Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19339 del 03/08/2017


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Cassazione civile, sez. III, 03/08/2017, (ud. 12/04/2017, dep.03/08/2017),  n. 19339

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7712/2015 proposto da:

B.M.I., C.L.P.A.,

E.D.R. E C. & C SNC, in persona del legale rappresentante

pro tempore, R.A., A.R.,

C.K.A.M., elettivamente domiciliati in ROMA, P.ZA PIO XI 53, presso

lo studio dell’avvocato GIUSEPPE AUGUSTO CARNOVALE, rappresentati e

difesi dall’avvocato MICHELE MENSI giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrenti –

contro

L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. BAFILE 5,

presso lo studio dell’avvocato LUCA FIORMONTE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIOVANNI DE STASIO giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1541/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 23/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/04/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE ROSSI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha

concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi 1 e 2 e annullamento

della gravata sent. n. 1541/2014 della Corte d’appello di Firenze.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con decreto ingiuntivo n. 16/2003, il Tribunale di Grosseto ingiungeva alla s.n.c. E.d.R. e C. & C. nonchè ai soci della stessa, R.A., B.M.I. e C.A., il pagamento, in via solidale, in favore di L.G. dell’importo di Euro 25.822,85 (oltre interessi e spese), somma corrispondente alla caparra confirmatoria relativa ad un contratto preliminare di cessione di azienda rimasto inadempiuto ad opera della società promissaria acquirente.

Sull’opposizione uno actu formulata da tutti i soggetti intimati, il Tribunale di Grosseto, con la sentenza n. 864/2005 pronunciata il giorno 8 giugno 2005, in accoglimento della preliminare eccezione di devoluzione della controversia ad arbitri in forza di apposita clausola compromissoria, revocava il decreto ingiuntivo dichiarando “il difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario appartenendo ad arbitri la conoscenza a decidere della causa”.

L’appello interposto da L.G. è stato accolto dalla Corte di Appello di Firenze la quale, con la sentenza n. 1541/2014 del 23 settembre 2014, ritenuta la controversia esulante dall’ambito di operatività della clausola compromissoria, ha deciso nel merito la lite rigettando la opposizione a decreto ingiuntivo.

Avverso questa sentenza ricorrono per cassazione la s.n.c. E.d.R. e C. & C., R.A., B.M.I., C.L.P.A. e K.A.M. (queste ultime due quali eredi di C.A., deceduto lite pendente), affidandosi a cinque motivi, illustrati da memoria; resiste con controricorso L.G..

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte nel termine fissato dall’art. 380-bis c.p.c., n. 1.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Nella ordinata disamina dei motivi di ricorso, carattere preliminare riveste il vaglio sulla terza doglianza, con la quale, denunciando “nullità della sentenza e del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, si deduce il mancato rilievo (praticabile in via officiosa ed anche ad opera del giudice di legittimità) dell’inammissibilità dell’appello, dacchè la sentenza di prime cure, pronunciando solo sulla competenza, era impugnabile unicamente con istanza di regolamento di competenza.

La censura va disattesa.

Giova innanzitutto precisare come ai fini della individuazione del rimedio esperibile avverso la predetta sentenza non sia invocabile il disposto dell’art. 819-ter c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 22, esplicito nel sussumere l’eccezione di arbitrato nell’ambito delle questioni di competenza e nel sancire l’impugnabilità con regolamento di competenza (necessario o facoltativo) delle sentenze in materia.

Sussiste, per vero, dissidio nella giurisprudenza di questa Corte in ordine alla corretta ermeneutica della norma di diritto transitorio dettata del predetto D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, cioè a dire circa l’applicabilità ratione temporis del regolamento di competenza stabilito dal citato art. 819-ter c.p.c.: secondo un primo avviso, informato ad una rigorosa esegesi testuale del dato positivo, essa concerne soltanto le sentenze pronunciate con riferimento a procedimenti arbitrali iniziati successivamente alla data di vigenza della legge, cioè il 2 marzo 2006, escludendosi che l’applicabilità del nuovo regime possa ancorarsi a momenti diversi, quali l’inizio del giudizio dinanzi al giudice ordinario nel quale si pone la questione di deferibilità agli arbitri della controversia oppure la data di pubblicazione della sentenza del medesimo giudice che risolve la questione di competenza (in tal senso Cass., Sez. U, 06/09/2010, n. 19047; Cass. 02/08/2016, n. 16058); per altro orientamento, il regolamento è praticabile avverso le sentenze che definiscano i giudizi ordinari promossi successivamente al 2 marzo 2006 (così Cass. 28/12/2011, n. 29261; Cass. 29/08/2008, n. 21926; Cass., 28/07/2015, n. 15850); da ultimo, si è riferito il gravame ex art. 819-ter c.p.c., a tutte le sentenze, affermative o negative della competenza in relazione ad una convenzione di arbitrato, pronunciate dopo il 2 marzo 2006 (Cass. 25/10/2016, n. 21523).

