Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19336 del 17/09/2020

Cassazione civile sez. II, 17/09/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 17/09/2020), n.19336

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARRATO Aldo – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5867 – 2016 R.G. proposto da:

F.F., – c.f./p.i.v.a. (OMISSIS) – titolare dell’omonima

ditta, elettivamente domiciliato in Roma, alla via Crescenzio, n.

69, presso lo studio dell’avvocato Roberta Feliziani che

disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Giannitalo Papa lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale a margine del

ricorso.

– ricorrente –

contro

FI.CL., – c.f. (OMISSIS) – FI.FR. – c.f.

(OMISSIS) – elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio

dell’avvocato (OMISSIS) che li rappresenta e difende in virtù di

procura speciale a margine del controricorso.

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 206 del 3.2.2015 della Corte d’appello di

Firenze,

udita la relazione nella camera di consiglio del 9 gennaio 2020 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ricorso al Tribunale di Pistoia, sezione distaccata di Pescia, F.F., titolare della ditta “Infissi F.”, esponeva che aveva provveduto su ordine e per conto di Fi.Cl. e di Fi.Fr. alla fornitura e posa in opera di finestre e persiane; che il corrispettivo, pari ad Euro 5.164,05, quale risultante da fattura n. 68/2002 e dal documento di trasporto n. 176/2001, era rimasto insoluto.

Chiedeva che se ne ingiungesse il pagamento alle controparti unitamente agli interessi ed alle spese di procedura.

2. Con decreto n. 83/2003 l’adito tribunale pronunciava l’ingiunzione.

3. Con citazione notificata il 23.4.2003 Fi.Cl. e Fi.Fr. proponevano opposizione.

Deducevano – tra l’altro – che, come da denuncia prontamente rivolta a controparte, gli infissi presentavano vizi e difformità.

Chiedevano la revoca dell’opposto decreto ingiuntivo.

4. Resisteva F.F..

5. Assunte le prove per testimoni, espletata la c.t.u., con sentenza n. 27/2012 l’adito tribunale revocava il decreto ingiuntivo e condannava l’opposto alle spese di lite.

5.1. Riteneva il primo giudice che gli esiti istruttori davano riscontro della tempestiva denuncia dei vizi e della necessità, onde ai vizi porre rimedio, di un esborso corrispondente all’importo ingiunto (cfr. sentenza d’appello, pag. 1).

6. Proponeva appello F.F..

Resistevano Fi.Cl. e Fi.Fr..

7. Con sentenza n. 206/2015 la Corte d’appello di Firenze rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese del grado.

Esplicitava la Corte che, ai fini del riscontro della eccepita decadenza dalla garanzia in dipendenza della tardiva denunzia dei vizi, erano da privilegiare le dichiarazioni rese dai testimoni addotti dai committenti; che invero i testimoni addotti dal F. erano, l’uno, inattendibile, siccome alle dipendenze della ditta opposta, l’altro, totalmente all’oscuro della vicenda.

8. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso F.F.; ne ha chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Fi.Cl. e Fi.Fr. hanno depositato controricorso; hanno chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio di legittimità.

9. Il ricorrente ha depositato memoria.

10. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’omessa valutazione del fascicolo d’ufficio di primo grado.

Deduce che la Corte di merito, per sua stessa ammissione, in sede di decisione della controversia, ha omesso l’esame del fascicolo d’ufficio di primo grado, sebbene trasmesso in tempo utile per l’udienza del 3.2.2015, e, segnatamente, ha omesso l’esame, da reputarsi essenziale, dei verbali d’udienza riguardanti l’assunzione della prova per testimoni.

Deduce ulteriormente che nessun addebito gli è ascrivibile in relazione alla tardiva trasmissione del fascicolo d’ufficio.

11. Il primo motivo di ricorso va respinto.

12. Del tutto ingiustificate sono le ragioni di censura che veicola.

Con riferimento all’asserito omesso esame del fascicolo d’ufficio del primo grado la Corte distrettuale ha puntualizzato che alla ricostruzione del fascicolo d’ufficio di prime cure – che il tribunale non aveva trasmesso – le parti erano state debitamente autorizzate (cfr. sentenza d’appello, pag. 2).

Con riferimento all’asserito omesso esame dei verbali d’udienza riguardanti l’assunzione della prova per testimoni la Corte distrettuale ha puntualizzato che, sebbene perdurasse il difetto degli anzidetti verbali, poteva aversi “per valido, in assenza di contestazioni, ciò che del contenuto di quelle dichiarazioni si legge sia in sentenza che nei rispettivi atti di parte” (così sentenza d’appello, pag. 2).

13. Su tale scorta il motivo in disamina non merita seguito alla stregua di un duplice argomento.

Per un verso, il motivo non si correla alla ratio decidendi, quale espressa, in parte qua agitur, dalle surriferite puntualizzazioni della Corte di Firenze, in particolare non si correla al rilievo della Corte fiorentina circa l’assenza di contestazioni in ordine alla riproduzione delle dichiarazioni testimoniali nel testo della statuizione di prime cure e nel testo degli atti di parte.

Ben vero, la circostanza – prospettata dal ricorrente in memoria (cfr. pag. 5) – per cui la sentenza n. 206/2015 della Corte d’appello di Firenze è stata pronunciata “a seguito della (…) discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c.”, per nulla è idonea a vanificare il difetto, in parte qua, di contestazioni.

