Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1935 del 27/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/01/2011, (ud. 14/12/2010, dep. 27/01/2011), n.1935

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30225/2008 proposto da:

M.U., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato BRIGUGLIO Letterio, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT S.P.A. (quale incorporante il BANCO di SICILIA S.P.A.), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO 32/B, presso lo studio

dell’avvocato LIDIA CIABATTINI, rappresentata e difesa dall’avvocato

TOSI Paolo, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 528/2008 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 19/07/2008 r.g.n. 945/05;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/12/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato LIDIA SGOTTO CIABATTINI per delega PAOLO TOSI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 8.5/19.7.2008 la Corte di appello di Catania, pronunciando in sede di rinvio dalla Corte di cassazione, rigettava, in riforma della sentenza resa dal Pretore di Messina il 9.7/24.10.1996, la domanda proposta da M.U. nei confronti del Banco di Sicilia per la condanna al risarcimento del danno conseguente alla mancata promozione al grado di direttore.

Osservava in sintesi la corte territoriale che gli esiti dell’istruttoria, ed in particolare la ricostruzione dei punteggi da attribuire ai candidati delle varie selezioni controverse operata dal consulente tecnico nominato dal Tribunale (i cui accertamenti erano stati fatti propri dal ricorrente in seno al ricorso per riassunzione) portavano ad escludere che la sottovalutazione del punteggio fisso effettivamente spettante al lavoratore avesse determinato per lo stesso alcun reale pregiudizio, in quanto, pur con la corretta valutazione dei titoli e fermo restando l’incensurabilità del punteggio discrezionale attribuito dal datore di lavoro, per come accertato dal giudice di legittimità con statuizione passata in giudicato, lo stesso non avrebbe potuto, comunque, collocarsi in posizione utile ai fini della promozione.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso M.U. con due motivi. Resiste con controricorso l’Unicredit spa (quale incorporante il Banco di Sicilia Società per Azioni).

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione degli artt. 1173, 1218, 1223, 1375 e 1453 c.c., osservando, con riferimento alle promozioni dell’anno 1988, che sebbene la Corte di Cassazione avesse statuito, rigettando il relativo ricorso incidentale, che non potesse attribuirsi al dipendente per attitudini un punteggio superiore a quello discrezionalmente attribuito dal datore di lavoro, tuttavia tale statuizione non era d’ostacolo, alla luce delle regole di buona fede e correttezza, nel caso disapplicate, all’accertamento del diritto al risarcimento del danno, mancando alcuna motivazione in ordine al maggior punteggio discrezionale assegnato ai concorrenti che lo precedevano in graduatoria.

Con il secondo motivo, lamentando violazione delle stesse norme già indicate, nonchè dell’art. 166 c.p.c. (rectius art. 116), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, osserva, con riferimento alle promozioni dell’anno 1989, che la corte territoriale, incorrendo in un errore di valutazione, aveva omesso di considerare che al punteggio (di 46, 50) attribuito al ricorrente dovevano aggiungersi tre punti per l’accertata sottovalutazione dei titoli fissi e che, con tale punteggio, considerati tutti i promossi e non che lo precedevano in graduatoria, ben aveva diritto a conseguire la promozione richiesta.

Il primo motivo (ancorchè ammissibile, in quanto sostanzialmente conforme allo schema dell’art. 366 bis c.p.c.) è infondato.

La corte territoriale, interpretando correttamente l’accertamento di fatto rimessole dal Supremo Collegio (e precisamente, “se il M. avesse diritto a punteggio fisso utile (in concorso con il punteggio discrezionale attribuitogli dal Banco di Sicilia) per la sua collocazione tra i promossi al grado superiore”), ha, infatti, coerentemente escluso che potesse formare oggetto di rivalutazione il punteggio discrezionale attribuito nel corso delle selezioni interne, in conseguenza del giudicato interno formatosi sul punto.

