Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19337 del 17/09/2020

Cassazione civile sez. II, 17/09/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 17/09/2020), n.19337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARRATO Aldo – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 4581 – 2016 R.G. proposto da:

C.D., – c.f. (OMISSIS) – L.M. – c.f.

(OMISSIS) – rappresentati e difesi in virtù di procura speciale in

calce al ricorso dall’avvocato Rudy Cortese ed elettivamente

domiciliati in Roma, alla via G. Avezzana, n. 3, presso lo studio

dell’avvocato Salvatore Di Mattia.

– ricorrenti –

contro

B.G. – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato in Roma,

alla piazza delle Cinque Giornate, n. 2, presso lo studio

dell’avvocato Massimo Merlini che disgiuntamente e congiuntamente

all’avvocato Francesco Savio lo rappresenta e difende in virtù di

procura speciale in calce al controricorso.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1725/2015 della Corte d’appello di Venezia;

udita la relazione nella camera di consiglio del 9 gennaio 2020 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con atto regolarmente notificato B.G. citava a comparire dinanzi al Tribunale di Bassano del Grappa i coniugi C.D. e L.M..

Premetteva che con preliminare in data 10.9.1998 aveva promesso di acquistare ed i convenuti avevano promesso di vendergli per il complessivo prezzo di lire 290.000.000 un’abitazione rurale con adiacente terreno agricolo, in Comune di Mussolente; che al punto 4 del preliminare i promittenti venditori avevano dichiarato che il certificato di destinazione urbanistica n. (OMISSIS) rilasciato il 9.6.1993 dal sindaco di Mussolente era allo stato valido.

Indi esponeva che, invitato in data 25.6.1999 dalle controparti alla stipula del definitivo all’esito del decorso del termine all’uopo concordato, aveva, in risposta, comunicato ai promittenti venditori che non era possibile addivenire alla stipula del rogito, siccome la destinazione urbanistica degli immobili non era corrispondente a quella dichiarata nel preliminare.

Esponeva segnatamente che la destinazione urbanistica dichiarata nel preliminare era stata superata dalla Delib. della giunta comunale n. 205 del 1997 e dal decreto n. 7265/1997 del sindaco di Mussolente, così come risultava dalla comunicazione dello stesso sindaco del 7.10.1998; che con provvedimento n. 6886 parimenti in data 7.10.1998 il Comune di Mussolente non aveva inteso autorizzare i lavori oggetto dell’istanza – proposta dai promittenti venditori – di rinnovo della concessione edilizia concernente il fabbricato compromesso in vendita; che di conseguenza il progetto allegato al preliminare era divenuto “carta straccia”.

Chiedeva, acclarato l’inadempimento dei promittenti venditori ed accertata la legittimità dell’operato suo recesso dal preliminare, condannarsi i convenuti – promittenti alla restituzione del doppio della caparra versata.

1.1. Si costituivano C.D. e L.M..

Deducevano tra l’altro che non era intervenuta alcuna modifica sostanziale della destinazione urbanistica; che il progetto edilizio non era un presupposto di validità del preliminare; che le uniche opere che il Comune aveva messo in discussione riguardavano interventi – la realizzazione di un abbaino e lo spostamento di un portico – del tutto marginali.

Instavano – tra l’altro – per il rigetto dell’avversa domanda.

2. Con sentenza n. 590/2006 l’adito tribunale accoglieva la domanda dell’attore, accertava e dichiarava l’inadempimento dei promittenti venditori nonchè la legittimità del recesso del promissario acquirente e condannava i coniugi C. – L. a versare all’attore, ex art. 1385 c.c., comma 2, la somma di Euro 36.151,98, oltre interessi.

2.1. Esplicitava tra l’altro il tribunale che, alla stregua dell’effettiva volontà delle parti, il riferimento al certificato di destinazione urbanistica doveva essere inteso “come un riferimento alla permanente validità del progetto di ristrutturazione relativo all’immobile” (cfr. ricorso, pag. 7).

