Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19349 del 17/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 17/09/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 17/09/2020), n.19349

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26906-2012 proposto da:

S.M.G., S.M., COGESE SRL, elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA SALERNO 5, presso lo studio

dell’avvocato BALDASSARRE SANTAMARIA, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI ROMA III;

– intimata –

avverso la sentenza n 141/2112 COMM.TRIB.REG. del Lazio, depositata

il 30/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/11/2019 dal Consigliere Dott. ADET IONI NOVIK.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

– Costruzioni Generali S. S.r.l. (di seguito, la società: all’epoca dei fatti società di persone) ed i soci, S.M. e S.M.G., propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio (CTR), n. 141/21/12, depositata il 30/5/2012, di accoglimento dell’appello proposto dall’agenzia delle entrate avverso le sentenze di primo grado della CTP di Roma che avevano accolto, nei termini di seguito specificati, i ricorsi proposti dalla medesima S.r.l. per l’annullamento dell’avviso di accertamento di maggiori ricavi Iva, Irpeg e Irap, e dai soci per Irpef, relativo all’anno di imposta 2002, in relazione ai rapporti contrattuali intercorsi con la ditta individuale O.V., esercente l’attività di lavori generali di costruzioni edifici, ritenuti afferenti ad operazioni inesistenti;

– nello specifico, dalla sentenza impugnata si ricava che, con la sentenza n. 471/57/2010 il giudice di primo grado, nei confronti dei soci, aveva dichiarato la parziale estinzione del giudizio per cessata materia del contendere per la parte riguardante”. le imposte dirette, mentre per l’Iva aveva accolto il ricorso della società (in realtà, come emerge dal prosieguo, l’accoglimento aveva riguardato soltanto i pagamenti di fatture effettuati con assegni bancari, restandone esclusi quelli effettuati per contanti); con le sentenze n. 4654/11 e 4655/11 la CTP aveva accolto i ricorsi dei soci;

– il giudice di appello in accoglimento dei motivi di gravame formulati dall’agenzia, riuniti gli appelli, dichiarava la nullità delle sentenze emesse nei confronti dei soci per essere stata erroneamente dichiarata cessata la materia del contendere, “in quanto l’ufficio in autotutela aveva sgravato per condono solo la parte riguardante le imposte dirette, ma non l’Iva”; riteneva che le fatture emesse dalla ditta O. erano relative ad operazioni inesistenti, emesse da società “cartiere” in quanto, dal PVC del 20 maggio 2009, “l’esame, anche a mezzo controlli incrociati, ha evidenziato che la ditta individuale O.V. non era dotata di alcuna struttura operativa gestionale idonea allo svolgimento dell’attività dell’impresa”; rafforzava il proprio convincimento richiamando la giurisprudenza di legittimità che riteneva legittimo l’accertamento induttivo fondato su elementi indiziari offerti da scritture riferibili a terzi, quali assegni bancari rilasciati ai propri fornitori, dai quali desumere presuntivamente la riferibilità a servizi fatturati, derivando da ciò l’onere dell’imprenditore di fornire la prova della veridicità dell’operazione; nella specie, concludeva, che “i militari hanno accertato l’esistenza dell’organizzazione posta in essere allo scopo di lucrare indebite detrazioni Iva, quale risulta dal processo verbale di constatazione, per cui non si può far carico all’ufficio di fornire ulteriori elementi certi di prova, della partecipazione e della consapevolezza della frode da parte della società resistente”.

– il ricorso è affidato a cinque motivi, cui l’agenzia ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. preliminarmente si osserva che il controricorso è inammissibile in quanto dal controllo degli atti contenuti nel fascicolo è emerso che la controricorrente non ha depositato la cartolina postale della ricevuta di ritorno delle raccomandate.

2. rileva quindi il Collegio che, in relazione alla notificazione a mezzo posta, è consolidato l’orientamento della Corte secondo il quale, per il perfezionamento del procedimento notificatorio nei confronti del destinatario, è necessario ch’egli abbia ricevuto l’atto o che esso sia pervenuto nella sua sfera di conoscibilità; e che l’unico documento idoneo a fornire tale dimostrazione, nonchè della data in cui essa è avvenuta e dell’identità ed idoneità della persona cui il plico sia stato consegnato, è la ricevuta di ritorno della raccomandata (L. n. 890 del 1982, art. 149 cit., e art. 4, commi 3 e 8); ovvero, per il caso di suo smarrimento o distruzione, il duplicato rilasciato dall’ufficio postale. Così che, quando la legge – nel caso l’art. 370 c.p.c. – richiede la notificazione del controricorso ed il notificante non ottemperi all’onere di depositare in giudizio la ricevuta di ritorno, il contro ricorso è inammissibile.

