Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19348 del 10/09/2010

Cassazione civile sez. lav., 10/09/2010, (ud. 06/07/2010, dep. 10/09/2010), n.19348

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – rel. Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30916-2006 proposto da:

TECNOLIFTS DI TONINELLI PIERINO & C. S.N.C., in persona del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V LE

PARIOLI 180, presso lo studio dell’avvocato BRASCHI FRANCESCO LUIGI,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati PEREGO ENRICO,

ROMANO ALESSANDRO, giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FONDIARIA – S.A.I. S.P.A. già S.A.I. – SOCIETA’ ASSICURATRICE

INDUSTRIALE S.P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA

CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell’avvocato PERILLI MARIA

ANTONIETTA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

ROBOTTI LUCIANA, PENCO FELICE, giusta mandato a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

B.A.;

– intimato –

sul ricorso 34893-2006 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE

87, presso lo studio dell’avvocato BELLI BRUNO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato BONARDI PIETRO, giusta mandato a

margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

TECNOLIFTS DI TONINELLI PIERINO & C. S.N.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 737/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 08/11/2005 R.G.N. 1306/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/07/2010 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FOGLIA;

udito l’Avvocato BRASCHI FRANCESCO LUIGI;

uditi gli avvocati PERILLI MARIA ANTONIETTA e RAPISARDA GIUSEPPE M.F.

per delega BRUNO BELLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per l’accoglimento secondo motivo

del ricorso principale e rigetto del ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 21 febbraio 2000, la s.n.c. Tecnolifts di Toninelli e C. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Brescia con la quale era stata condannata al risarcimento del danno biologico in favore del dipendente B.A. per infortunio sul lavoro, di cui quest’ultimo era rimasto vittima il (OMISSIS) nel corso della installazione di un ascensore di produzione della società datrice di lavoro, e con la quale era stata respinta anche la sua domanda di garanzia nei confronti della SAI Assicurazioni s.p.a., la cui chiamata in causa era stata autorizzata dal Giudice di primo grado.

Dopo la costituzione in giudizio del B. – il quale spiegava appello incidentale, con il quale lamentava il rigetto della domanda di risarcimento del danno biologico per invalidità temporanea (essendo stata quest’ultima accertata dal c.t.u. per 873 giorni) e della domanda di risarcimento del danno N morale (non precluso dal decreto di archiviazione del reato di lesioni colpose emesso nell’ambito del processo penale), e dopo la costituzione anche della società assicuratrice, la Corte di appello di Brescia, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda dell’infortunato, compensando tra le parti le spese processuali per ambedue i gradi (sentenza del 29 giugno 2000, n. 158).

Nel pervenire a tale conclusione la Corte premetteva che era risultato non controverso tra le parti che il B. assunto dalla società il (OMISSIS) con contratto di formazione e lavoro – era stato addestrato per due anni come aiuto montatore, seguendo inoltre settimanalmente un corso pratico-teorico per l’apprendimento delle norme tecniche che disciplinano il settore delle costruzioni e installazione dei montacarichi, con assunzione definitiva, al termine di due anni di formazione, con la qualifica di montatore abilitato di ascensori. Il lavoratore, prima dell’infortunio, si era già occupato del montaggio di quattro ascensori a fune, mentre, per la fase di montaggio, la società datrice di lavoro aveva addestrato i dipendenti secondo direttive precise e specifiche consistenti nella posa in opera nel vano ascensore delle guide attraverso le quali doveva essere fatta passare la fune, nella posa in opera, alla base dell’ascensore, dello scheletro della cabina da collegare alle funi, nella messa in movimento della cabina lungo le funi con la tastiera volante dotata di due bottoni a pressione (uno per la salita e l’altro per la discesa), nel montaggio degli ulteriori componenti mediante risalita graduale lungo il vano ascensore, con arresto in corrispondenza dei punti dove dovevano essere eseguite le varie operazioni di installazione, nel posizionamento del fermo corsa mediante l’utilizzazione di cavalletti posti sul fondo della cabina per consentire all’operatore di eseguire il montaggio anche al di sopra del tetto della cabina stessa.

Nel caso di specie, l’infortunio si era verificato perchè il B., anzichè rimanere all’interno della cabina come da istruzioni, aveva scelto di operare a cavalcioni sullo scheletro del tetto della stessa. Manovrando da tale posizione, la pulsantiera per salire ai vari livelli, il B. non si era avveduto di aver superato l’ultimo piano, dove doveva montare il fine corsa elettrico.

A giudizio della Corte di appello di Brescia le modalità di lavoro scelte dall’ infortunato erano non solo totalmente difformi dalle istruzioni impartite, sicchè poteva affermarsi che la dinamica dell’infortunio evidenziava una gravissima negligenza da parte del lavoratore il quale non aveva accertato l’esistenza del basamento di fine corsa quale strumento per operare in regime di sicurezza.