Per altro verso, il motivo si risolve nella denuncia del tutto generica di un presunto error in procedendo.

Sovviene perciò l’insegnamento di questa Corte a tenor del quale la denuncia di pretese violazioni di norme processuali non si giustifica a tutela dell’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, sibbene unicamente onde porre rimedio alla menomazione che al proprio diritto di difesa la parte ha subito in conseguenza della denunciata violazione; cosicchè è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (cfr. Cass. 18.12.2014, n. 26831).

14. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2226 c.c..

Deduce che, contrariamente all’assunto della Corte territoriale, i committenti non hanno fornito idonea prova, nè documentale nè a mezzo dei testimoni escussi, della tempestiva – entro il previsto termine di otto giorni – denuncia degli asseriti vizi degli infissi ad essi forniti; che dunque i committenti sono senz’altro decaduti dalla garanzia.

Deduce segnatamente che le dichiarazioni rese dai testi, G.L. e Fl.Di., addotti dalle controparti sono del tutto generiche e vaghe.

Deduce segnatamente che, viceversa, i testi, L.D. e D.G., da egli addotti hanno dichiarato che “il lavoro eseguito era stato regolarmente accettato dai Sigg.ri Fi. (…) senza che fosse pervenuta alcuna lamentela e/o contestazione (…), nè al momento della consegna, nè successivamente” (così ricorso, pag. 17).

15. Il secondo motivo di ricorso del pari va respinto.

16. Innegabilmente con detto motivo il ricorrente censura il giudizio “di fatto” cui la Corte di Firenze, sulla scorta degli esiti istruttori, ha atteso ai fini del riscontro della tempestività della denuncia delle difformità e dei vizi che gli infissi forniti ai Fi. presentavano.

In questi termini il mezzo in disamina si qualifica in via esclusiva in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Del resto è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).

Ed ulteriormente, in tema di prova testimoniale, la valutazione del giudice di merito in ordine all’attendibilità dei testimoni escussi si sottrae al controllo di legittimità allorchè sia corredata da motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa vigente in materia (cfr. Cass. 24.5.2013, n. 12988; Cass. 24.5.2006, n. 12362), recte, al cospetto del novello dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 si sottrae al controllo di legittimità se non vi è stato omesso esame circa fatto decisivo e controverso.

Di conseguenza le censure addotte con il motivo in esame rilevano – se del caso – oltre che nel segno della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nei limiti di cui alla pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

17. Ebbene, nella prospettiva testè delineata, si rappresenta quanto segue.

Da un canto, nessuna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della summenzionata pronuncia delle sezioni unite – e tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – si scorge in relazione alle motivazioni cui la Corte d’appello ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la Corte territoriale ha, così come si è premesso, compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo (cfr. sentenza d’appello, pagg. 2 e 3).

D’altro canto, la Corte distrettuale ha sicuramente disaminato il fatto storico caratterizzante, in parte qua, la res litigiosa ovvero i fatti idonei a dar ragione (o meno) della tempestiva denuncia dei vizi e delle difformità.

18. In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della Corte di merito risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed esaustivo.

19. Ben vero, il ricorrente censura l’asserita omessa ed erronea valutazione delle risultanze di causa (il ricorrente ha ulteriormente dedotto che la presenza degli asseriti vizi non è stata contestata neppure all’esito dell’inoltro, in data 6.11.2002, del sollecito di pagamento: cfr. ricorso, pag. 18; che “in occasione del sopralluogo eseguito presso l’immobile dal c.t.u. (…) gli infissi (…) non solo risultavano ancora al loro posto, ma non avevano subito alcun tipo di intervento e/o riparazione, nemmeno da parte di soggetti terzi”: così ricorso, pag. 18).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

20. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di elementi probatori decisivi.

Deduce che la Corte di Firenze non ha tenuto conto delle conclusioni del proprio consulente tecnico, secondo cui gli infissi, considerate le condizioni delle strutture murarie, erano stati installati a regola d’arte e secondo cui le eventuali infiltrazioni avrebbero potuto essere eliminate mediante una nuova sigillatura.

21. Il terzo motivo di ricorso parimenti va respinto.

22. Il mezzo in disamina, a rigore, non si correla alla ratio decidendi.

La Corte fiorentina difatti ha evidenziato previamente che l’appellante non aveva allegato la relazione del proprio consulente tecnico (cfr. sentenza d’appello, pag. 3).

23. In ogni caso questa Corte spiega che la consulenza di parte, ancorchè confermata sotto il vincolo del giuramento, costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio, con la conseguenza che il giudice di merito, ove di contrario avviso, non è tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto, quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni con esso incompatibili e conformi al parere del proprio consulente (cfr. Cass. 29.1.2010, n. 2063; cfr. Cass. 11.7.1983, n. 4712; Cass. 18.4.2001, n. 5687).

23.1. In questi termini è sufficiente rimarcare che la Corte d’appello di Firenze ha esplicitato – così esaustivamente palesando il proprio dissenso in ordine ai rilievi del c.t.p. – che il consulente d’ufficio aveva individuato con assoluta chiarezza e coerenza l’origine dei vizi sia con riferimento alla fase costruttiva sia con riferimento alla fase di posa in opera degli infissi.

24. In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare ai controricorrenti le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

25. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, F.F., a rimborsare ai controricorrenti, Fi.Cl. e Fi.Fr., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2020

 

 

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