Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19340 del 10/09/2010

Cassazione civile sez. I, 10/09/2010, (ud. 13/07/2010, dep. 10/09/2010), n.19340

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10182-2008 proposto da:

M.C. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, Via SICILIA 235, presso l’avvocato DI GIOIA

GIULIO, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

27/09/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/07/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato ALFRED MANCINI, con delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del. Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA VINCENZO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

Con decreto depositato il 16 aprile 2003 la Corte d’Appello di Roma ha rigettato la domanda proposta dalla sig.ra M.C., la quale aveva chiesto di essere indennizzata per l’eccessiva durata di un giudizio da lei promosso dinnanzi al Pretore di Benevento;

giudizio avente ad oggetto il riconoscimento degli interessi e della svalutazione monetaria su provvidenze assistenziali tardivamente attribuite all’attrice. La Corte d’Appello, pur riconoscendo che detto giudizio aveva ecceduto i normali limiti di durata, ha escluso che la ricorrente avesse sofferto per questo un danno non patrimoniale; e ciò in considerazione della trascurabile entità del credito controverso.

A seguito di ricorso proposto dall’attrice, la Corte di cassazione, con sentenza n. 547 del 2006, ha cassato il provvedimento impugnato con rinvio (per nuovo esame e anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità) perchè la modesta entità degli interessi in gioco nel giudizio nel quale è stato violato il diritto della parte alla ragionevole durata, in sè sola considerata, non appare sul piano logico una di quelle circostanze particolari che consentono positivamente di escludere l’esistenza del presumibile danno, potendosene arguire che i disagi ed i turbamenti provocati dal protrarsi nel tempo del giudizio sono stati altrettanto modesti quanto lo era l’oggetto del giudizio stesso, ma non che essi siano del tutto mancati.

Pronunciando in sede di rinvio, la Corte di appello di Roma, con decreto depositato in data 27.9.2007, ha condannato il Ministero della Giustizia a pagare all’attrice la somma di Euro 3.000,00 (Euro 500,00 per anno, tenuto conto della modesta posta in gioco) per il periodo – pari ad anni sei – di complessiva durata del processo presupposto, con il favore delle spese, liquidate in Euro 1.000,00.

Contro tale decreto l’attrice ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il Ministero intimato non ha svolto difese.

2.- Con il primo motivo parte ricorrente denuncia vizio di motivazione in ordine all’entità dell’indennizzo liquidato per danno non patrimoniale.

Con il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 794 del 1942, art. 24 e succ. mod. nonchè del D.M. n. 127 del 2004, art. 14, lamentando la liquidazione delle spese processuali in violazione dei minimi tariffari.

Con il terzo motivo denuncia vizio di motivazione in ordine alla liquidazione delle spese.

3.- Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c..

Infatti, ad un giudizio di legittimità introdotto – come nella concreta fattispecie – contro un provvedimento pubblicato o depositato successivamente al 2 marzo 2006 e prima del 5 luglio 2009 è applicabile la disposizione innanzi richiamata, secondo la quale ogni motivo deve essere corredato, a pena di inammissibilità, di un idoneo quesito di diritto ovvero, in ipotesi di denunciata violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, di una sintesi del fatto controverso e delle ragioni che rendono inidonea la motivazione.

Peraltro, il quesito ex art. 366 bis c.p.c. deve essere esplicito e inserito in una parte del ricorso a ciò deputata, non potendo la predetta norma essere interpretata nel senso che il quesito possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo di ricorso, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (S.U. n. 7258/2007).

Il ricorso proposto dalla M., invece, è del tutto privo di quesiti.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2010

 

 

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