In accoglimento del ricorso per cassazione proposto dal lavoratore avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia, questa Corte, con sentenza del 5 dicembre 2003, n. 18603, cassava la prima sentenza e rinviava alla Corte di appello di Milano, enunciando il seguente principio di diritto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

“L’imprenditore nei casi di esternalizzazione di alcune fasi del processo produttive ha l’obbligo di accertare i rischi per qualsiasi motivo conseguenti all’affidamento dei lavori commissionati a soggetti terzi, al fine di renderli edotti, alla stregua del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 4, lett. b) i propri dipendenti della sussistenza (o permanenza) di situazioni di pericolo, ed al fine altresì di munirli – come prescritto dall’art. 5, comma 3, del suddetto D.P.R. – di dispositivi di sicurezza idonei ad eliminare le situazioni di pericolo riscontrate, configurandosi, in caso contrario, una responsabilità dell’imprenditore per l’infortunio subito dal dipendente per la mancata conoscenza dei pericoli cui è stato esposto”.

Il giudizio di rinvio veniva riassunto dal B. il quale insisteva perchè venisse dichiarata l’esclusiva responsabilità della Tecnolifts e venissero liquidati anche il danno biologico per l’invalidità temporanea ed il danno morale, con la rivalutazione del complessivo importo.

Con sentenza del 9 novembre 2005 la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Brescia e condannava la soc. Tecnolifts a pagare al B. le spese successive liquidate in Euro 8.000.

Sottolineava la Corte territoriale che, alla luce del principio di diritto enunciato dalla Cassazione, non può essere sufficiente la condotta imprudente dell’infortunato per escludere del tutto la responsabilità della società datrice di lavoro.

Quanto, infine, alla domanda di garanzia nei confronti della compagnia assicuratrice rilevava la Corte di appello di Milano che la SAI insisteva sulla eccezione di nullità della chiamata in causa per inosservanza del termine assegnato dal primo Giudice per la sua chiamata. Effettivamente, il primo giudice aveva concesso una proroga su richiesta della Tecnolifts intervenuta quando il termine ex art. 269 c.p.c. per la sua chiamata in causa era già scaduto, e inoltre, trattandosi di un termine improrogabile, la sua scadenza aveva già determinato l’inammissibilità della chiamata.

Avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, ricorrono la Tecnolifts con due motivi e successivo ricorso incidentale, la soc. SAI con controricorso, e lo stesso infortunato con controricorso e ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Vanno preliminarmente riuniti i ricorsi, principale ed incidentale, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., trattandosi di atti aventi ad oggetto l’impugnazione della medesima sentenza.

Col primo motivo – denunziando la violazione o falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, e 1223 c.c. in relazione all’art. 2087 c.c., D.P.R. n. 1497 del 1963, art. 23; D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 4 e 5; nonchè omessa motivazione circa punti decisivi della controversia, con conseguente nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – osserva la società ricorrente che il D.P.R. n. 1497 del 1963, art. 23 (recante l’approvazione del regolamento per gli ascensori e montacarichi) all’epoca vigente, consentiva che la parte superiore dell’arcata porta cabina potesse raggiungere, pur in presenza degli arresti fissi nella fossa, una distanza di 30 cm. dal soffitto del vano ascensore. Queste prescrizioni tendono ad impedire l’urto del tetto della cabina contro il soffitto del vano ascensore e non certo quella di proteggere chi imprudentemente sia salito sopra l’ascensore. Il limitato spazio non avrebbe impedito a tale persona, anche se sdraiata, di essere schiacciata contro il soffitto del vano ascensore.

La Corte milanese ha concluso che la presenza del dispositivo di fermo avrebbe consentito al B. di avvertire ancor prima l’arrivo di fine corsa, con conseguente possibilità, per il B., con una maggiore possibilità di tempestiva reazione per evitare l’impatto.

Va aggiunto che la società ricorrente aveva dedotto l’assenza di un nesso di causalità tra la mancata installazione del dispositivo di blocco a 30 cm dal soffitto e l’infortunio. La Corte territoriale, nella sua sentenza ha così del tutto omesso di affrontare la fondamentale questione del nesso di causalità tra l’infortunio e l’omessa installazione di quel dispositivo di sicurezza richiesto per prevenire l’urto del tetto della cabina contro il soffitto e non a tutela del lavoro. La Corte avrebbe, dunque, violato il principio di causalità allorchè conclude che “alla luce del principio di diritto enunciato dalla sentenza di rinvio n. 18603 del 2003 della Cassazione, non può essere sufficiente la condotta imprudente del lavoratore, collocatosi a cavalcioni sopra la cabina, anzichè compiere le sue manovre di verifica all’interno dell’ascensore, per escludere la responsabilità della società datrice di lavoro.

