Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19339 del 21/08/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 19339 Anno 2013
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: CRISTIANO MAGDA

SENTENZA

sul ricorso 8062-2011 proposto da:
CAIAFA ANTONIO (c.f.CFANTN46R28H501L), in proprio,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALFREDO FUSCO
104, presso il proprio studio, rappresentato e

Data pubblicazione: 21/08/2013

difeso da sè medesimo;
– ricorrente contro

2013
1153

MIB

PRIMA

rappresentante

S.P.A.,
pro

in

persona
tempore,

del

legale

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA A. VESALIO 22, presso

1

l’avvocato ALBANESE GINAMMI

LORENZO,

che

la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del
controricorso;
– controri corrente contro

– intimato –

avverso il provvedimento del TRIBUNALE di ROMA,
depositato il 08/02/2011/ ,i-e5 • /‘4″
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/06/2013 dal Consigliere Dott. MAGDA
CRISTIANO;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato A. CAIAFA che
ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito,

per la controricorrente,

l’Avvocato L.

ALBANESE GINAMMI che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. UMBERTO APICE che ha concluso per

FALLIMENTO GEN 5 S.R.L. IN LIQUIDAZIONE;

l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
,

,

L’avv. Antonio Caiafa ha impugnato con ricorso straordinario per cassazione, affidato
a due motivi ed illustrato da memoria, il decreto del Tribunale di Roma dell’ 8.2.011
con il quale gli è stato liquidato il compenso per l’attività svolta come curatore del
Fallimento della Gen 5 s.r.I., aperto con sentenza del 29.10.2008 e chiuso a seguito

s. p. a.
Mib Prima s.p.a. ha resistito con controricorso.
Il Fallimento della Gen 5 s.r.l. non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1)Va preliminarmente affermata l’ammissibilità dell’intervento di Mib Prima s.p.a.,
società assuntrice del concordato fallimentare della Gen 5 s.r.I., che, come
riconosciuto dallo stesso ricorrente, si è obbligata al pagamento dei creditori
ammessi ed opponenti, nonché di tutte le spese prededucibili (ivi comprese,
pertanto, quelle relative al compenso del curatore), con liberazione della società
.

fallita.
Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, un soggetto che non abbia
partecipato al precedente grado del giudizio è legittimato a proporre ricorso per
cassazione qualora sia successore, a titolo universale o particolare, nel diritto
controverso. E la qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso va
senz’altro riconosciuta all’assuntore del concordato fallimentare che sia subentrato
nelle singole posizioni debitorie già facenti capo al fallito ed alla massa, con
liberazione del debitore originario (cfr. Cass. nn.24263/010, 7627/97, 9227/95).
2) Il ricorrente, con il primo motivo, lamenta violazione dell’art. 39 1° comma I. fall.,
che, nel prevedere che il compenso del curatore è liquidato secondo le norme
stabilite con decreto del ministro della giustizia, rinviava, alla data di emissione del
decreto, al D.M. n. 570 del 1992; assume, sotto un primo profilo, che il compenso è

stato determinato in misura inferiore ai minimi previsti da detto decreto e, sotto altro

di omologazione del concordato fallimentare proposto dall’assuntrice Mib Prima

profilo, che nella somma liquidatagli è stato erroneamente calcolato anche il
rimborso forfetario del 5%, che avrebbe dovuto essere calcolato separatamente e
corrisposto in aggiunta alla somma riconosciuta per onorari.
2) Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione del provvedimento, che non
consentirebbe di individuare l’iter argomentativo che ha condotto all’adozione di un

