Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19337 del 29/09/2016


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Cassazione civile sez. VI, 29/09/2016, (ud. 08/04/2016, dep. 29/09/2016), n.19337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6111/2014 proposto da:

W.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUIGI RIZZO 41,

presso lo studio dell’avvocato MARIA ANTONIETTA TORTORA,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO ANDREUCCI giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona dei Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1841/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 18/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’08/04/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO;

udito l’Avvocato Vincenzo Andreucci difensore del ricorrente che si

riporta al ricorso ed alla memoria.

Fatto

FATTO E DIRITTO

In ordine al ricorso recante il numero di R.G. 6111 del 2014 è stata depositata la seguente relazione:

” W.F., cittadino tunisino, vedeva il suo permesso di soggiorno per motivi familiari relativi al matrimonio con cittadina italiana revocato dalla Questura di Forlì, con provvedimento dell’8.5.2012, in ragione dei precedenti penali e della mancanza di elementi tali da dimostrare un inserimento socio-lavorativo stabile del ricorrente.

W. proponeva ricorso innanzi al Tribunale di Porli per l’annullamento del provvedimento del Questore. Il Ministero dell’Interno si costituiva in giudizio e si opponeva alla domanda del ricorrente. Il Tribunale, in reiezione del ricorso, confermava il provvedimento gravato, sostenendo che la presenza di W. sul territorio nazionale costituisse una minaccia concreta e attuale per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato, e che, pertanto, il provvedimento del Questore fosse conforme al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 3, e art. 5, commi 5 e 5 bis.

W. reclamava la decisione del Giudice di primo grado innanzi alla Corte d’appello di Bologna. Il gravame veniva respinto e, per l’effetto, la prima decisione giudiziale confermata (provvedimento RG. n. 570 del 2013, dell’11 ottobre 2013).

In particolare, la Corte territoriale fondava il suo convincimento sulle seguenti considerazioni:

– i motivi di impugnazione erano inidonei a superare le ragioni per le quali il Tribunale aveva respinto il ricorso;

– il ricorrente si è reso responsabile di diversi fatti criminosi, sia prima che dopo il suo matrimonio con cittadina italiana, contratto nel 2008, con la conseguente messa in pericolo della tranquillità e della sicurezza pubblica c privata;

– contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, anche alla luce dei precedenti penali di W., non poteva sostenersi che questi si fosse inserito stabilmente e pacificamente nel tessuto sociale;

– il lavoro volontario prestato dal ricorrente a favore di un’associazione non è sufficiente a ritenere normalizzata la condotta dello straniero, poichè esso è stato iniziato solo recentissimamente ed è, quindi, inidoneo a confermare la stabilità del percorso riabilitativo asseritamente intrapreso;

– la promessa scritta, peraltro non confermata con le modalità proprie dell’escussione testimoniale, di un terzo di assumere lo straniero una volta in regola col permesso di soggiorno non soccorre in favore della tesi del ricorrente, poichè essa è circostanza irrilevante a dimostrare la volontà di riabilitazione dello straniero.

Contro la sentenza della Corte d’appello di Bologna ha proposto ricorso per cassazione W.F., affidandosi ai seguenti motivi di ricorso:

1. (art. 360, comma 1, n. 3) violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. c), art. 13, comma 1, art. 28, comma 2; D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, comma 1, lett. b); D.P.R. n. 1656 del 1956, art. 1, commi 1 e 2, lett. a), e comunque falsa applicazione della normative in materia di tutela dell’unità familiare riguardo a cittadino extracomunitario coniuge e convivente di Cittadino italiano, per avere la Corte territoriale omesso di prendere in considerazione la normativa prevista a tutela dell’unità familiare del cittadino straniero convivente con il coniuge cittadino italiano; in particolare, si duole il ricorrente del fatto che il suo matrimonio con cittadina italiana obbligherebbe al rilascio del permesso di soggiorno, con il corollario del divieto di revoca del medesimo.

2. (art. 360, comma 1, n. 5) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere omesso di prendere in considerazione la convivenza tra W. e la moglie, cittadina italiana.

