguenti snodi essenziali: 1) è indubbio che la questione della validità della fideiussione, per quanto non tempestivamente sollevata dal M., costituisca aspetto rilevante ai fini del decidere, trattandosi del presupposto logico-giuridico della pretesa della società odierna controricorrente; 2) tuttavia, fermo il potere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità, ciò è possibile ove essa risulti ex artis, ossia dal materiale probatorio ritualmente acquisito; 3) il M., già nel 1997, ricevette dalla F. copia della nuova e diversa scrittura privata da lei sottoscritta con Dino e Aldo Cuzzocrea (rispettivamente, l.r. e consulente legale della società opposta), a suo dire costituente la prova della nullità della scrittura del 7.5.1993, tanto da aver proposto denuncia-querela, sempre nel 1997, nei confronti dei fratelli C.; 4) all’udienza di trattazione del 2.4.1998, tuttavia, il M. nulla dedusse in proposito, pur avendone la possibilità, nè si avvalse del termine di cui all’art. 184 c.p.c., concesso dal G.I.; 5) correttamente, quindi, il primo giudice aveva negato la rimessione in termini, tanto più che la tesi secondo cui la scrittura del 7.5.1993 sarebbe non più di una semplice “bozza” si scontra con la considerazione che lo stesso opponente non ne dedusse tale natura sin dall’atto di opposizione; 6) il M. non aveva svolto ritualmente una vera e propria contestazione sul quantum della pretesa fatta valere, ma più propriamente sull’an debeatur, eccependo la propria carenza di legittimazione passiva, solo con la comparsa di nuovo procuratore, avendo precisato che la garanzia poteva intendersi prestata a copertura dei debiti della F. maturati entro il 31.12.1992 (già estinti dalla stessa debitrice principale, con la dazione di assegni per L. 1.400.000.000). In ogni caso, detta limitazione non era riscontrabile nella fideiussione rilasciata dal M..

M.G. ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi. Penta Immobiliare s.p.a. (già Farmaceutica s.p.a.) resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, deducendo “omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, si sostiene che la Corte d’appello avrebbe “omesso di valutare la esatta portata fattuale e quindi giuridica della bozza del 7/5/93 e le puntuali contestazioni alla stessa”. In particolare: a) la Corte d’appello avrebbe omesso di valutare le ragioni per le quali il M. non ha rilevato ed eccepito la nullità entro i termini di cui all’art. 184 c.p.c.. Secondo il ricorrente, ciò sarebbe dipeso dal fatto che solo a preclusioni maturate egli venne in possesso delle relative prove, avuto particolare riguardo alle dichiarazioni rese dalla F. nel p.p. n. 1069/97, le cui indagini si sono concluse il 31.10.2000; b) la Corte avrebbe errato nel ritenere che il M. non aveva mai contestato il quantum debeatur; c) essa avrebbe poi omesso di attribuire valenza alla circostanza che i fratelli C. erano stati indagati per il reato di falso in bilancio in relazione al credito vantato nei confronti della F..

1.2 – Con il secondo motivo, deducendo “nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 183 c.p.c. e art. 184 bis c.p.c. (ratione temporis) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, si sostiene che, nel procedimento di primo grado dinanzi al Tribunale, non venne tenuta l’udienza di trattazione; conseguentemente, alcuna preclusione istruttoria avrebbe potuto configurarsi, e comunque il giudice istruttore avrebbe dovuto concedere la rimessione in termini, ex art. 184 bis c.p.c., richiesta sin dal deposito della comparsa di costituzione di nuovo procuratore, effettuata il 28.11.2002. Erroneamente, quindi, la Corte d’appello aveva affermato il contrario.

2.1 – Deve anzitutto affrontarsi il secondo motivo, avente carattere potenzialmente assorbente. Esso è infondato.

Sia dall’esame dei verbali d’udienza qui prodotti dal ricorrente (sub doc. 9), sia dalla mera lettura della sentenza impugnata (pp. 6-7), emerge incontestabilmente che l’udienza di trattazione venne regolarmente celebrata in data 2.4.1998, in cui le parti chiesero (come peraltro era prassi, all’indomani dell’entrata in vigore di quello che, all’epoca, veniva definito “nuovo rito”) un rinvio per l’articolazione di mezzi istruttori, senz’altro argomentare. All’udienza del 2.4.1998, pertanto, fissata proprio per la trattazione della causa, l’odierno ricorrente avrebbe potuto svolgere le attività tipiche per essa previste, o anche., chiedere l’appendice scritta ai sensi del vigente (all’epoca) art. 183 c.p.c., comma 5. Invece, dopo aver chiesto in prima battuta un “rinvio per la trattazione”, si limitò a formulare l’istanza di “rinvio per l’integrazione dei mezzi istruttori” (v. doc. 9 ric.te).

