Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19345 del 07/07/2021

Cassazione civile sez. III, 07/07/2021, (ud. 09/02/2021, dep. 07/07/2021), n.19345

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.F., (cod. fisc. TKAFLX86E27Z335C), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Paolo Novellini, del Foro di Milano, presso il cui studio è

elettivamente domiciliato in Milano, Via Boscovich n. 27;

– ricorrente –

contro

IL MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis

dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in via del Portoghesi n.

12;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia n. 1586/2019,

pubblicata il 5/11/2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 febbraio

2021 dal Presidente, Dott. Giacomo Travaglino.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

– che il signor A.F., nato in (OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4, ed in particolare:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

– che la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

– che, avverso tale provvedimento, egli ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Brescia, che lo ha rigettato con ordinanza in data 15/9/2017;

– che il provvedimento, appellato dal soccombente, è stata confermato dalla Corte di appello con la sentenza di cui in epigrafe;

– che, a sostegno della domanda di riconoscimento delle cd. “protezioni maggiori”, il ricorrente, comparendo personalmente in udienza dinanzi al giudice di primo grado, aveva dichiarato di essersi allontanato dal proprio Paese dopo aver subito un investimento mentre era alla guida della sua moto, riportando lesioni di non particolare gravità, che pur tuttavia gli avevano impedito di lavorare per molto tempo; non essendo in grado di affrontare il costo delle cure, per la estrema povertà della sua famiglia (composta di una moglie e due figli), aveva deciso di partire.

– che, in via subordinata, aveva poi dedotto l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento, in suo favore, della protezione umanitaria, in considerazione della propria – oggettiva e grave – condizione di vulnerabilità;

– che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, alla luce: 1) della sostanziale veridicità del suo racconto, ma della assoluta inattendibilità delle ulteriori circostanze introdotte dal difensore con l’atto di appello (rifiuto di aderire alla setta degli (OMISSIS), di cui era membro il suo datore di lavoro, che pretendeva la sua affiliazione avendo egli assistito a riti satanici, onde il rischio di persecuzione fino alla morte), non essendo tale atto neppure sottoscritto dall’ A., onde la veridicità del racconto non poteva che circoscriversi ai fatti esposti da lui personalmente sia davanti alla Commissione territoriale che al giudice di primo grado; 2) della insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, in ciascuna delle tre forme di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 14, tanto sotto gli aspetti di cui alle lettere a) e b), alla luce degli stessi fatti esposti dal richiedente asilo, quanto dell’inesistenza di un conflitto armato nel Paese di respingimento (lettera c); 3) dell’impredicabilità di un’effettiva situazione di vulnerabilità idonea a giustificare il riconoscimento dei presupposti per la protezione umanitaria;

– che il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione dall’odierno ricorrente sulla base di 3 motivi di censura;

– che il Ministero dell’interno non si è costituito in termini mediante controricorso.

Diritto

LA CORTE OSSERVA

Il ricorso è inammissibile.

Col primo motivo, si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 5, 7 e del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 27, comma 1 bis, ex art. 360 c.p.c., n. 3.

La censura, volta a criticare la sentenza impugnata nella parte in cui il racconto del richiedente asilo viene definito credibile limitatamente alle sole dichiarazioni personalmente rese in sede dia audizione, non si confronta con la ratio decidendi del provvedimento impugnato, che ha ritenuto veritiere le sole circostanze rappresentate del signor A. come ragioni dell’espatrio (e cioè una condizione di sostanziale povertà), motivatamente e condivisibilmente escludendo la veridicità di quelle, ulteriori e diverse, esposte dal difensore nell’atto di appello, per poi trarne la inevitabile conseguenza dell’inesistenza di qualsiasi presupposto utile al riconoscimento delle invocate forme di protezione maggiori, specificando ancora che, come emerso dagli attestati di frequenza ai corsi di operatore di magazzino e di conduzione di carrelli elevatori, il ricorrente non era inabile al lavoro e sarebbe stato in grado di mantenere se stesso e la sua famiglia svolgendo la sua originaria attività di meccanico una volta tornato in patria.

