Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19345 del 22/09/2011

Cassazione civile sez. I, 22/09/2011, (ud. 10/05/2011, dep. 22/09/2011), n.19345

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.A. e F.E., elettivamente domiciliati in Roma,

a viale G. Mazzini n. 146, presso l’avv. SPAZIANI TESTA EZIO, dal

quale, unitamente all’avv. COSTA UMBERTO del foro di Padova, sono

rappresentati e difesi in virtù di procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PADOVA, in persona del Sindaco p.t., elettivamente

domiciliato in Roma, alla via del Viminale n. 43, presso l’avv.

LORENZONI FABIO, dal quale unitamente agli avv. DE SIMONE CARLO e

ALESSANDRA MONTOBBIO, è rappresentato e difeso in virtù di procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia n. 1162/04,

pubblicata il 14 luglio 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10

maggio 2011 dal Consigliere dott. Guido Mercolino:

udito l’avv. Spaziani Testa per i ricorrenti e l’avv. Meloni per

delega del difensore del controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. GOLIA Aurelio, il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con sentenza del 14 luglio 2004. la Corte d’Appello di Venezia ha determinato rispettivamente in Euro 12.872,68 ed Euro 4.470,17 le indennità di espropriazione ed occupazione dovute dalla Provincia di Padova ad F.A. ed F.E. per l’esproprio, disposto con decreto del 25 giugno 1990, di un fondo sito in (OMISSIS), e riportato in Catasto al foglio 181, particella 166.

Premesso che l’espropriazione era stata disposta per la realizzazione di un campo di calcio e del relativo spogliatoio, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha escluso la natura edificatoria del fondo ed ha determinato le indennità secondo i criteri di cui alla L. 22 ottobre 1971, n. 865, rilevando che all’epoca dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio l’immobile ricadeva, secondo il piano regolatore generale, in zona destinata a verde pubblico ed attrezzato di quartiere, nell’ambito della quale l’accesso dei privati all’edificazione era escluso dalla natura pubblica delle strutture consentite, ed era comunque subordinato ad apposita deliberazione del Consiglio comunale.

2. – Avverso la predetta sentenza i F. propongono ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo. La Provincia resiste con controricorso, illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano la violazione del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis convertito in L. 8 agosto 1992, n. 359, sostenendo che la vocazione edificatoria del fondo non può essere esclusa in presenza di una classificazione urbanistica che preveda la possibilità di interventi ad iniziativa non solo pubblica, ma anche privata o promiscua, indipendentemente dalla circostanza che essi siano attuabili direttamente o attraverso strumenti di convenzionamento.

1.1. – Il motivo è infondato.

La Corte d’Appello ha accertato che, al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, il fondo di proprietà dei ricorrenti era classificalo, nel piano regolatore generale del Comune di Padova, come area a verde pubblico ed attrezzato di quartiere, destinata al gioco dei bambini, a spazi di sosta nel verde, a parco di quartiere ed a nuclei sportivi attrezzati, nell’ambito della quale era prevista la realizzazione di impianti coperti e scoperti di superficie limitata per le attività sportive e di parcheggi a supporto delle necessità del servizio, e l’intervento dei privati era subordinato ad apposita deliberazione del consiglio comunale.

Alla stregua di tale accertamento, non appare censurabile l’affermazione della natura non edificatoria del fondo espropriato, giustificata dalla Corte territoriale con la natura pubblica delle strutture consentite e con l’esclusione, in via ordinaria, di interventi edilizi ad opera dei privati, non previsti direttamente dal piano regolatore ma rimessi alle determinazioni dell’Amministrazione comunale. Tale conclusione trova infatti conferma nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la nozione di edificabilità, pur non identificandosi e non esaurendosi nel fenomeno dell’edificabilità residenziale abitativa, si riferisce a quelle forme di trasformazione del suolo, che, costituendo estrinsecazione dello jus aedificandi connesso al diritto di proprietà, sono riconducigli in ogni caso alla figura tecnica ed economica dell’edificazione (ancorchè a tipologia vincolata), risultando quindi soggette al relativo regime delle autorizzazioni previsto dalla vigente legislazione edilizia (cfr. Cass., Sez. 1^, 13 gennaio 2010, n. 404; 27 maggio 2005, n. 11322; 9 gennaio 2003, n. 112). Essa, pertanto, non è ravvisabile nel caso in cui l’area sia vincolata ad usi meramente pubblicistici, come quello risultante dalla classificazione a verde pubblico di quartiere, non consentendo tale destinazione le indicate forme di edificazione, neppure ove sia prevista la realizzazione di strutture a servizio del sito, con limitato indice di fabbricabilità, trattandosi di interventi funzionali all’attuazione delle finalità pubbliche connesse alla previsione urbanistica (cfr. tra le più recenti, Cass. Sez. 1^, 6 agosto 2009, n. 17995: 14 giugno 2007, n. 1391 7; 20 novembre 2006, n. 24585).