3. (art. 360, comma 1, n. 3) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 3, e art. 5, commi 5 e 5 bis, nonchè D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. c), art. 13, comma 1, art. 28, comma 2; D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, comma 1, lett. b); D.P.R. n. 1656 del 1956, art. 1, commi 1 e 2, lett. a), per avere la Corte territoriale respinto il reclamo nonostante abbia escluso l’esistenza di motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, e per non avere ricondotto la posizione di W. a nessuna delle categorie previste alla L. n. 1423 del 1956, art. 1, e per aver sostenuto la pericolosità del ricorrente in modo generico e svincolato da qualsivoglia dato normativo, senza tener conto degli elementi positivi dedotti dal ricorrente e acquisiti all’istruttoria, quali, oltre il matrimonio con cittadina italiana, il suo prestare opera di volontariato presso la Fondazione Nuova Famiglia Onlus di (OMISSIS).

Il Ministero dell’Interno ha notificato e depositato controricorso, chiedendo la reiezione dell’impugnazione principale.

I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente in ragione della contiguità logica delle censure. Entrambe le doglianze sono manifestamente in fondate in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, dalla lettura del provvedimento impugnato risulta che la Corte territoriale abbia preso in considerazione l’esistenza de) vincolo matrimoniale tra W. e la signora M.. La lagnanza secondo cui il Questore non avrebbe comunque potuto adottare il provvedimento di revoca del permesso di soggiorno perchè, essendo il ricorrente sposato con una cittadina italiana, egli poteva essere espulso unicamente in base ad un provvedimento del Ministro dell’Interno ex art. 13, comma 1, T.U.I. è destituita di ogni fondamento in punto di diritto, essendo nella specie stato adottato un provvedimento di revoca del permesso di soggiorno in precedenza rilasciato per il matrimonio con cittadina italiana, di competenza esclusiva del Questore D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5 commi 2 e 5 bis. La Corte d’Appello, in ordine agli altri profili di censura ha puntualmente considerato la condizione coniugale del cittadino straniero ed ha fornito una sintetica ma esaustiva valutazione concreta della sua pericolosità sociale, tenendo conto degli indici normativi applicabili e della effettiva natura dei reati oltre che della loro collocazione temporale e reiterazione. Solo a fini di completezza deve evidenziarsi che proprio in virtù del divieto di espulsione dovuto al matrimonio con la cittadina italiana è stato rilasciato il permesso di soggiorno per motivi di coesione familiare revocato per la sopravvenuta pericolosità sociale.

Il terzo motivo è articolato in un coacervo di sub-censure, in gran parte ripetitive di quelle articolate nei primi due motivi, e aventi ad oggetto il giudizio di pericolosità sociale formulato nei confronti del cittadino straniero da parte della Corte d’appello; di conseguenza, tenuto conto dell’assoluta mancanza di rilievo della dedotta inespellibilità di W. in ragione del matrimonio contratto con cittadina italiana, nessuna di tali doglianze è condivisibile. Tanto doverosamente premesso, vale precisare che:

– ben può il Giudice del gravame confermare la decisione impugnata pur emendando il percorso argomentativo logico-giuridico offerto dal primo Giudice;

– non costituisce motivo di nullità della sentenza impugnata il fatto che la Corte territoriale non abbia fatto riferimento espresso alle categorie indicate nella L. n. 1423 del 1956, art. 1, e dalla L. n. 575 del 1965, art. 1, dal momento che le condotte criminose ritenute indicative della pericolosità sociale, sono state enucleate in concreto e senza automatismi. Deve aggiungersi che il criterio di pericolosità nella specie non riguarda esclusivamente l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato ma anche come indicato nel D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 20, applicabile nella specie, anche la pubblica sicurezza. Al riguardo si richiama Cass. civ. n. 12071 del 2013, ove si è affermato che la verifica della pericolosità sociale costituisce una condizione ostativa del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari richiesto dal familiare straniero di cittadino italiano o dell’Unione Europea; l’assenza di tale ostacolo deve, pertanto, essere valutata dall’autorità competente per il rilascio del titolo, ovvero per il mantenimento di quello preesistente, ma non per procedere automaticamente all’allontanamento in violazione dei criteri di attribuzione di tale specifica funzione previsti dalla norma.