Nel caso di specie, fermo l’oggettivo rilievo della congruità logica del discorso giustificativo articolato nel provvedimento impugnato, varrà considerare come la difesa del ricorrente abbia propriamente omesso di circostanziare gli aspetti dell’asserita decisività della mancata considerazione, da parte del giudice del merito, delle vicende di fatto asseritamente trascurate, e che avrebbero al contrario (in ipotesi) condotto ad una diversa risoluzione dell’odierna controversia;

Difatti, attraverso le odierne censure, il ricorrente altro non prospetta se non una rilettura nel merito dei fatti di causa secondo il proprio soggettivo punto di vista, in una dimensione solo astrattamente critica, come tale inammissibilmente prospettata in questa sede di legittimità, dovendo per converso ritenersi che la motivazione adottata dal giudice a quo a fondamento della decisione impugnata sia (non solo esistente, bensì anche) articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne il percorso logico, che si dipana in termini lineari e logicamente coerenti, in conformità con i parametri di valutazione legalmente stabiliti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, e sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di sufficiente ragionevolezza ed accettabile congruità logica;

L’iter argomentativo seguito dal giudice di merito, sulla base di tali premesse, è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel rispetto dei canoni di correttezza giuridica e logica, come tale destinato a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente.

Con il secondo motivo, rubricato come violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 5, 7, e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 14, lett. c), ex art. 360 c.p.c., n. 3, si censura la sentenza impugnata per non aver dato rilievo alla reale situazione di violenza e instabilità del Paese di origine del richiedente asilo.

Il motivo è inammissibile.

Quanto al rigetto della domanda di protezione di cui all’art. 14, lett. c), il giudice di merito ha correttamente adempiuto al proprio dovere di cooperazione istruttoria, citando COI attendibili ed aggiornate (EASO 2017, paragrafo 1.6.: f. 3 della sentenza), evidenziando come, nella zona di provenienza del richiedente asilo (l'(OMISSIS), ubicato nel sud della (OMISSIS), lontano dai territori ove opera l’organizzazione terroristica di matrice jihadista-sunnita denominata (OMISSIS)) non potesse predicarsi l’esistenza “di una situazione di conflitto armato tale da porre a rischio qualsiasi cittadino per il solo fatto di trovarsi in quel territorio”. A tanto il ricorrente oppone, nell’illustrazione del motivo, il contenuto di alcune pronunce di merito e la circostanza (del tutto irrilevante, ai fini della protezione invocata) dell’inserimento lavorativo (f. 7, III capoverso del ricorso), salvo a smentirsi pochi righi più innanzi (f. 7, penultimo capoverso, affermando che il ricorrente “sta(va) cercando di reperire un’attività lavorativa”), ma non allega alcuna COI idonea a smentire le affermazioni contenute in sentenza circa l’inesistenza di un conflitto armato nella zona di provenienza del richiedente asilo.

Con il terzo motivo, si lamenta la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 (in realtà, 1998) in relazione al rigetto della domanda di permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il motivo è manifestamente inammissibile.

Alla astratta disamina del dato normativo (contenuta al folio 8 del ricorso) e della novella del 2018, della quale si chiede la disapplicazione (senza che la Corte bresciana avesse mai ritenuto di applicarla in via retroattiva, nella motivazione della propria decisione di rigetto della domanda), fa seguito una censura così concepita (f. 9, secondo capoverso del ricorso): “in ogni caso, si ribadisce come la condizione del ricorrente, per tutte le considerazioni suesposte, integri certamente cause di oggettiva e soggettiva vulnerabilità, anche per documentate problematiche di salute, che impongono il riconoscimento della protezione umanitaria”.

L’evidente astrattezza della censura, e la sua inemendabile inconsistenza in punto di fatto, prima ancora che di diritto, impediscono ogni valutazione critica della motivazione adottata, in parte qua, dalla Corte d’appello bresciana.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2021

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