3. Con il primo motivo di ricorso, i contribuenti denunciano “violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 56 (art. 360 c.p.c., n. 3”;

– evidenziano che con l’atto di appello nei confronti della società l’agenzia non aveva eccepito nulla in ordine alla declaratoria di legittimità del condono ai fini delle imposte dirette e l’Iva espressa dalla sentenza n. 471/57/10 della CTP: in conseguenza della mancata riproposizione dell’eccezione si era formato il giudicato interno sul punto, cosicchè illegittimamente la CTR aveva pronunciato in ordine al condono;

– il motivo è infondato, in quanto “nel processo tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 56 nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento, come il corrispondente art. 346 c.p.c., all’appellato e non all’appellante, principale o incidentale che sia, in quanto l’onere dell’espressa riproposizione riguarda, nonostante l’impiego della generica espressione “non accolte”, non le domande o le eccezioni respinte in primo grado, bensì solo quelle su cui il giudice non abbia espressamente pronunciato (ad esempio, perchè ritenute assorbite), non essendo ipotizzabile, in relazione alle domande o eccezioni espressamente respinte, la terza via – riproposizione/rinuncia – rappresentata dall’art. 56 del citato D.Lgs. e art. 346 codice di rito, rispetto all’unica alternativa possibile dell’impugnazione – principale o incidentale – o dell’acquiescenza, totale o parziale, con relativa formazione di giudicato interno” (Cass. n. 7702 del 2013).

4. Con il secondo motivo di ricorso, i contribuenti denunciano “omessa motivazione su elementi decisivi del giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) “;

– evidenziano che la CTR aveva erroneamente dichiarato la nullità delle sentenze emesse nei confronti dei soci non considerando che lo sgravio operato dall’ufficio ai fini delle imposte sui redditi doveva necessariamente operare per i profili Irpef anche nei confronti dei soci; in particolare per quanto atteneva al socio S.M., a prescindere dalla presentazione della dichiarazione di condono, la definizione della società, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9 aveva effetto anche per la sua posizione; nei riguardi della socia S.M.G., correttamente la sentenza della CTP aveva esteso gli effetti favorevoli della sentenza contestualmente emessa nei confronti della società; per quanto atteneva alla società, si menziona un rinvio agli atti depositati nei precedenti gradi di giudizio, “le cui argomentazioni si intendono espressamente richiamate”;

– la censura è inammissibile: si osserva che “il vizio di motivazione, denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche, giacchè – ove il giudice del merito abbia correttamente deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame, sia pure senza fornire alcuna motivazione o fornendo una motivazione inadeguata, illogica o contraddittoria – la Corte di cassazione, nell’esercizio del potere correttivo attribuitole dall’art. 384 c.p.c., comma 2, deve limitarsi a sostituire, integrare o emendare la motivazione della sentenza impugnata” (Cass., sez. unite, 25 novembre 2008, n. 28054; Cass. n. 5595 del 2003); nel caso in esame, la CTR, ha dichiarato nulle le sentenze emesse nei confronti dei soci avendo ritenuto la parzialità dello sgravio emesso nei loro confronti, relativo solo alle imposte dirette e non all’Iva (vale a dire, all’efficacia sulle posizioni dei soci delle riprese concernenti le operazioni inesistenti), e l’inefficacia del condono presentato; la motivazione esiste e non è mancante;

– quanto alla posizione della società, il mero rinvio agli atti presenti nel fascicolo non soddisfa il principio di autosufficienza del ricorso che impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo.

5. Con il terzo motivo i contribuenti deducono “omessa motivazione sull’inesistenza delle operazioni (art. 360 c.p.c., n. 5)” avendo la CTR trascurato di considerare se fossero stati o meno eseguiti i lavori nei vari cantieri da parte della ditta O.;

– osservano che il contenuto del PVC del 20/5/2009, genericamente richiamato nella sentenza, era contrastante con l’affermazione della stessa di “cartiera” o mancanza di struttura operativa, e con la mancanza di anomalie nelle scritture contabili;

– affermano che presso la sede Inail erano state evidenziate 19 posizioni di operai della ditta e che non era stata data rilevanza alle conclusioni cui erano pervenuti i militari della Guardia di Finanza di Roma negli accertamenti eseguiti presso i vari cantieri che non avevano messo in dubbio che le prestazioni erano state rese (PVC 9/7/2009, allegato al ricorso alla CTP di Roma; accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza di Roma 22/3/2010 e 6/4/2010);

– concludono che le contrarie dichiarazioni rese da O., in contrasto con le fatture emesse e dei pagamenti ricevuti, erano funzionali ad eludere le responsabilità a suo carico per gli omessi versamenti Iva.