2. – Nelle more della decisione, la Corte costituzionale, con sentenza n. 181 del 2011, ha peraltro dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 333 del 1992, art. 5-bis, comma 4, (e, in via consequenziale, del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 40, commi 2 e 3), per contrasto con l’art. 117 Cost., comma 1, in riferimento all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, nonchè con l’art. 42 Cost., in quanto tale disposizione, in combinato disposto con la L. n. 865 del 1971, art. 15, comma1, secondo periodo, e art. 16, commi 5 e 6, come sostituiti dalla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 14 faceva riferimento, per la determinazione delle indennità di espropriazione relative ai suoli agricoli ed a quelli non edificabile ad un valore che prescindeva dall’area oggetto del procedimento espropriativo, trascurando le caratteristiche di posizione del suolo, il valore intrinseco del terreno, la maggiore o minore perizia nella conduzione del fondo e quant’altro può incidere sul valore venale di esso, in tal modo eludendo il ragionevole legame con il valore di mercao, prescritto dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e coerente con il serio ristoro richiesto dalla giurisprudenza consolidata della stessa Corte costituzionale.

Ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30, comma 3, la dichiarazione d’illegittimità costituzionale della predetta disposizione ne esclude l’applicabilità con effetto retroattivo, con l’unico limite delle situazioni consolidate per essersi il relativo rapporto definitivamente esaurito, potendosi legittimamente considerare esauriti, peraltro, i soli rapporti rispetto ai quali si sia formato il giudicato o si sia verificato un altro evento cui l’ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero si siano verificate preclusioni processuali, o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d’incostituzionalità (cfr. Cass., Sez. 3^, 20 aprile 2010, n. 9329; 19 luglio 2005. n. 15200; Cass., Sez. 1^, 18 luglio 2006, n. 16450).

La predetta sentenza spiega pertanto efficacia anche in riferimento ai giudizi, come quello in esame, pendenti alla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, non ostandovi, qualora il giudizio penda in fase d’impugnazione, la circostanza che, come nella specie, il gravame abbia ad oggetto la sola contestazione dell’inedificabilità del fondo, e non anche l’individuazione del criterio legale in base al quale ha correttamente avuto luogo la liquidazione dell’indennità, una volta accertata detta inedificabilità: in ordine all’individuazione di detto criterio, non è infatti concepibile la formazione di un giudicato autonomo, ne l’acquiescenza allo stesso, poichè il bene della vita alla cui attribuzione tende l’opponente alla stima è l’indennità, liquidata nella misura di legge, non già l’indicato criterio legale, così che l’impugnazione del credito indennitario rimette in discussione proprio il criterio legale utilizzato dalla sentenza determinativa dell’indennità, ed il relativo capo, fondandosi sulla premessa dell’applicabilità dell’art. 5-bis cit., non è suscettibile, venuta meno tale premessa, di conservare la natura e gli effetti di un’autonoma statuizione (cfr. Cass., Sez. 1^, 5 settembre 2008, n. 22409).

2.1. – Quanto all’individuazione del criterio da applicare per la liquidazione delle indennità di espropriazione relative ad aree non edificabile il venir meno di quello previsto dalle disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime comporta la reviviscenza del criterio del valore venale di cui alla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 40, la cui applicabilità si desume, come già affermato da questa Corte, dall’art. 834 cod. civ.: tale disposizione, infatti, nel prevedere che l’indennità dovuta a chi sia stato privato della sua proprietà per una causa di pubblico interesse legalmente dichiarata debba essere giusta, evoca un requisito di congruità dell’indennità che, in assenza di indicazioni legislative, rimanda a categorie del diritto naturale ed accosta inevitabilmente l’interprete alla CEDU ed al relativo Protocollo addizionale, nell’interpretazione fornitane dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo cui l’indennizzo non può considerarsi legittimo se non consiste in una somma che si ponga in rapporto ragionevole con il valore del bene, e che equivalga, nel caso di espropriazione isolata, ad una riparazione integrale (cfr. Cass., Sez. 1^, 14 dicembre 2007, n. 26275; Corte EDU. sent. 29 marzo 2006, Scordino c. Italia).

3. – La sentenza impugnata va pertanto cassata, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’Appello di Venezia, la quale provvederà, in diversa composizione, ad una nuova liquidazione delle indennità di espropriazione ed occupazione, in applicazione del criterio legale risultante dalla sopravvenuta modificazione del quadro normativo, nonchè al regolamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Venezia anche per la liquidazione delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 8 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2011

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