Il motivo, quindi, è manifestamente infondato.

Conseguentemente, qualora si condividano le suesposte considerazioni, si converrà sulla reiezione del ricorso”.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c., contenente le seguenti osservazioni critiche in ordine al progetto di decisione sopra illustrato:

1) Nella relazione non è stata tenuta in considerazione la posizione giuridica del cittadino straniero il quale è coniuge convivente di una cittadina italiana.

L’assunto secondo il Collegio non è condivisibile. La convivenza coniugale è stata ritenuta condizione insufficiente a fondare, come indicato nel ricorso, un divieto di revoca del permesso di soggiorno pressochè assoluto. La condizione soggettiva della convivenza coniugale con cittadina italiana non esclude il potere amministrativo di procedere alla revoca del titolo di soggiorno in presenza della condizione di pericolosità sociale secondo il paradigma normativo applicabile alla fattispecie ed impone al giudice del merito di verificare in concreto la sussistenza di tale condizione impeditiva del rinnovo. (Cass. 18553 del 2014).

2) Nella relazione (così come nel provvedimento impugnato) non è stato correttamente applicato il parametro normativo relativo alla pericolosità sociale. Nella fattispecie esso va ricondotto esclusivamente a motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato. La norma di riferimento è il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5 bis, come modificata dal D.Lgs. n. 5 del 2007, art. 2. Il giudice relatore ha erroneamente applicato il D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 20, comma 1, trascurando quanto prescritto dall’art. 23 del medesimo testo normativo, secondo il quale le disposizioni del presente decreto legislativo, se più favorevoli, si applicano ai familiari di cittadini italiani.

Anche tale assunto non può essere condiviso ma la relazione deve essere integrato e corretta come segue.

In primo luogo deve essere individuato il quadro normativo applicabile.

Il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 28 comma 2, nella versione tuttora vigente stabilisce: “Ai familiari stranieri di cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione Europea continuano ad applicarsi le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1965, n. 1656, falle salve quelle più favorevoli della presente legge o del regolamento di attuazione. 2. Ai familiari stranieri di cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione Europea continuano ad applicarsi le disposizioni del D.P.R. 30 dicembre 1965, n. 1656, fatte salve quelle più favorevoli della presente legge o del regolamento di attuazione.

Il D.P.R. n. 1656 del 1965, che regolava le condizioni alle quali doveva essere rilasciato, rinnovato o revocato il permesso di soggiorno per i familiari di cittadini italiani è stato abrogato per effetto del D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 25, comma 2. (“2. Alla data di entrata in vigore del presente decreto sono o restano abrogati il D.P.R. 30 dicembre 1965, n. 1656, il D.Lgs. 18 gennaio 2002, n. 52, il D.P.R. 18 gennaio 2002, n. 53, il D.P.R. 18 gennaio 2002, n. 54. 3. Il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 30, comma 4, è abrogalo).

La disposizione transitoria sopraindicata è coerente con l’art. 23, del medesimo D.Lgs. citato anche dalla parte ricorrente nella memoria. Tale norma stabilisce: “Le disposizioni del presente decreto legislativo ove più favorevoli, si applicano ai familiari dei cittadini italiani non aventi la cittadinanza italiana”. Il ricorrente contesta l’interpretazione adottata da questa Corte con la pronuncia n. 12071 del 2013 secondo la quale ai fini dell’accertamento delle condizioni di legge per il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari rilasciato al coniuge straniero di cittadina italiana, deve verificarsi la sussistenza dei requisiti che giustificano D.Lgs. n. 30 del 2007, ex art. 20, la misura dell’allontanamento del cittadino dell’Unione o del suo familiare (quest’ultima categoria, pacificamente, ex artt. 23 e 25, sopra citati ricomprende il familiare di cittadino italiano). Secondo la parte ricorrente la clausola di salvaguardia, contenuta nel D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 23, impone l’applicazione, nella specie, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, in quanto contenente una configurazione della pericolosità sociale più restrittiva (motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato) e conseguentemente più favorevole al cittadino straniero, familiare, in quanto coniuge, del cittadino italiano.