3. Proponevano appello C.D. e L.M.. Resisteva B.G..

4. Con sentenza n. 1725/2015 la Corte d’appello di Venezia rigettava il gravame e condannava gli appellanti alle spese del grado.

Evidenziava la Corte che, alla stregua della corretta interpretazione dello “spirito” del preliminare, quale operata dal primo giudice, la realizzabilità del “progetto edilizio” allegato al compromesso costituiva la ragione dell’avvenuta stipulazione, ancorchè le parti avessero inteso far riferimento alla “destinazione urbanistica” anzichè al “progetto edilizio”.

5. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso C.D. e L.M.; ne hanno chiesto sulla scorta di cinque motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

B.G. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio di legittimità.

6. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c..

Deducono che la Corte di merito, in sede di interpretazione dell’art. 4 del preliminare di compravendita – ove i promittenti venditori hanno dichiarato che il certificato di destinazione urbanistica rilasciato in data 9.6.1993 dal sindaco del Comune di Mussolente era allo stato valido – ha, in spregio al canone ermeneutico letterale e dunque al canone in claris non fit interpretatio, prefigurato a carico dei promittenti venditori una vera e propria obbligazione di garanzia circa la validità ed efficacia della concessione edilizia n. 108/1994.

Deducono altresì che la Corte di merito non ha fatto corretto uso del canone ermeneutico di cui all’art. 1362 c.c., comma 2 ossia non ha considerato il comportamento complessivo delle parti.

7. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c..

Deducono che il Tribunale e la Corte distrettuale hanno erroneamente quantificato il doppio della caparra alla cui restituzione sono stati condannati.

Deducono segnatamente che in comparsa di costituzione avevano addotto che il promissario acquirente aveva versato a titolo di caparra confirmatoria unicamente la somma di lire 10.000.000; che lo stesso B.G. aveva affermato di aver versato la somma di lire 25.000.000 a titolo di acconto.

Deducono che del resto depone nel senso che la caparra era stata quantificata in lire 10.000.000, la chiara lettera dell’art. 5 del preliminare, ove è previsto che l’importo di lire 25.000.000 era da versare quale acconto entro il 31.12.1998. Deducono dunque che i giudici di merito hanno interpretato l’art. 5 del preliminare in spregio al canone ermeneutico letterale ed hanno dato rilievo alle quietanze di pagamento, ove, per effetto di un mero errore, la corresponsione della somma di lire 25.000.000 era indicata quale “seconda tranche della caparra pattuita in L. 35.000.000”.

8. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c. in relazione all’art. 1385 c.c..

Deducono che la Corte territoriale non ha correttamente interpretato la dichiarazione recettizia del 3.7.1999.

Deducono in particolare che con tale dichiarazione B.G. ebbe a chiedere l’immediata risoluzione del preliminare e non già a palesare l’intenzione di recedere ai sensi dell’art. 1385 c.c. dal contratto.

Deducono in particolare che con tale dichiarazione B.G. ebbe a chiedere la restituzione delle somme già pagate a titolo di caparra confirmatoria e non già il pagamento del doppio della caparra.

9. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1385 e 1455 c.c.; l’omessa e/o apparente motivazione in ordine alla non scarsa importanza dell’inadempimento.

Deducono che l’inadempimento ad essi ascritto è di scarsa importanza.

Deducono segnatamente che il Comune di Mussolente ha negato l’autorizzazione unicamente per taluni degli interventi edilizi previsti ovvero per interventi del tutto marginali, tali da non impedire la ristrutturazione e ampliamento del fabbricato.

Deducono che siffatte circostanze trovano riscontro nel provvedimento n. 6886/98 del Comune di Mussolente.