Nessuna violazione processuale, quindi, si configura nella concessione, da parte del giudice istruttore, dei termini ai sensi del previgente art. 184 c.p.c. già all’udienza del 2.4.1998, proprio perchè – come esattamente rilevato dalla Corte d’appello (p. 7) – l’udienza di trattazione deve concludersi con il rinvio ad altra udienza, nella quale le parti possono ulteriormente chiedere l’assegnazione dei detti termini, ovvero rassegnare alla stessa udienza le istanze istruttorie, soltanto nel caso in cui esse abbiano chiesto l’appendice scritta, ut supra.

In altre parole, la richiesta in concreto formulata dal difensore del M. all’udienza del 2.4.1998 non poteva preludere ad un rinvio ad altra udienza, in cui eventualmente formulare istanza per la concessione dei termini istruttori; e ciò perchè, essendosi chiusa la fase di trattazione della causa, questi non potevano che essere naturaliter assegnati già in quella sede, in applicazione del disposto di cui al previgente art. 184 c.p.c..

Del resto, la preclusione istruttoria in cui il M. è incorso venne rilevata dal giudice istruttore, non già come conseguenza del fatto che l’udienza di trattazione era stata obliterata, come sostenuto, ma perchè egli aveva formulato le proprie istanze solo a verbale d’udienza del 23.3.1999, anzichè nel termine correttamente fissato con l’ordinanza del 2.4.1998. Da questo punto di v vista, quindi, può anche aggiungersi che la censura in esame non spiega in cosa la pur insussistente violazione processuale denunciata avrebbe leso il diritto di difesa dell’odierno ricorrente, non potendo certo ritenersi che i termini in questione fossero stati fissati “a sorpresa” o che di essi il difensore dell’epoca del M. non avesse avuto notizia.

2.2 – La violazione del previgente art. 184 bis c.p.c. non sussiste. Tuttavia, poichè la questione – seppur per profili diversi dalla pretesa nullità processuale qui in esame – è oggetto anche del primo motivo, di essa si dirà nell’esame di quest’ultimo.

3.1 – Il primo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

3.2.1 – Con esso, il M. censura il mancato accoglimento del primo e del secondo motivo d’appello, con cui, rispettivamente, aveva contestato la sentenza di primo grado a) per aver ritenuto che la questione della validità ed efficacia della scrittura del 7.5.1993 fosse estranea al thema decidendum, e b) per non essere stata ammessa la chiesta rimessione in termini. Ancora, il ricorrente lamenta l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui venne rigettato il quarto motivo d’appello, con cui c) si censurava l’affermazione del primo giudice circa il fatto che egli non avesse mai contestato il quantum debeatur.

3.2.2 – Al riguardo, la Corte d’appello ha ritenuto che: aa) pur essendo vero che la questione della validità della scrittura costituiva il presupposto logico-giuridico della pretesa della società creditrice, e pur essendo la nullità rilevabile d’ufficio, ciò è tuttavia possibile soltanto nel caso in cui la prova della nullità stessa emerga ex actis, ossia dal materiale istruttorio ritualmente acquisito. Il che doveva escludersi nella specie; bb) correttamente il primo giudice aveva negato la rimessione in termini per la formulazione dei mezzi istruttori richiesta con la comparsa del 28.11.2002. Infatti, la tesi della “bozza” (ossia, quella secondo cui la scrittura del 7.5.1993 non aveva alcuna efficacia vincolante) ben avrebbe potuto sostenersi fin dall’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, ed alcuna valenza rivestiva la scoperta dell’esistenza dell’altra scrittura, proprio perchè avvenuta nel 1997 e, quindi, prima della scadenza dei termini ex art. 184 c.p.c.. Nè, infine, rilevava la sopravvenuta conoscenza delle dichiarazioni rese dalla F. nel procedimento penale iscritto al N. 1069/1997 R.G.N.R., trattandosi di fatti già noti al M. a quell’epoca. Infine, cc) la Corte del merito ha rilevato che, dall’esame degli atti, una vera e propria contestazione sul quantum non emergesse in modo chiaro, avendo il M. eccepito, con l’atto introduttivo, la propria “carenza di legittimazione passiva” e solo successivamente chiarendo che la garanzia da lui prestata doveva intendersi limitata alle obbligazioni esistenti alla data del 31.12.1992, già estinte dalla F..