Aveva rilevato, in proposito, la sentenza rescindente, confermando in parte qua la statuizione dei giudici di appello, che “…il Tribunale ha inteso affermare l’elevato grado di discrezionalità propria del Banco di Sicilia nell’attribuzione, all’interno della fascia, dei punteggi non strettamente collegati a valutazioni (“giudizi”) aggiuntive rispetto a quelle (di “attitudini eccezionali”) che davano titolo all’inclusione nella fascia …talchè non era possibile entrare nel merito dell’esercizio di tale facoltà nè in termini assoluti (riferiti solo al M.) nè in termini comparativi”, soggiungendo che “in ogni caso, sotto quest’ultimo profilo, il ricorrente avrebbe dovuto indicare nel ricorso le ragioni per cui, rispetto a ciascuno dei ricorrenti che lo precedevano (promossi e non promossi), egli avrebbe avuto diritto ad un punteggio discrezionale superiore a 13 punti e a una conseguente collocazione utile per essere promosso”, laddove, invece, lo stesso “non aveva mai contestato la valutazione dei concorrenti promossi e non promossi che lo precedevano, ma aveva dedotto solo la sottovalutazione dei titoli a lui attribuiti nel confronto con quelli che lo precedevano in graduatoria””.

Ne deriva che la sentenza impugnata, essendosi attenuta al principio dell’intangibilità del decisum statuito in sede di legittimità, si sottrae ad alcuna censura di infedele esecuzione dei compiti propri del giudice di rinvio, il quale è, anzi, tenuto, nell’osservanza dei suoi doveri istituzionali, non solo a rispettare i limiti che derivano dal divieto di ampliare il thema decidendum, adottando nuove e diverse conclusioni, ma anche ad osservare le eventuali preclusioni che discendano dal giudicato formatosi con la sentenza di cassazione.

Inammissibile è, invece, il secondo motivo, per mancata osservanza dell’art. 366 bis c.p.c..

Nessun quesito si rinviene, infatti, con riferimento alle fattispecie normative che si assumono violate, ma, anche a ritenere, per come assume il ricorrente, che, con tale motivo (e nonostante la sua articolazione letterale), lo stesso avesse inteso, in realtà, prospettare solo il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a fatti processuali controversi e decisivi per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, anche in tal caso farebbe difetto una corretta applicazione della norma legale, che, come noto, richiede un quid pluris rispetto all’illustrazione dei motivi, e cioè una autonoma e sintetica rilevazione dei fatti processuali rispetto ai quali si assume il vizio di motivazione.

Deve, infatti, ribadirsi, in aderenza a quanto ritenuto in modo costante da questa Suprema Corte, come l’onere imposto in parte qua dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non solo illustrando il motivo, ma anche formulando, al termine di esso e , comunque, in una parte del motivo a ciò espressamente dedicata, una indicazione riassuntiva e sintetica che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del ricorso e valga ad evidenziare, in termini immediatamente percepibili, il vizio motivazionale prospettato, e quindi l’ammissibilità del ricorso stesso (cfr. Cass. ord. n. 8897/2008; Cass. ord. n. 20603/2007; Cass. ord. n. 16002/2007). Nè, per come è appena il caso di soggiungere, può risultare a tal fine utile il riferimento che si rinviene nell’ultimo periodo (nel “Riepilogando”) del ricorso, dal momento che, in tal parte, si sintetizzano, in realtà, solo le ragioni per le quali il ricorrente era destinato a prevalere, per ragioni di anzianità di grado, sugli altri concorrenti che si sarebbero utilmente collocati in graduatoria con pari punteggio, ma non anche le ragioni per le quali lo stesso poteva inserirsi nella “rosa dei promossi”, sulla base di asseriti vizi motivazionali della decisione.

Il ricorso va, pertanto, rigettato, le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 37,00 per esborsi ed in Euro 2.500,00 per onorario di avvocato, oltre a spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011

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