Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19352 del 22/09/2011

Cassazione civile sez. I, 22/09/2011, (ud. 05/07/2011, dep. 22/09/2011), n.19352

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17447/2006 proposto da:

P.S. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIALE MAZZINI 6, presso l’avvocato CIPRIETTI Sabatino, che

la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.V. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL FANTE 2, presso l’avvocato RIZZACASA

GIUSEPPE, rappresentato e difeso dall’avvocato DI BARTOLOMEO

Giovanni, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 446/2005 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 24/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

05/07/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FELICETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. P.S. con ricorso al Tribunale di Pescara in data 28 luglio 1990 chiedeva che fosse pronunciata la sua separazione personale dal marito B.V., con addebito a carico del medesimo, l’affidamento del figlio minore, l’assegnazione della casa coniugale e l’attribuzione di un assegno di mantenimento. Il B. si costituì chiedendo che la separazione fosse pronunciata con addebito a carico della moglie, l’affidamento a sè del figlio minore e l’assegnazione della casa coniugale. Il tribunale con sentenza del maggio 2002 pronunciò la separazione, rigettando le rispettive domande di addebito, affidò il figlio al padre, disponendo che dimorasse presso la nonna materna, ponendo a carico del padre il mantenimento del figlio e stabilendo in favore della moglie un assegno di Euro 500,00 mensili. La sig. P. propose appello, insistendo per l’addebito a carico del marito e chiedendo un assegno di maggiore importo per sè. Il sig. B. propose appello incidentale chiedendo la riduzione dell’assegno di mantenimento disposto in favore della moglie. La Corte d’appello dell’Aquila, con sentenza 24 maggio 2005r rigettati per ogni altra parte i gravami, determinò l’assegno per la moglie in Euro 1.200,00 mensili a decorrere dal maggio 2002. La sig.ra P. ha proposto ricorso avverso tale sentenza con atto notificato al sig. B. in data 30 maggio 2006, formulando tre motivi. L’intimato resiste con controricorso notificato il 6 luglio 2006. La ricorrente ha anche depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denunciano vizi motivazionali in relazione agli artt. 163, 116 e 342 c.p.c., censurandosi la sentenza impugnata per non avere addebitato la separazione al B.. Si deduce che la decisione sul punto sarebbe stata erroneamente e contraddittoriamente motivata ritenendo generici i fatti dedotti in proposito con il ricorso introduttivo e i motivi di appello, mentre poi la stessa Corte aveva diffusamente esaminati i fatti dedotti, ritenendoli sforniti di prova.

Il motivo è inammissibile, deducendosi con esso vizi motivazionali in relazione a violazione di norme processuali, essendo i vizi motivazionali deducibili solo in relazione all’accertamento dei fatti e non alle norme sostanziali o processuali ed avendo comunque la sentenza impugnata esaminato e respinto nel merito le censure proposte.

2. Con il secondo motivo si denunciano la violazione dell’art. 151 cod. civ., comma 2 e art. 143 cod. civ.; art. 2697 cod. civ., artt. 116 e 247 c.p.c., nonchè vizi motivazionali in ordine alla valutazione delle risultanze istruttorie. Si deduce al riguardo che la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere non provati specifici contegni del marito atti a integrare la violazione di doveri di assistenza, fedeltà e solidarietà, contrariamente a quanto attestato da vari testi, di cui nel motivo si riportano le deposizioni, mentre avrebbe omesso di tenere conto del comportamento del marito successivo alla separazione, al fine di ricostruirne la personalità e valutarne la condotta pregressa nonchè l’attendibilità dei testi escussi al riguardo.

Il motivo è inammissibile per la parte con la quale con esso ne Ilei sostanza si richiede un riesame delle risultanze probatorie, delle valutazioni della Corte d’appello circa l’attendibilità dei testi e dell’insieme delle valutazioni da essa operate riguardo alla mancanza di prova dell’addebito, che esula dal giudizio di questa Corte, che in proposito può solo esaminare la congruità della motivazione.

Per il resto è infondato.

La Corte d’appello ha infatti ritenuto, con adeguata e diffusa motivazione, priva di vizi logici, che i fatti addotti a sostegno della domanda di addebito non potessero essere ritenuti provati, essendo le deposizioni al riguardo per la maggior parte provenienti da testi “de relato actoris”, per di più familiari della moglie, contraddetti da un teste indifferente, cosicchè non era dato rinvenire elementi di prova univoci, idonei a provare “l’effettiva mancanza della necessaria assistenza spirituale e materiale da parte del marito nei momenti di particolare delicatezza della vita della moglie (gravidanza, parto, malattia)”, mentre nessun argomento in favore della pronuncia di addebito poteva trarsi dal comportamento processuale del marito, volto a sottrarre il figlio minore all’influenza della madre, nell’interesse del figlio medesimo, stante lo stato di salute mentale di questa. A maggior sostegno del rigetto della domanda di addebito, la Corte di merito ha altresì affermato, con motivazione in relazione alla quale non si ravvisano ragioni di censurabilità, che gli elementi offerti al processo non erano comunque idonei a dimostrare il nesso di causalità fra i comportamenti dedotti e l’insorgere dell’intollerabilità del matrimonio, mancando ogni prova che questa non fosse stata determinata dall’insorgere in un coniuge di una grave patologia psichica.

3. Con il terzo motivo si denunciano la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e vizi motivazionali in relazione alla compensazione delle spese di primo e secondo grado.

Anche tale motivo è in parte infondato e in parte inammissibile, non essendovi alcuna violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., non essendo state le spese poste a carico della parte vittoriosa, come erroneamente dedotto con il motivo, ma compensate, motivandosi la compensazione delle spese dei due gradi di merito – in un contesto in cui vi era stata in entrambi i gradi soccombenza reciproca – in relazione alla natura della controversia ed all’esigenza di non inasprire ulteriormente i rapporti fra i coniugi, con valutazione incensurabile in questa sede.

Quanto alle spese del giudizio di cassazione, esse vanno poste a carico della ricorrente, soccombente sulla domanda di addebito già nei due gradi del giudizio di merito. Esse vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida nella misura di Euro duemila, di cui Euro duecento per spese vive, oltre spese generali e accessorie come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2011

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