Si deve pertanto stabilire se le condizioni di rinnovo (e quelle impeditive) del permesso di soggiorno per motivi familiari contenute nel D.Lgs. n. 30 del 2007 siano meno favorevoli di quelle omologhe contenute nel D.Lgs. n. 286 del 1998, considerando omologhe quelle che disciplinano la medesima fattispecie. La comparazione può essere svolta soltanto con il citato art. 5, comma 5 bis, che detta la disciplina normativa generale delle condizioni di rilascio e rinnovo (anche impeditive) del permesso di soggiorno.

Le condizioni di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari sono regolate nel D.Lgs. n. 30 del 2007, dall’art. 20. Al riguardo, deve rilevarsi che l’art. 13, nel prevedere il diritto al mantenimento del titolo di soggiorno, stabilisce che la verifica delle condizioni del rinnovo deve essere svolta quando sussistono ragionevoli dubbi sulla persistenza delle condizioni di legge ed al terzo comma, pone delle condizioni limitative al potere amministrativo di allontanamento, precisando però espressamente che rimangono ferme “le disposizioni concernenti l’allontanamento per motivi di ordine e sicurezza pubblica”.

La lettura coordinata della norma sul mantenimento del titolo di soggiorno (art. 13) che pone come limite non superabile i motivi di ordine e sicurezza pubblica al fine di conservare il diritto al rinnovo del permesso di soggiorno e di quella riguardante le cause di allontanamento coattivo (art. 20), consente di affermare che, nel sistema del D.Lgs. n. 30 del 2007, specificamente applicabile ai familiari stranieri dei cittadini italiani, esiste un complesso normativo che contiene condizioni impeditive del rinnovo di permesso di soggiorno per motivi familiari. Come già rilevato nell’ordinanza n. 12701 del 2013, tali condizioni coincidono con quelle che possono portare all’adozione di un provvedimento coattivo di allontanamento, dotato di una disciplina normativa autonoma (anche sotto il profilo della verifica giurisdizionale) rispetto a quella generale relativa all’espulsione e al successivo accompagnamento coattivo (o al trattenimento a fini di differimento del rimpatrio). Ne consegue l’irragionevolezza di una ricostruzione del sistema che richiedesse per impedire il rinnovo del permesso di soggiorno requisiti addirittura più restrittivi di quelli applicabili incontestatamente per disporre direttamente l’allontanamento coattivo D.Lgs. n. 30 del 2007, ex art. 20.

La comparazione tra il sistema disegnato dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, e quello sopra illustrato, contenuto nel D.Lgs. n. 30 del 2007, non conduce alla conclusione prospettata dal ricorrente, ove si svolga un’esegesi puntuale delle norme. Al riguardo il confronto tra il paradigma dei “motivi imperativi di pubblica sicurezza” contenuto nel D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 20, e quello desumibile dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5 bis, evidenzia come le prescrizioni normative sono largamente sovrapponibili. Nel primo testo normativa, ferma la necessità di uno scrutinio concreto ed attuale che costituisce principio generale in ordine all’adozione di misure coercitive limitative dell’ingresso, soggiorno o circolazione dei cittadini stranieri, le condanne per delitti contro l’incolumità della persona (come la rapina) possono essere valutati al fine di riscontrare positive condizioni ostative di ordine e sicurezza pubblica, rientrando addirittura nella più definita categoria dei motivi imperativi di sicurezza pubblica.

Nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5 bis, al fine di valutare la pericolosità dello straniero per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato “si tiene conto anche di eventuali condanne per i reali previsti dall’art. 380 c.p.p., commi 1 e 2, e art. 407, comma 2, lett. a), ovvero peri reati di cui all’art. 12, commi 1 e 3, 5 ter. Il permesso di soggiorno è rifiutato o revocato quando si accerti la violazione del divieto di cui all’art. 29, comma 1 ter. Il delitto di rapina (continuata) di cui si è reso responsabile il ricorrente, secondo quanto accertato insindacabilmente dalla Corte d’Appello, rientra sia nelle fattispecie incriminartici sintomatiche della pericolosità sociale intesa come motivi imperativi di pubblica sicurezza (D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 20) che in quelle contenute nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5 bis, essendo contenuto nell’elencazione degli artt. 380 e 407 c.p.p.. Pertanto, pur non potendosi desumere meccanicisticamente che la responsabilità penale per questa tipologia di reati sia sufficiente di per sè a configurare un profilo soggettivo di pericolosità sociale, deve, tuttavia, rilevarsi che la Corte d’Appello ha svolto un accertamento in concreto, collegando anche diacronicamente le condotte delittuose accertate, comprensive anche della rapina continuata, ed è pervenuta alla finale conclusione della pericolosità sociale. Il riferimento normativo alla “sicurezza dello Stato” contenuto nel citato art. 5, comma 5 bis, deve essere interpretato in correlazione con le fattispecie incriminatrici sintomatiche desumibili dagli artt. 380 e 407 c.p.p., al fine di pervenire ad una nozione coerente con quella relativa alla sicurezza pubblica contenuta nel D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 20. Tali fattispecie non riguardano soltanto reati che attentano alla sicurezza dello Stato inteso come territorio, istituzioni ed ordinamento ma anche alla sicurezza collettiva di tutti coloro che vivono all’interno di esso. I delitti contro l’incolumità fisica, in quanto previsti nell’elenco riportato sia nel D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 20, che nell’art. 5, comma 5 bis, del T.U. sull’immigrazione, possono essere indicativi di un profilo di pericolosità sociale, alla luce di un’indagine concreta e condotta caso per caso come nella specie.

Deve, al riguardo, aggiungersi che la formula contenuta nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4, comma 3, (disposizione relativa alle condizioni impeditive dell’ingresso) è testualmente conforme a quella dell’art. 5. Quanto al richiamo, contenuto nella memoria di parte ricorrente, all’art. 13, comma 2 lettera c), riguardante i requisiti per l’espulsione dovuta a “pericolosità sociale”, deve osservarsi che la norma riguarda esclusivamente i presupposti per procedere all’espulsione amministrativa ed al primo comma a quella disposta dal Ministro dell’Interno (avente regime e requisiti autonomi e non estensibili ad altre ipotesi espulsive). La diversità di regime giuridico anche in ordine alla “pericolosità sociale” si giustifica, pertanto, del tutto ragionevolmente, sulla base della non omogeneità dei requisiti relativi al rinnovo del permesso di soggiorno (nella specie per motivi familiari) e all’accertamento delle cause di espulsione dello straniero. La titolarità del permesso di soggiorno consente l’esercizio di un ampio spettro di diritti, anche sociali, all’interno del nostro ordinamento e, di conseguenza, giustifica un maggior rigore nella verifica del rispetto delle regole di convivenza civile specie in correlazione con la violazione di norme penali. L’annullamento di un provvedimento espulsivo pone, invece, il cittadino straniero non automaticamente in condizioni di richiedere ed ottenere un titolo di soggiorno, evitandogli con certezza soltanto il rimpatrio verso il suo paese di origine.

In conclusione, la valutazione della “pericolosità sociale” del cittadino straniero in sede di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari deve essere svolta alla luce dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 20, potendo, di conseguenza, essere desunta anche dalla commissione di reati che possono colpire o mettere in pericolo l’integrità fisica come la rapina. La valutazione deve, tuttavia, essere svolta in concreto alla luce del profilo complessivo della condotta del richiedente, mediante un esame della tipologia e dell’entità delle condotte delittuose, della loro continuità o sviluppo diacronico, ferma la necessità che almeno una di esse sia riconducibile alle ipotesi normativamente descritte nel D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 20, peraltro del tutto omologhe a quelle descritte nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5 bis, regolante, come già rilevato, le condizioni di legge per il rilascio ed il rinnovo, in generale di un titolo di soggiorno anche per motivi diversi da quelli volti a salvaguardare l’unità familiare.

In conclusione il ricorso deve essere respinto. Le difficoltà di ricostruzione del quadro normativo e delle disposizioni applicabili giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite del presente giudizio.

PQM

Rigetta il ricorso e compensa le spese processuali del presente procedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 8 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2016

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