Non è tuttavia necessaria in questa sede la risoluzione di siffatto contrasto, atteso che la scelta di qualsivoglia criterio discretivo tra quelli ora sommariamente descritti conduce in ogni caso ad escludere l’operatività del regime apprestato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, nella vicenda in esame, dacchè concernente un giudizio ordinario promosso (nelle forme del procedimento di ingiunzione) nell’anno 2002 e concluso con sentenza pronunciata nell’ottobre 2005 senza che alcun procedimento arbitrale sia mai iniziato.

Acclarata l’irrilevanza nel caso dell’art. 819-ter c.p.c., corretta si profila la proposizione dell’appello avverso la sentenza del Tribunale di Grosseto, essendo l’impugnazione di essa soggetta, in ossequio al generale principio del tempus regit actum, alle forme processuali dettate dalla disciplina vigente all’epoca della pronuncia.

Orbene, nell’assetto normativo antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, si era consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’orientamento secondo cui lo stabilire se una controversia appartenesse alla cognizione del giudice ordinario o fosse deferibile agli arbitri – i quali mai svolgevano funzione sostitutiva della giurisdizione – costituiva una questione, non già di competenza in senso tecnico, ma di merito, in quanto direttamente inerente alla validità o all’interpretazione del compromesso o della clausola compromissoria; corollario di tale interpretazione era la impugnabilità con i rimedi ordinari (ovvero con l’appello) e non già con il regolamento di competenza della decisione che avesse pronunciato (accogliendola o respingendola) sull’eccezione di compromesso o di clausola compromissoria per arbitrato rituale (così, sulla scia di Cass., Sez. U, 03/08/2000, n. 327, Cass. 06/07/2005, n. 14205; Cass., 15/06/2004, n. 11301; Cass., Sez. U, 22/07/2002, n. 10720; Cass. 25/06/2002, n. 9289; Cass., 25 giugno 2002, n. 9289; dell’affermarsi di tale indirizzo, danno conto anche Cass. 02/08/2016, n. 16058; Cass. 28/07/2015, n. 15850; Cass. 10/10/2012, 17287).

Un profondo ripensamento del descritto orientamento è stato invero operato da Cass., Sez. U, 25/10/2013, n. 24153: all’esito di un’accurata analisi dell’evoluzione normativa dell’istituto dell’arbitrato (segnatamente, delle disposizioni dettate dalla L. 5 gennaio 1994, n. 5 e dal citato D.Lgs. n. 40 del 2006) ed in una prospettiva di dichiarato superamento dei difformi precedenti giurisprudenziali, la Corte, riconosciuta all’arbitrato rituale natura non negoziale ma giurisdizionale (ovvero sostitutiva della funzione del giudice ordinario), ha affermato che nei casi in cui una legge o un atto autoritativo predisponga un arbitrato rituale per la risoluzione di determinate controversie insorte fra le parti, ovvero in presenza di compromesso o clausola compromissoria in arbitrato rituale italiano, il contrasto circa l’attribuzione della cognizione della controversia al collegio arbitrale italiano o al giudice ordinario integra una questione di competenza (e non di giurisdizione) sulla base della tesi del “convogliamento” dell’arbitrato nell’ambito del giudizio ordinario.

L’illustrato arresto (peraltro pienamente condivisibile) non spiega tuttavia incidenza ai fini della decisione sul motivo in esame: integrando il dictum di Cass. 24153/2013 un consapevole mutamento di una consolidata interpretazione del giudice della nomofilachia di una norma processuale (cioè a dire, un vero e proprio overruling, come affermano Cass. 21/01/2016, n. 1101 e Cass. 23/11/2015, n. 23176), non può essere censurata la proposizione dell’appello, avendo la parte fatto legittimo affidamento sull’opinione corrente della Suprema Corte all’epoca dell’impugnazione, poi travolta dalla successiva revisione ermeneutica.

