Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19353 del 21/08/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 19353 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: FILABOZZI ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso 27334-2011 proposto da:
BELLEFGHI LUCIANA BLLLCN57R71F839X, domiciliata in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato FERRARA RAFFAELE, giusta delega in
atti;
– ricorrente –

2013
1569

contro

COSTRUZIONI GENERALI BRANCACCIO S.P.A., in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 185, presso lo

Data pubblicazione: 21/08/2013

studio dell’avvocato VERSACE RAFFAELE, rappresentata
e difesa dall’avvocato PELLEGRINO RAFFAELE, giusta
delega in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 6175/2010 della CORTE

991/09;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/05/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
FILABOZZI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso
per per l’inammissibilità del ricorso.

D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 03/11/2010 r.g.n.

r.g. n. 27334/11
udienza del 7.5.2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città con cui è
stata rigettata la domanda proposta da Luciana Bellefghi per ottenere la declaratoria della

motivo oggettivo costituito dall’esigenza di procedere ad un riassetto organizzativo della società al
fine di una più economica gestione dell’impresa, maggiormente rispondente alle ridotte necessità di
produzione determinate dalla crisi del settore degli appalti pubblici. Ha osservato al riguardo la
Corte territoriale che in base alle risultanze istruttorie doveva ritenersi provato che il posto di lavoro
della ricorrente era stato soppresso con redistribuzione delle sue mansioni fra altri dipendenti e che
dopo il licenziamento non erano state effettuate nuove assunzioni in sua sostituzione. La lavoratrice
aveva inoltre genericamente allegato la possibilità di una sua riutilizzazione in altri posti di lavoro,
laddove la società aveva specificamente contestato nella memoria di costituzione che vi fossero
altre posizioni di lavoro compatibili con la qualifica della ricorrente ( che era addetta all’ufficio gare
con mansioni di impiegata tecnica).
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione Luciana Bellefghi affidandosi ad un unico
articolato motivo di ricorso cui resiste con controricorso la società Costruzioni Generali Brancaccio
spa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con l’unico articolato motivo di ricorso si denuncia violazione degli artt. 112 c.p.c. e 3 legge n.
604/66, nonché vizio di motivazione, sostenendo che la Corte d’appello, anziché valutare la
sussistenza delle ragioni addette dalla società a sostegno del recesso, si sarebbe limitata a fornire
una propria interpretazione dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966, ed una definizione
conseguenziale del giustificato motivo oggettivo, entrambe erronee o, a dir poco, restrittive e
limitate, prescindendo da qualsiasi indagine diretta a stabilire in concreto l’esistenza della dedotta
crisi aziendale e la concreta riferibilità del licenziamento ad iniziative collegate ad effettive ragioni
di carattere produttivo-organizzativo, oltre che l’impossibilità di utilizzare la lavoratrice in mansioni
equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione aziendale.

illegittimità del licenziamento intimatole dalla Costruzioni Generali Brancaccio spa per giustificato

2.- Il ricorso è infondato. E’ giurisprudenza costante – cfr. ex plurimis, Cass. n. 14815/2005 – che,
ai fini della legittimità del licenziamento per ragioni inerenti all’attività produttiva, sul datore di
lavoro incombe l’onere di provare la concreta riferibilità del licenziamento a iniziative collegate ad
effettive ragioni di carattere produttivo-organizzativo sussistenti all’epoca della comunicazione del
licenziamento, nonché l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni compatibili con la
qualifica rivestita, in relazione al concreto contenuto professionale dell’attività cui il lavoratore
stesso era precedentemente adibito (cfr. anche Cass. n. 21282/2006; Cass. n. 12514/2004).

rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei
criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41
Cost. Pertanto, spetta al giudice il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal
datore di lavoro, e l’onere probatorio grava per intero sul datore di lavoro, che deve dare prova
anche dell’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle
precedentemente svolte, onere che può essere assolto anche mediante il ricorso a risultanze di
natura presuntiva ed indiziaria, mentre il lavoratore ha comunque un onere di deduzione e di
allegazione di tale possibilità di reimpiego (Cass. n. 3040/2011; Cass. n. 6559/2010; Cass. n.
4068/2008).
Si è, infatti, specificato nella giurisprudenza di legittimità – cfr. Cass. n. 13134/2000; Cass. n.
9369/96 – che la prova suindicata non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo
stesso lavoratore, che impugni il licenziamento, una collaborazione nell’accertamento di un
possibile repechage, mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli
poteva essere utilmente ricollocato; a tale allegazione, poi, corrisponde l’onere del datore di lavoro
di provare la non utilizzabilità nei posti predetti, da intendersi assolto anche mediante la
dimostrazione di circostanze indiziarie, come l’assenza di altre assunzioni in relazione alle mansioni
del dipendente da licenziare.
Si è precisato anche che in caso di licenziamento per soppressione del posto di lavoro, ai fini della
configurabilità del giustificato motivo oggettivo, non è necessario che vengano soppresse tutte le
mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo le stesse essere diversamente
distribuite, secondo insindacabili scelte imprenditoriali, senza che con ciò venga meno l’effettività
di tale soppressione (Cass. n. 12037/2003).
3.- L’accertamento di tali presupposti costituisce comunque valutazione di merito, insindacabile in
sede di legittimità se effettuata con motivazione coerente e completa (Cass. n. 10916/2004).
4.- Non si è discostata dai principi enunciati sub 2) la Corte territoriale con l’affermazione che,
nella specie, doveva ritenersi dimostrata la concreta riferibilità del licenziamento individuale a