Conclude il ricorrente che nel caso specifico, il comportamento del B. che decideva di collocarsi sopra la cabine dell’ascensore anzichè operare dall’interno della stessa, assume i connotati della “abnormità” o esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo impartito dal datore di lavoro, al punto da porsi quale causa esclusiva dell’evento (cfr. Cass. n. 7636/96). L’argomentazione della società ricorrente non può essere condivisa.

Considerato che il B. non aveva grande esperienza di impianti a fune, (sarebbe stato prudente verificare l’impianto sul quale il dipendente avrebbe dovuto operare), la Corte di appello di Milano sosteneva – anche alla luce dell’art. 2087 c.c. – che doveva affermarsi la responsabilità della società datrice di lavoro, nella causazione dell’evento, sia pure in concorso con la grave imprudenza compiuta dal B.; imprudenza da valutarsi – anche in considerazione della preparazione tecnica dell’infortunato – nella misura del 50%.

Considerando il concorso di responsabilità del B., anche l’importo liquidato dal primo giudice per l’intero risarcimento del danno biologico determinato secondo le risultanze della c.t.u., doveva essere ridotto alla metà. In concreto, considerando il danno morale nella misura del 50% in L. 20.000.000 e quello biologico per l’invalidità totale temporanea in L. 10.000.000 (sempre pro quota) il totale corrisponde a quanto liquidato dal primo giudice.

Col secondo motivo – lamentando la violazione del giudicato interno e dell’art. 394 c.p.c., con conseguente nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 – osserva la società ricorrente che l’eccezione di nullità della chiamata in giudizio della SAI, respinta dal primo giudice, non fu riproposta avanti alla corte di appello di Brescia, alla quale, invece, la Tecnolifts aveva richiesto la condanna della SAI alla manie va per il caso di conferma della sentenza di primo grado.

In sede di rinvio, la SAI ha riproposto, dunque, una eccezione processuale già definitivamente respinta e quindi preclusa.

La Corte milanese, con la sentenza oggetto del presente giudizio, dopo aver condannato la Tecnolifts a pagare al B. la somma di L. 60.000.000, ha respinto la domanda di manleva nei confronti della Compagnia assicuratrice con la motivazione che “per quanto riguarda la domanda di garanzia nei confronti della società assicuratrice, la SAI insiste sulla eccezione di nullità della chiamata in causa per inosservanza del termine assegnato all’uopo dal primo giudice.

In effetti il primo giudice aveva concesso una proroga su richiesta della Tecnolifts, intervenuta quando il termine per la chiamata in causa del terzo, fissato dall’art. 269 c.p.c. era già scaduto e, poichè si tratta di un termine non prorogabile neanche su accordo delle parti, la sua scadenza aveva determinato l’inammissibilità della chiamata”.

Nel suo controricorso al ricorso principale, il B. deduce:

a) che la Tecnolifts ha omesso di considerare che, il lavoratore infortunato, a causa della mancanza dei “cavalletti” che il datore di lavoro avrebbe dovuto fornirgli, non aveva altra possibilità che non quella di posizionarsi “a cavalcioni” ovvero sulla parte superiore della cabina priva di tetto. Ciò dimostra che la condotta abnorme dell’infortunato deve dirsi “indotta” dalla stessa società datrice di lavoro cui va imputata la responsabilità dell’evento;

b) per altro verso, lasciando che il B. svolgesse da solo il suo intervento, la società datrice di lavoro aveva finito col trascurare ogni sorveglianza diretta, costringendo il medesimo lavoratore ad “arrangiarsi” come meglio poteva.

c) il B. avrebbe potuto facilmente evitare di rimanere schiacciato, “lasciandosi scivolare all’interno della cabina stessa.

Il ricorso principale della società datrice di lavoro non può essere accolto, sia perchè unicamente fondato su riferimenti e circostanze di fatto inedite, sia perchè non corredato da alcuna valutazione circa l’incidenza causale delle condotte attribuite al lavoratore infortunato. Sul ricorso incidentale proposto dal B., si osserva:

1) quanto al primo motivo (violazione o falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c), la Corte di appello milanese, non si sarebbe attenuta al principio di diritto enunciato dalla sent. n. 18603/03: infatti, pur avendo riconosciuto che la Tecnolifts non si era per nulla preoccupata nè di verificare lo stato delle opere da altri eseguite (tanto da ignorare colpevolmente la mancanza del fermo meccanico), nè di fornire i cavalletti, il Giudice di appello si è poi discostato dalla conclusione che le era stata chiaramente indicata, affermando che sia il datore di lavoro, sia il lavoratore, erano entrambi responsabili in pari misura;