Deducono al contempo che, sebbene la richiesta di rinnovo della concessione edilizia sia stata formulata al Comune di Mussolente l’ultimo giorno utile, onde realizzare il progetto sarebbe stato sufficiente ripresentare una nuova istanza con

le modifiche richieste dalla P.A..

10. Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

Deducono che hanno allegato al preliminare il progetto edilizio in buona fede, nell’assoluta convinzione che sarebbe stata rilasciata la nuova concessione edilizia; che di tale circostanza, idonea ad escludere qualsiasi forma di colpa, i giudici di merito non hanno tenuto conto.

Deducono inoltre che del tutto ingiustificatamente il promissario acquirente non ha inteso proporre ricorso al T.a.r. avverso il provvedimento in data 7.10.1998, con cui il Comune di Mussolente non ha autorizzato i lavori oggetto dell’istanza di rinnovo della concessione edilizia.

11. Il primo motivo, il secondo motivo ed il terzo motivo sono strettamente connessi, siccome veicolano, tutti, essenzialmente, quaestiones di tipo ermeneutico.

I medesimi motivi comunque sono privi di fondamento e vanno respinti.

12. Evidentemente esplicano valenza gli insegnamenti di questa Corte.

In primo luogo l’insegnamento alla cui stregua l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata – nel caso di specie pur della dichiarazione recettizia in data 3.7.1999 – costituisce attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, recte, a seguito della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; Cass. 2.5.2006, n. 10131. Cfr., con riferimento alla dichiarazione recettizia, Cass. sez. lav. 21.5.1991, n. 5686, secondo cui le norme sull’interpretazione dei contratti si applicano anche ai negozi unilaterali, nei limiti della compatibilità dei criteri stabiliti dagli artt. 1362 e segg. c.c. con la particolare natura e struttura della predetta categoria di negozi, e quindi anche al licenziamento, negozio unilaterale che si perfeziona nel momento in cui la dichiarazione di volontà del recedente giunge a conoscenza del destinatario, acquistando così l’idoneità necessaria alla produzione dell’effetto voluto).

In secondo luogo l’insegnamento alla cui stregua nè la censura ex n. 3 nè la censura ex n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1 possono risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si traduca nella mera contrapposizione di una differente interpretazione; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178, e Cass. 2.5.2006, n. 10131).

In terzo luogo – in rapporto alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte n. 8053 del 7.4.2014.

13. In questo quadro l’iter motivazionale che sorregge il dictum della Corte di merito risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed esaustivo.

14. Con riferimento al profilo della congruenza motivazionale, da un canto, è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate (giusta, appunto, la summenzionata statuizione delle sezioni unite) ad acquisire significato in rapporto al dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (e tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di sufficienza della motivazione), possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la Corte di Venezia ha ancorato il suo dictum.

Specificamente, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la Corte veneziana – siccome si è anticipato – ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo (la corte lagunare ha puntualizzato che, “letto il preliminare nel suo complesso”, “ciò che risulta “tradito” è lo spirito contrattuale che vedeva nel progetto il punto fondamentale alla base della trattativa”: così sentenza d’appello, pag. 5; ed ha soggiunto che, d’altronde, i promittenti venditori, il giorno precedente la stipulazione del preliminare, si erano fatti carico di domandare il rinnovo della concessione edilizia, “consapevoli dell’importanza del progetto di base nell’assetto di interessi di cui al preliminare”: così sentenza d’appello, pag. 5).

Con riferimento – del pari – al profilo della congruenza motivazionale, d’altro canto, è da riconoscere senza dubbio che la Corte veneziana per nulla ha omesso la disamina del fatto decisivo controverso ovvero delle quaestiones ermeneutiche involte dai mezzi di impugnazione in esame.

15. Con riferimento al profilo della correttezza giuridica è innegabile che le censure dai ricorrenti addotte si risolvono nella mera prefigurazione dell’antitetica interpretazione.