In proposito, la Corte d’appello ha ritenuto che, dal tenore della dichiarazione fideiussoria rilasciata dal M., la tesi della limitazione temporale non fosse sostenibile. Nè alcuna valenza poteva attribuirsi – quanto alla denunciata assenza di prova scritta idonea ex art. 633 c.p.c. – alla circostanza che i fratelli C.D. e A. fossero indagati per il reato di cui all’art. 2621 c.c. riguardo alla non veritiera esposizione debitoria della F., trattandosi di ipotesi accusatoria della cui conferma o smentita nell’idonea sede processuale nulla era dato sapere.

3.3 – Le argomentazioni appena descritte sono state impugnate dal M. ai sensi del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con la denuncia di omesso esame dei fatti riportati al par. 1.1.

In proposito, è evidente che i fatti in questione sono stati puntualmente esaminati dalla Corte di merito, che ha ampiamente spiegato le ragioni per cui non era possibile rilevare d’ufficio la nullità della scrittura del 7.5.1993, nè disporre la rimessione in termini, nè ritenere che il M. avesse ritualmente contestato il quantum debeatur, nè, infine, attribuire rilevanza alle vicende del procedimento penale a carico dei fratelli C..

Non sussiste quindi alcuna omessa valutazione dei fatti. Il ricorrente avrebbe al più potuto denunciare la loro eventuale erronea valutazione da parte del giudice d’appello, ma il mezzo scelto non lascia margine ad altre considerazioni di segno potenzialmente a lui favorevole.

3.4 – In relazione, poi, alla questione della estensione della garanzia a tutte le obbligazioni della F. (ossia, anche a quelle sorte successivamente alla data del 31.12.1992) e della natura di mera “bozza” della scrittura privata del 7.5.1993 (da p. 10 in poi del ricorso, par. I.B), nonchè circa la pretesa assenza di prova scritta idonea all’ingiunzione, il motivo in esame – con cui si lamenta il preteso vizio di cui al vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), – si presta tuttavia ad ulteriori valutazioni da diverso angolo prospettico. Infatti, costituisce consolidato principio della giurisprudenza di legittimità quello secondo cui “Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (così, da ultimo, Cass. n. 9097/2017).

Sotto il profilo in esame, quindi, le censure circa la lettura dei fatti processualmente rilevanti effettuata dalla Corte si risolvono in una contrapposta ricostruzione al riguardo offerta dal ricorrente, inammissibile in questa sede. Infatti, “Il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti” (da ultimo, Cass. n. 4293/2016).

3.5 – Per quanto concerne, infine, il profilo della pretesa violazione dell’art. 184 bis c.p.c. per la mancata rimessione in termini, può aggiungersi che la Corte di merito ha correttamente escluso che, nei fatti indicati dal M., potessero scorgersi elementi a sostegno della pretesa incolpevolezza della decadenza in cui egli era incorso. La tesi della “bozza” avrebbe infatti dovuto essere sostenuta fin dalla proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo, mentre l’esistenza della fideiussione “alternativa” gli era nota almeno dal 1997, ossia, ben prima che maturassero le preclusioni istruttorie. Detti argomenti, a ben vedere, non sono stati oggetto di specifica censura.

In ogni caso, a confermare la correttezza della decisione, sul punto, milita il rilevante lasso di tempo (circa due anni) intercorso tra la presunta scoperta (31.10.2000 – v. ricorso, p. 9) e la presentazione dell’istanza di rimessione in termini, avvenuta con la comparsa di costituzione di nuovo procuratore del 28.11.2002: segno evidente che essa fu dettata soltanto dal mutamento – tardivo – di strategia processuale, più che dalla stessa scoperta in sè.

4.1 – Il ricorso è rigettato. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

In relazione alla data di proposizione del ricorso per cassazione (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 13.000,00 per compensi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza del presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 10 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2017

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