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Il giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative o produttive è

iniziative collegate ad effettive, e non pretestuose, ragioni di carattere produttivo-organizzativo,
essendo emerso (in particolare, dalla prova testimoniale) che il licenziamento della Bellefghi era
stato determinato da uno stato di crisi dell’azienda e che le mansioni della lavoratrice erano state
redistribuite fra gli altri dipendenti, non avendo la società provveduto a ricoprirne il posto mediante
nuove assunzioni. Quanto alla possibilità di utilizzare la lavoratrice in altre mansioni equivalenti a
quelle esercitate prima della ristrutturazione, la Corte di merito ha osservato che la ricorrente si era
limitata ad allegare genericamente la possibilità di una sua diversa utilizzazione in altri posti

nell’azienda vi fossero posti di “addetti a mansioni amministrative” o di “fattorino” ed era stato
provato che gli unici posti di impiegato amministrativo erano all’epoca occupati da altro personale
in pianta stabile (una unità addetta alla segreteria ed la centralino e tre unità addette alla contabilità),
sicché, in definitiva, doveva ritenersi carente l’allegazione, da parte della lavoratrice, dell’esistenza
di altri posti di lavoro nei quali essa avrebbe potuto essere utilmente ricollocata.
5.- Le contrarie affermazioni della ricorrente, secondo cui la Corte territoriale non avrebbe
accertato la sussistenza in concreto delle ragioni dedotte dalla società a fondamento del recesso,
essendo partita dal presupposto che nella nozione di giustificato motivo oggettivo potesse rientrare
anche l’ipotesi di un riassetto organizzativo che fosse diretto all’esigenza di contenere i costi o a
quella di incrementare i profitti, non tengono conto della decisività dei rilievi svolti nella
motivazione della sentenza impugnata in ordine all’effettività dello stato di crisi aziendale e delle
ragioni di carattere produttivo-organizzativo che avevano determinato il licenziamento della
Bellefghi, oltre che in ordine alla impossibilità di utilizzare la lavoratrice in altre mansioni
equivalenti a quelle da lei svolte prima della ristrutturazione, e si risolvono, sostanzialmente, nella
contestazione diretta (inammissibile in questa sede) del giudizio di merito, giudizio che risulta
motivato in modo sufficiente e logico con riferimento a tutte quelle circostanze che, come sopra
indicate, devono ritenersi idonee a dimostrare la sussistenza dei presupposti del giustificato motivo
di licenziamento.
6.- A fronte di una sentenza così motivata, la ricorrente non ha offerto, invero, sufficienti elementi
di riscontro in ordine all’esistenza di elementi di natura materiale, logica o processuale che, rimasti
estranei al ragionamento svolto dal giudice del merito, sarebbero stati idonei a determinare una
decisione diversa da quella adottata, ovvero in ordine all’esistenza di risultanze processuali, non
esaminate, tali da far ritenere, attraverso un giudizio di certezza e non di mera probabilità, che le
stesse, ove fossero state considerate, avrebbero portato ad una diversa soluzione della controversia
(anche perché l’unica deposizione testimoniale richiamata in ricorso non è stata riportata in modo
integrale e, per quanto è dato desumere dai passi riportati nel motivo di ricorso, non appare

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nell’ambito dell’organizzazione aziendale, laddove la società aveva specificamente contestato che

comunque decisiva ai fini della soluzione della controversia); dovendo rimarcarsi, peraltro, che,
come questa Corte ha costantemente ribadito, il controllo sulla motivazione non può risolversi in
una duplicazione del giudizio di merito e che alla cassazione della sentenza impugnata può
giungersi non per un semplice dissenso dalle conclusioni del giudice di merito – poiché in questo
caso il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e
del convincimento dello stesso giudice di merito, che tenderebbe all’ottenimento di una nuova
pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione – ma

del procedimento logico-giuridico posto alla base della decisione (cfr.

ex plurimis Cass. n.

10657/2010, Cass. n. 9908/2010, Cass. n. 27162/2009, Cass. n. 13157/2009, Cass. n. 6694/2009,
Cass. n. 18885/2008, Cass. n. 6064/2008).
7.- Nelle citate sentenze questa Corte ha, peraltro, già avuto modo di precisare che, in tema di
prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di
scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a
dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi
di prova acquisiti, nonché di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una
prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo
istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la
controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (cfr. ex plurimis, Cass. n.
16499/2009). E, per quanto riguarda specificamente la valutazione della prova testimoniale, ha
affermato che la valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi e
sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di
quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al
giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga
più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non
accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 42/2009, Cass. n. 21412/2006, Cass. n. 4347/99, Cass.
n. 3498/94).
8.- Nella specie, per quanto già detto, le argomentazioni della ricorrente, dirette a dimostrare
l’erroneità della valutazione di merito operata dalla Corte d’appello, lungi dal denunciare lacune o
effettive contraddizioni logiche nella motivazione che sorregge l’accertamento di fatto sul quale è
fondata la decisione impugnata, si risolvono, invece, nella prospettazione – inammissibile in questa
sede – di una diversa ricostruzione dei medesimi fatti, limitandosi a proporne un giudizio valutativo
parimenti diverso. Le doglianze in esame non possono pertanto trovare accoglimento.

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solo in caso di motivazione contraddittoria o talmente lacunosa da non consentire l’identificazione

9.- In definitiva, quindi, il ricorso deve essere rigettato, ed a tale pronuncia segue la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo,
facendo riferimento alle disposizioni di cui al d.m. 20 luglio 2012, n. 140 e alla tabella A ivi
allegata, in vigore al momento della presente decisione (artt. 41 e 42 d.m. cit.).

P.Q.M.

liquidate in E 40,00 oltre € 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 maggio 2013.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio

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