Tanto – tra l’altro – sia con riferimento all’iter interpretativo sotteso all’operata (sulla scorta delle quietanze di pagamento) quantificazione della caparra sia con riferimento all’iter interpretativo sotteso alla determinazione della valenza della dichiarazione recettizia in data 3.7.1999.

15.1. In ogni caso, parimenti con riferimento al profilo della correttezza giuridica, è da rimarcare quanto segue.

Per un verso, in ordine alla pretesa violazione del canone ermeneutico letterale, che, alla luce del principio enunciato dall’art. 1363 c.c., il giudice non può, nella interpretazione dei contratti arrestarsi ad una considerazione “atomistica” delle singole clausole, neppure quando la loro interpretazione possa essere compiuta, senza incertezze, sulla base del “senso letterale delle parole”, poichè anche questo va necessariamente riferito all’intero testo della dichiarazione negoziale, onde le varie espressioni che in essa figurano, vanno coordinate fra loro e ricondotte ad armonica unità e concordanza (cfr. Cass. (ord.) 30.1.2018, n. 2267).

Ineccepibilmente quindi la Corte d’appello ha – “letto il preliminare nel suo complesso” – fatto riferimento allo “spirito” del contratto preliminare.

Per altro verso, in ordine alla pretesa violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1362 c.c., comma 2 che, nell’interpretazione dei contratti è possibile fare ricorso al criterio della valutazione del comportamento complessivo solo quando il criterio letterale e quello del collegamento logico tra le varie clausole si rivelino inadeguati all’accertamento della comune intenzione delle parti (cfr. Cass. 19.5.2000, n. 6482; Cass. 14.11.2002, n. 16022).

Innegabilmente quindi il rilievo dei ricorrenti, secondo cui la Corte di merito non ha considerato che il promissario acquirente non si era dimostrato interessato a reagire alla mancata proroga della concessione edilizia (cfr. ricorso, pag. 13), non ha precipua valenza.

Per altro verso ancora, che, in tema di contratto preliminare cui acceda il versamento di una caparra confirmatoria, la parte adempiente che si sia avvalsa della facoltà di provocarne la risoluzione mediante diffida ad adempiere, ai sensi dell’art. 1454 c.c., può agire in giudizio esercitando il diritto di recesso ex art. 1385 c.c., comma 2, e in tal caso, ove abbia ricevuto la caparra, ha diritto di ritenerla definitivamente mentre, ove l’abbia versata, ha diritto di ricevere la restituzione del doppio di essa, con esclusione del diritto al risarcimento del danno cagionato dall’inadempimento che ha giustificato il recesso (cfr. Cass. 3.11.2017, n. 26206).

Indubitabilmente quindi non ha – eventualmente – valenza il rilievo dei ricorrenti secondo cui il promissario acquirente aveva preventivamente chiesto “l’immediata risoluzione del contratto” (cfr. ricorso, pag. 15).

16. Una finale notazione si impone.

Le quaestiones concernenti l’asserita erronea quantificazione della caparra (quaestio veicolata dal secondo mezzo) e l’asserita erronea interpretazione della dichiarazione recettizia del 3.7.1999 (quaestio veicolata dal terzo mezzo) rivestono in questa sede una indubbia connotazione di novità (cfr. Cass. 25.10.2017, n. 25319, secondo cui nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio).

Invero l’impugnato dictum non ne fa menzione.

E del resto il controricorrente adduce, in particolare relativamente alla prima quaestio, che in parte qua il primo dictum non era stato appellato, sicchè il profilo è coperto da giudicato “interno” (cfr. controricorso, pag. 9).

I ricorrenti quindi avrebbero dovuto, a rigore, denunciare una omissione di pronuncia.

17. Il quarto motivo ed il quinto motivo del pari sono strettamente connessi.

Invero pur il quarto mezzo di impugnazione si qualifica – analogamente al quinto – in via esclusiva in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (si condivide dunque il rilievo del controricorrente: cfr. controricorso, pag. 10).