2. Con il primo motivo, per “violazione delle norme sulla competenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2”, il ricorrente lamenta che la gravata sentenza non abbia riconosciuto la competenza del Collegio arbitrale sulla controversia, erroneamente escludendo l’operatività della clausola compromissoria contenuta nel preliminare di cessione di azienda, così formulata: “eventuali controversie che dovessero insorgere sulla interpretazione, validità, efficacia, esecuzione, inadempimento, cessazione, esecuzione della presente proposta, verranno risolte mediante arbitrato rituale reso da tre arbitri costituiti in Collegio”.

A fondamento di tale conclusione, la Corte territoriale ha rilevato che nel giudizio non vi era “stata mai alcuna reale contestazione o controversia sull’inadempimento degli opponenti, i quali si erano solo limitati a sostenere la loro impossibilità di adempiere per non aver ottenuto il richiesto finanziamento”.

Il motivo è fondato e va accolto.

Va, sul punto, data continuità all’insegnamento di questa Corte secondo cui la clausola compromissoria riferita genericamente alle controversie nascenti dal contratto cui essa inerisce va interpretata, in mancanza di espressa volontà contraria, nel senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte e solo le controversie aventi titolo nel contratto medesimo, con conseguente esclusione delle liti rispetto alle quali quel contratto si configura esclusivamente come presupposto storico, e quindi, delle domande di responsabilità aquiliana (così, tra le tante, Cass. 15/02/2017, n. 4035; Cass. 13/10/2016, n. 20673; Cass. 03/02/2012, n. 1674).

Chiarito il criterio euristico per la definizione dell’ambito di applicabilità della omnicomprensiva pattuizione stipulata tra i litiganti, va osservato come nel giudizio de quo sia stata esercitata una tipica azione di responsabilità contrattuale, avente ad oggetto il pagamento della caparra confirmatoria dovuta dai promissari acquirenti sul presupposto dell’inosservanza da parte di questi ultimi del preliminare di cessione di azienda: una controversia, dunque, sull’esecuzione e sull’inadempimento del contratto, deferita, per volontà delle parti espressa con la trascritta clausola, ad arbitri rituali.

E’ pertanto errata – per violazione dei canoni di interpretazione, letterale e logica, dei negozi giuridici – la lettura della clausola offerta dalla Corte territoriale, ed inconferenti gli argomenti dalla stessa addotti a suffragio della negazione della competenza arbitrale: la non contestazione sul mancato pagamento della caparra è contegno incidente unicamente sul thema probandum della lite; la deduzione di parte convenuta sulla mancata erogazione del finanziamento si concreta in un’eccezione di non imputabilità dell’inadempimento, concerne cioè proprio la ricorrenza del presupposto soggettivo dell’inadempimento contrattuale.

In accoglimento del ricorso, va, cassata la sentenza impugnata e in definitiva dichiarata la competenza arbitrale sulla lite, con i conseguenti provvedimenti in tema di transiatio iudicii in applicazione dell’art. 50 c.p.c., per la indefettibile necessità di fare salvi gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda proposta davanti al giudice incompetente (per una statuizione analoga, Cass. 1101/2016, cit.).

3. Restano assorbiti il secondo motivo (afferente, sotto diverso profilo, l’operatività della clausola compromissoria), il quarto motivo (per essere la regolarità del contraddittorio questione subordinata, nell’ordine logico di trattazione, all’accertamento sulla competenza, talchè essa dovrà essere esaminata dagli arbitri innanzi ai quali sarà riassunta la lite) e il quinto motivo (concernente il rigetto nel merito della domanda di risoluzione contrattuale).

4. Le peculiarità della controversia, connotata dalla decisiva applicazione di un overruling giurisprudenziale, giustificano l’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti.

PQM

 

La Corte rigetta il terzo motivo di ricorso; accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri, e, pronunciando su di esso, cassa la sentenza impugnata e dichiara la competenza degli arbitri rituali, assegnando alle parti il termine di legge per la riassunzione della controversia dinanzi al collegio arbitrale.

Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 12 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2017

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