Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19341 del 18/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/07/2019, (ud. 06/06/2019, dep. 18/07/2019), n.19341

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 14375/2014 R.G. proposto da:

Tenuta il Poggiolo s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma via di Villa Severini n.

54, presso l’avv. prof. Giuseppe Tinelli, che, unitamente all’avv.

Giovanni Contestabile, lo rappresenta e difende giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, via Tempio di Giove 21, presso l’Avvocatura

Capitolina, rappresentato e difeso dall’avv. Enrico Maggiore, giusta

delega a margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

(Roma), Sez. 14, n. 686/14/13 del 5 novembre 2013, depositata il 4

dicembre 2013, non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 6 giugno 2019

dal Consigliere Raffaele Botta;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Giovanni Giacalone, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Preso atto che è presente l’avv. Giovanni Contestabile per la parte

ricorrente che si riporta alle proprie difese.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La controversia concerne l’impugnazione di avvisi di accertamento ai fini ICI per gli anni 2004 e 2006 nei quali l’imposta richiesta era liquidata sulla base di una rendita maggiore e diversa da quella dichiarata dalla società contribuente la quale – come locataria della società Intesa Leasing S.p.A. – aveva conformato la propria denuncia alla rendita a suo tempo proposta dalla precedente proprietaria GE.CO.IN S.p.A. e lamentava di non aver mai ricevuto notifica di un atto modificativo di tale rendita. Questa era la principale ragione di opposizione all’accertamento unitamente alle eccezioni di difetto di motivazione, di irretroattività, in ogni caso, della rendita modificata e di mancata indicazione degli elementi utilizzati per la modifica.

I ricorsi proposti separatamente avverso ciascun atto di accertamento, previa riunione, erano respinti tanto in primo quanto in secondo grado. Avverso la sentenza d’appello, indicata in epigrafe, la società contribuente propone ricorso per cassazione con quattro motivi, illustrati anche con memoria. Resiste con controricorso l’ente locale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I primi due motivi di ricorso possono essere valutati unitariamente in quanto con essi la parte ricorrente, denunciando la violazione di più disposizioni di legge, pone in realtà un’unica questione: quella relativa alla necessità della notifica, imposta dalla L. n. 342 del 2000, art. 74, della modifica della rendita catastale alla quale è parametrato il calcolo della base imponibile e della decorrenza degli effetti di tale modificazione dalla data della notifica, come prescritto dalla medesima disposizione, anche alla luce delle indicazioni fornite dalla circolare ministeriale n. 4/FL del 13 marzo 2001, che evidenzia la necessità che la notifica sia effettuata oltre che all’intestatario della partita catastale anche al possessore dell’immobile, tenuto al pagamento dell’imposta, ove questi due soggetti siano diversi.

2. Si tratta di censure infondate. Quel di cui occorre far conto è che nella fattispecie ci si trova in un caso di modifica della rendita catastale disposta a seguito di conforme denuncia di variazione presentata nell’ambito della procedura DOCFA dall’intestatario della partita. In tal caso la circolare n. 4/FL del 2001, cui parte ricorrente si appella afferma, richiamandosi anche alla precedente circolare ministeriale n. 207/E del 16 novembre 2000: “l’art. 74, comma 1, non si applica agli atti impositivi riferiti alle rendite proposte dai soggetti passivi dell’ICI secondo la procedura DOCFA stabilita dal D.M. finanze 19 aprile 1994, n. 701. Ciò perchè tali rendite, essendo iscritte in catasto sulla base di dichiarazione di parte, sono giuridicamente conosciute dal dichiarante – al quale viene peraltro rilasciata copia della attestazione dell’avvenuta presentazione con gli esiti delle elaborazioni effettuate – e non necessitano quindi di notificazione”. Nello stesso senso si è pronunciata questa Corte affermando che: “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), qualora il contribuente si sia avvalso per l’accatastamento di un immobile della procedura DOCFA, prevista dal D.M. 19 aprile 1994, n. 701, il Comune nell’emettere l’avviso di liquidazione del tributo non solo non ha la necessità di notificare la rendita proposta ma può motivare il proprio provvedimento sulla scorta dei dati contenuti nella medesima proposta DOCFA, in quanto noti al contribuente” (Cass. n. 21505 del 2010; v. anche per l’affermazione di analogo principio Cass. n. 27576 del 2018).