6. Con il quarto motivo, i ricorrenti deducono “insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi del giudizio (art. 360 c.p.c. n. 5)” non essendo state valutate le dichiarazioni rese alla Guardia di Finanza di Roma e riportate nelle PVC 6/4/2010 da alcuni dipendenti della ditta ( S.A. e D.C.F.);

– le censure che possono essere esaminate congiuntamente sono inammissibili, non risultando soddisfatti i requisiti posti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6;

– nel ricorso per cassazione, infatti, è essenzialeilrequisito, prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 3, dell’esposizione sommaria dei fatti sostanziali e processuali della vicenda, con la conseguenza che la relativa mancanza determina l’inammissibilità del ricorso, essendo la suddetta esposizione funzionale alla comprensione dei motivi nonchè alla verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 10072 del 2018);

– il requisito di contenuto-forma previsto, a pena inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), deve essere assolto necessariamente con il ricorso e non può essere ricavato da altri atti, quali la sentenza impugnata o il controricorso, perchè la causa di inammissibilità non può essere trattata come una causa di nullità cui applicare il criterio del raggiungimento dello scopo, peraltro, riferibile ad un unico atto. (Sez. 6 3, Ord. n. 18623 del 2016);

– il ricorrente, inoltre, deve specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso; in particolare il ricorrente, il quale intenda dolersi della mancata o erronea valutazione di un atto o documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) – di produrlo agli atti (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di indicarne il contenuto (trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso); la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile (Sez. 6 – 3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016);

– nella specie, i ricorrenti non riportano la motivazione degli atti di accertamento e di verifica di cui lamentano l’omessa o insufficiente motivazione, limitandosi a trascrivere brevi brani delle dichiarazioni rilasciate da due operai, isolate dal contesto complessivo, impedendo alla Corte di valutare la congruità delle stesse e l’invocato contrasto tra il PVC redatto dalla Guardia di Finanza di Frosinone e quello redatto dalla GDF di Roma;

– va inoltre considerato che, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330 – 01) e che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;

– il giudice di merito, come rilevato nella parte in “fatto” ha dato conto della propria valutazione, indicando gli elementi per cui le fatture emesse dalla ditta O. dovevano ritenersi relative ad operazioni inesistenti, emesse da società “cartiere”, richiamando il contenuto del PVC del 20 maggio 2009 secondo cui, “l’esame, anche a mezzo controlli incrociati, ha evidenziato che la ditta individuale O.V. non era dotata di alcuna struttura operativa gestionale idonea allo svolgimento dell’attività dell’impresa” e la sua funzionalità a frodare il fisco.

7. Con il quinto motivo i ricorrenti deducono “omessa motivazione sulla partecipazione o consapevolezza della frode (art. 360 c.p.c., n. 5)” da parte della società;

– evidenziano che in tema di frode all’Iva la giurisprudenza comunitaria aveva ritenuto detraibile tale tributo qualora il committente non sappia o non possa conoscere la natura evasiva delle operazioni poste in essere da altri;

– richiamano quanto accertato dalla Guardia di Finanza di Roma, e riportato nel PVC di quella di Frosinone, secondo cui non erano state rilevate violazioni contabili all’interno della società sui pagamenti effettuati alla ditta O.;

– va premesso che “In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili” (Sez. 5, Sentenza n. 428 del 14/01/2015, Rv. 634233 – 01). E’ superfluo precisare, trattandosi di principi generali in tema di prova, che la prova dell’inesistenza delle operazioni può ben consistere in presunzioni semplici, poichè la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n. 9108 del 2012, cit.). Pertanto, nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, cioè sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA e/o deduzione dei costi, ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata (ad esempio, provando che la società emittente la fattura è una “cartiera”, quali ad es. la mancanza di sede, la mancanza di iscrizione, l’omesso versamento delle imposte) e a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Quest’ultima prova non potrà consistere, però, per quanto detto sopra, nella esibizione della fattura, nè nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (tra le altre, (v. Cass. n. 14237 del 07/06/2017; Cass. n. 20059 del 24/09/2014; Cass. n. 25778 del 05/12/2014; Cass. n. 10414 del 12/05/2011; nello stesso senso Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C-439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, Mahageben e David, C-80/11 e C-142/11);

– il giudice tributario di appello ha fatto corretta applicazione di questi principi affermando che, dall’esame del PVC del 20 maggio 2009, si era evidenziato che ” la ditta individuale O.V. non era dotata di alcuna struttura operativa e gestionale idonea allo svolgimento dell’attività dell’impresa” e che i contribuenti non avevano dimostrato la veridicità delle operazioni commerciali documentate dalle fatture;

– è escluso che, accertata l’assenza dell’operazione, possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente (il quale sa bene se una determinata fornitura di beni o prestazione di servizi l’ha effettivamente ricevuta o meno).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Nulla per le spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Dichiara inammissibile il controricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 29 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2020

 

 

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