Per un verso, i ricorrenti – con il quarto motivo – censurano sostanzialmente il giudizio “di fatto” cui la Corte d’appello ha atteso ai fini del riscontro della “non scarsa importanza dell’inadempimento” (ovviamente riveste valenza l’insegnamento di questa Corte n. 21209 dell’8.8.2019, a tenor del quale la disciplina del recesso di cui all’art. 1385 c.c. in ipotesi di versamento della caparra confirmatoria, alla stregua della disciplina generale in tema di risoluzione per inadempimento, presuppone l’inadempimento colpevole e di non scarsa importanza in relazione all’interesse dell’altro contraente).

Per altro verso, è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).

Per altro verso ancora, in materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1455 c.c., costituisce questione “di fatto”, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (cfr. Cass. 30.3.2015, n. 6401).

Si giustifica perciò la disamina contestuale del quarto e del quinto mezzo; ambedue i motivi comunque vanno respinti.

18. Evidentemente le censure che i mezzi de quibus veicolano, rilevano – se del caso – oltre che nel solco dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nei limiti di cui alla già citata pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

19. In siffatta proiezione si osserva quanto segue.

19.1. Da un lato, nessuna “anomalia motivazionale” si riscontra pur in parte qua nelle motivazioni del secondo dictum.

In particolare la Corte distrettuale ha non solo ribadito “l’estrema importanza del progetto”, ma ha rimarcato che la richiesta di rinnovo della concessione edilizia, formulata al Comune di Mussolente l’ultimo giorno utile, non era idonea a garantire la pronuncia del provvedimento di rinnovo da parte del P.A.

19.2. Dall’altro, la Corte distrettuale per nulla ha omesso la disamina dei profili della gravità e della imputabilità dell’inadempimento.

20. In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge la statuizione della Corte territoriale anche a tali riguardi risulta ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed esaustivo.

21. Con riferimento al profilo della correttezza giuridica si evidenzia quanto segue.

Nei contratti con prestazioni corrispettive il contraente che abbia adempiuto la propria prestazione non è tenuto, nel caso di inadempimento totale o parziale dell’altro contraente, a svolgere attività per conseguire aliunde la controprestazione, dato che gli artt. 1175,1227 e 1375 c.c., pur prevedendo per entrambi i contraenti un dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, sono dettati allo scopo di vietare comportamenti vessatori ed ostruzionistici, ma non possono essere intesi nel senso di trasferire a carico del creditore le obbligazioni specifiche del debitore, o le conseguenze dell’inadempimento a lui imputabile (cfr. Cass. 78.1990, n. 7987).

Tanto specificamente in relazione all’assunto dei ricorrenti secondo cui del tutto ingiustificatamente il promissario acquirente non avrebbe inteso adire il t.a.r. avverso il provvedimento in data 7.10.1998 del Comune di Mussolente.

22. Con riferimento al profilo della congruenza della motivazione si evidenzia quanto segue.

In fondo i ricorrenti si dolgono per l’asserito mancato esame di argomentazioni difensive.

E tuttavia una doglianza siffatta neppure è riconducibile al paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. 14.6.2017, n. 14802; Cass. (ord.) 13.8.2018, n. 20718).

Tanto specificamente in relazione agli assunti dei ricorrenti secondo cui hanno allegato al preliminare il progetto edilizio nell’assoluta convinzione che sarebbe stata rilasciata la nuova concessione edilizia e secondo cui il Comune di Mussolente ha negato l’autorizzazione per interventi edilizi del tutto marginali.

23. In dipendenza del rigetto del ricorso i ricorrenti vanno in solido condannati a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di legittimità; la liquidazione segue come da dispositivo.

24. Ai sensi dell’art. 13, 1 co. quater, D.P.R. n. 30.5.2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del D.P.R. cit., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido i ricorrenti, C.D. e L.M., a rimborsare al controricorrente, B.G., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2020

 

 

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