3. La sentenza impugnata si muove in linea con questi profili argomentativi, ponendo altresì in luce che la rettifica della rendita, in atti dal 22 giugno 2000, era stata notificata con provvedimento n. 7494/2000 al proponente della procedura DOCFA, procedura che era intervenuta prima che l’immobile fosse concesso in locazione all’attuale ricorrente (sicchè potrebbe ben dirsi che sarebbe stata la società locatrice a dover rendere edotta la società locataria dell’esistenza di tale procedura e del relativo esodo).

4. Anche il terzo e quarto motivo di ricorso presentano elementi che ne giustificano una trattazione congiunta.

5. Con il terzo motivo, la società ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11,L. n. 241 del 1990, art. 3, e L. n. 21 del 2000, art. 7, nella sostanza facendo riferimento a un difetto di motivazione dell’atto impositivo, ma riferito alle ragioni e ai criteri di determinazione della modifica della rendita, che la parte ricorrente lamenta di non aver potuto contrastare per non esserne stata resa edotta, come invece avrebbe dovuto esserlo.

6. Con il quarto motivo, la parte ricorrente denuncia violazione dell’art. 2697 c.c., e art. 115 c.p.c., comma 1, in quanto il giudice di merito non avrebbe rilevato il mancato assolvimento da parte del Comune del proprio onere probatorio che lo obbligava a dimostrare in contraddittorio gli elementi giustificativi della propria pretesa, in altri termini allegando il provvedimento modificativo della rendita.

7. Le censure, che, come qui articolate (e in particolare per quel che riguarda il quarto motivo), presentano (in quanto relative ad eccezioni non sollevate, almeno negli stessi termini, nei gradi di merito) un quid novi inammissibile nel giudizio di legittimità, per altro aspetto appaiono essenzialmente riproduttive delle critiche già svolte con i precedenti motivi di ricorso, per cui non possono non valere le medesime considerazioni già ricordate in ordine ai principi che regolano, nel caso di modificazioni della rendita a seguito di procedura DOCFA, la notifica della rendita e i limiti dei riferimenti motivazionali – trattandosi di atti conosciuti o comunque conoscibili da parte del contribuente – in materia di avvisi di accertamento ai fini ICI. Inoltre andrebbe considerato che essendo le censure in esame tutte dirette alla contestazione della rendita esse dovrebbero presupporre un’impugnazione della rendita nei confronti di chi sia legittimato a contraddirvi: infatti “la facoltà, riconosciuta al contribuente del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19,comma 3, d’impugnare l’atto di attribuzione della rendita catastale, precedentemente non notificato, unitamente all’avviso di liquidazione della maggiore imposta che in funzione di esso veda definita la sua base imponibile, è condizionata alla proposizione dell’impugnativa non solo nei confronti dell’Ufficio che ha emanato l’avviso di liquidazione, rispetto al quale l’atto di classamento si configura come atto presupposto, ma anche nei confronti dell’UTE o dell’Agenzia del territorio, che tale atto hanno emesso. Il carattere impugnatorio del processo tributario, avente un oggetto circoscritto agli atti che scandiscono le varie fasi del rapporto d’imposta, e nel quale il potere di disapplicazione del giudice è limitato ai regolamenti ed agli atti amministrativi generali, implica infatti che legittimati a contraddire in merito all’impugnativa dell’atto presupposto siano unicamente gli organi che l’hanno adottato” (Cass. n. 6386 del 2006; in senso conforme Cass. n. 15449 del 2008; Cass. n. 22281 del 2011). E di tanto non vi è traccia nel giudizio.

8. Pertanto il ricorso deve essere respinto con condanna della parte ricorrente alle spese della presente fase del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese della presente fase del giudizio che liquida in complessivi Euro 2.500,00 per compensi, oltre spese forfettarie e oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

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