2) quanto al secondo motivo (contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo) il B. lamenta che la Corte di appello ha omesso di considerare che la condotta della Tecnofilts aveva palesemente violato le prescrizioni dettate dal D.P.R. n. 547, art. 4, lett. b) e art. 5, comma 3. Queste ultime norme – dettate per la prevenzione degli infortuni sul lavoro pone a carico dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti che eserciscono, dirigono o sovraintendono alle attività indicate dall’art. 1 (attività pericolose), l’obbligo di “… rendere edotti lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e portare a loro conoscenza le norme essenziali di prevenzione mediante affissione negli ambienti di lavoro, di estratti delle presenti norme o, nei casi in cui non sia possibile l’affissione, con altri mezzi”, (art. 4, nn. 1 e 4, L. cit.).

Le omissioni si pongono come un decisivo “prius” logico rispetto al comportamento del lavoratore; il quale non avrebbe assunto la (innaturale) posizione lavorativa soltanto se la società gli avesse fornito le attrezzature idonee e se i soggetti appena indicati lo avesse avvertito sui pericoli di una condotta del genere di quella tenuta dall’ infortunato.

3) col terzo motivo del ricorso incidentale – denunciando la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4, lett. b) e c) e art. 5 e dell’art. 2087 c.c. – lamenta il B. che la decisione della corte milanese, di attribuire il 50% della responsabilità dell’evento, riprende quanto affermato dalla sentenza della Corte di appello di Brescia sulla cui erroneità si era già pronunziata questa Corte (sent. n. 18603/03).

Quanto al precetto – generale – dettato dall’art. 2087 c.c. (destinata ad operare in difetto di norme specifiche, se è vero che non prevede l’automatica responsabilità del datore di lavoro ogni qualvolta si verifichi un infortunio, richiedendosi pur sempre che l’evento sia riferibile a colpa del medesimo, è pur vero che può accadere che la condotta del lavoratore assuma connotati tali da escludere del tutto la responsabilità del datore di lavoro: il che avviene in tutti i casi in cui il comportamento del lavoratore presenti i caratteri dell’abnormità o dell’assoluta esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, ovvero quando la condotta del lavoratore rappresenti la causa esclusiva dell’infortunio (Cass. nn. 7454/02: 13690/00 ecc.).

Può anche accadere che la condotta del lavoratore, pur non assorbendo ogni responsabilità datoriale, concorra a ridurne la portata o la gravità, come ha ritenuto la Corte di appello milanese, in contrasto con la costante giurisprudenza della s.c. (sent. n. 5493 del 2006 secondo la quale “l’eventuale colpa del lavoratore dovuta ad imprudenza, imperizia, negligenza, non esclude quella del datore di lavoro che è comunque obbligato ad assicurare al dipendente la sicurezza sui luoghi di lavoro, tenendo conto anche delle eventuali imprudenze di quest’ultimo.

Col quarto motivo – denunciando l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, e la violazione o falsa applicazione dell’art. 429 c.p.c. – osserva il lavoratore che la Corte di appello milanese si è limitata a confermare la sentenza di primo grado – pur discutibile – così escludendo il B. a vedersi rivalutato l’importo riconosciutogli.

Anche questo motivo non è fondato.

La rivalutazione monetaria sulla somma riconosciuta a titolo di danno biologico aveva formato oggetto sia dell’appello incidentale proposto dal B., innanzi alla Corte di appello di Brescia, sia del ricorso per la riassunzione ex art. 392 c.p.c., e tuttavia la mancata allegazione al riguardo q v integra un vizio dell’impugnata sentenza senza necessità di una sua riforma. Come è noto, sull’art. 429 c.p.c. la giurisprudenza ormai consolidata ha sempre affermato che il risarcimento dovuto al lavoratore infortunato, dipendente dalla mancata predisposizione, da parte del datore di lavoro, delle misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei dipendenti rientra nell’ampia accezione di credito di lavoro cui è applicabile la norma appena citata, trattandosi anche di un danno di origine contrattuale e strettamente connesso con lo svolgimento del rapporto di lavoro (Cass., 8 aprile 2002, n. 5024).

Per quanto sin qui considerato, deve disporsi il rigetto di entrambi i ricorsi, principale ed incidentale, sopra già riuniti in sede preliminare, con compensazione integrale delle spese del presente giudizio, vista la parziale reciproca soccombenza di entrambe le parti. Va altresì disatteso il ricorso della s.p.a. Fondiaria SAI, Società Assicuratrice Industriale.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Respinge altresì il controricorso della Fondiaria S.A.I. s.p.a. Compensa per intero le spese del presente giudizio tra le parti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2010

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