in subordine, che la motivazione sarebbe contraddittoria, in quanto il tribunale, dopo
aver fatto riferimento all’importanza del fallimento ed all’opera del curatore, valutata
con specifico riguardo ai risultati ottenuti ed alla durata delle operazioni, ha liquidato
il compenso discostandosi dal criterio legale.
I motivi, che sono fra loro connessi e che possono essere congiuntamente
esaminati, non meritano accoglimento.
Va in primo luogo rilevato che qualora, come nella specie, il fallimento si chiuda con
un concordato, il compenso al curatore va liquidato, dopo l’esecuzione del
concordato stesso (art. 39, comma 2, I. fall.), secondo i criteri stabiliti dall’art. 2,
comma 2, d.m. 28 luglio 1992 n. 570, che prefigura la possibilità di una valutazione
riduttiva dell’opera del curatore rispetto al caso di chiusura del fallimento nei modi
ordinari (in logica coerenza col fatto che il curatore, nell’ipotesi di concordato, è
sollevato da una parte dei suoi compiti usuali, segnatamente in punto di liquidazione
e distribuzione dell’attivo), nel senso che stabilisce che la percentuale sull’attivo,
calcolata sull’ammontare di quanto con il concordato viene attribuito ai creditori, non
può superare le misure massime previste dall’art. 1 dello stesso d.m., consentendo
in tal modo che essa scenda, a seguito di apprezzamento discrezionale del tribunale,
anche al di sotto della misura minima (cfr. Cass. n. 2991/06).
Tanto basterebbe ad escludere la fondatezza della censura inerente la violazione dei
minimi tariffari e la sua stessa ammissibilità, posto che il ricorrente non ha precisato
quale somma è stata distribuita ai creditori,
A parte tale rilievo, il ricorso si fonda sull’errato presupposto che l’art. 1 del citato

criterio di liquidazione difforme da quello previsto dall’art. 1 del citato D.M. Deduce,

d.m. stabilisca che il compenso sull’attivo realizzato debba essere compreso fra un
minimo ed un massimo per ogni scaglione progressivo della tariffa, laddove, al
contrario, per gli ultimi due scaglioni (che comprendono l’uno le somme da €
516.456,90 ad € 1.549.370,70 e l’altro le somme eccedenti € 1.549.370,70) é
previsto soltanto un compenso massimo (che non può superare, rispettivamente,

pertanto, il tribunale potrebbe non riconoscere alcuna somma sui predetti scaglioni
senza, per questo, violare la tariffa.
Nel decreto impugnato è poi precisato che la somma liquidata è comprensiva delle
spese forfetarie nella misura del 5%, e, poiché ciò che rileva è che dette spese siano
state riconosciute, appare incomprensibile la doglianza con la quale l’avv. Caiafa
sembra affermare che il loro ammontare deve essere sempre determinato
separatamente e non può essere inglobato in un calcolo unitario del compenso.
Infondata è pure la censura svolta ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., posto che il
Tribunale ha chiaramente indicato i criteri ai quali si è attenuto per la liquidazione
(ammontare dell’attivo e del passivo; importanza del fallimento; opera del curatore,
avuto riguardo ai risultati ottenuti ed alla durata delle operazioni).
Spettava pertanto al ricorrente di chiarire quali elementi di fatto, trascurati dal giudice
del merito, rivestivano valenza decisiva ai fini della determinazione del compenso
nella misura massima, non potendo sul punto tenersi conto della prassi,
asseritamente invalsa in tutti i tribunali d’Italia, ma alla quale il tribunale di Roma non
era certamente obbligato ad attenersi, di riconoscere al curatore la percentuale
massima prevista dal D.M. “quante volte risulti dimostrato che, in relazione all’opera
svolta, questi ha ottenuto risultati soddisfacenti, con riferimento anche alla durata del
procedimento”, tanto più che stabilire se detti risultati siano più o meno soddisfacenti
è questione tipicamente rimessa alla valutazione discrezionale del giudice del merito,
incensurabile in sede di giudizio di legittimità ove sia congruamente motivata.
Ricorrono giusti motivi per compensare interamente fra le parti le spese del giudizio.

l’1,80%” e lo 0,90 %.), ma non è indicato un compenso minimo: in linea teorica,

P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate fra le parti le spese del
giudizio.
Roma, 27 giugno 2013.
Il Presidente

(.1,41(Ail

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