Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19335 del 18/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/07/2019, (ud. 05/06/2019, dep. 18/07/2019), n.19335

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27155-2015 proposto da:

R.E., T.G., elettivamente domiciliati in ROMA

VIA CARLO MIRABELLO 18, presso lo studio dell’avvocato ALFONSO

QUINTARELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato ELISABETTA SPONGA

giusta delega in calce;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO PROVINCIALE DI (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

COMUNE DI PINO TORINESE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 729/2015 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 09/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/06/2019 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TOMMASO BASILE che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per i ricorrenti l’Avvocato MORTATI per delega dell’Avvocato

SPONGA che si riporta agli atti.

Fatto

FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

p. 1. R.E. e T.G. propongono cinque motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 729/39/15 del 9 luglio 2015, con la quale la commissione tributaria regionale del Piemonte, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimi gli avvisi di accertamento Ici 2007/2009 notificati dal Comune di Pino Torinese; ciò con riguardo ad un fabbricato di loro proprietà adibito ad abitazione principale, ed iscritto a catasto in categoria A/1, cl.U.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha rilevato che: – la rendita corrispondente alla classificazione catastale in oggetto (divergente da quella proposta dai contribuenti: cat. A/7, c1.2) risultava assegnata fin dal 1990; – essa era stata notificata ai contribuenti, come consentito alla L. n. 342 del 2000, art. 74, contestualmente alla notificazione di precedenti analoghi avvisi di accertamento Ici 2004/2006, divenuti definitivi per mancata impugnazione; – l’impugnazione dedotta nel presente procedimento doveva dunque ritenersi inammissibile, perchè relativa ad avvisi di accertamento Ici successivi, ma anch’essi basati sulla medesima rendita catastale non opposta a tempo debito.

Resiste con controricorso l’agenzia delle entrate, mentre nessuna attività difensiva è stata svolta in questa sede dall’ente impositore Comune di Pino Torinese.

p. 2.1 Con il primo ed il secondo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, – violazione di legge sostanziale e processuale, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio; costituito dall’avvenuta presentazione, da parte dei contribuenti, di istanza di modificazione di categoria, classe e rendita catastale, nonchè di istanza di annullamento in autotutela della rendita posta a fondamento degli avvisi di accertamento Ici 2004/2006.

p. 2.2 I due motivi di ricorso – suscettibili di trattazione unitaria per la stretta connessione delle questioni giuridiche poste – sono infondati.

Il giudice di merito ha appurato che la rendita in questione risaliva al 1990 e che, dunque, poteva legittimamente essere notificata ai contribuenti in una con i primi atti impositivi su di essa basati; ciò in forza della cit. L. n. 342 del 2000, art. 74,comma 3, secondo cui: “Per gli atti che abbiano comportato attribuzione o modificazione della rendita, adottati entro il 31 dicembre 1999, non ancora recepiti in atti impositivi dell’amministrazione finanziaria o degli enti locali, i soggetti attivi di imposta provvedono, entro i termini di prescrizione o decadenza previsti dalle norme per i singoli tributi, alla liquidazione o all’accertamento dell’eventuale imposta dovuta sulla base della rendita catastale attribuita. I relativi atti impositivi costituiscono a tutti gli effetti anche atti di notificazione della predetta rendita. Dall’avvenuta notificazione decorre il termine per proporre il ricorso di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, comma 3, e successive modificazioni”.

Il giudice di merito ha altresì appurato – nella ricostruzione fattuale della vicenda ad esso demandata – che la rendita catastale così stabilita dall’amministrazione finanziaria era stata appunto notificata ai contribuenti in data 3 dicembre 2009, contestualmente ad avvisi di accertamento Ici 2004/2006 (circostanza, del resto, riferita anche dalla stessa parte contribuente).

A seguito di questa notificazione, tuttavia, gli odierni ricorrenti omisero di presentare la dovuta impugnazione in sede giurisdizionale D.Lgs. n. 546 del 1992, ex artt. 2,19 e 21, con conseguente definitività della rendita così stabilita dall’amministrazione finanziaria, e posta poi a base dal Comune degli analoghi avvisi di accertamento Ici (gli unici qui contestati) 2007/2009.

A disattendere le censure in esame basta considerare che, come esattamente osservato dal giudice di merito, la definitività della rendita non poteva escludersi nè in ragione del fatto che i contribuenti, per anni, avessero pacificamente corrisposto l’Ici sulla base della rendita presunta da essi proposta il 14 dicembre 1992, nè in considerazione del fatto che, successivamente alla notificazione del 3 dicembre 2009, essi avessero in effetti presentato (il 20 gennaio 2010) istanza di annullamento in autotutela alla competente agenzia del territorio (respinta con comunicazione del 10 maggio 2011).

Per quanto concerne il primo aspetto, rileva come il pagamento in misura autoridotta non fosse di per sè preclusivo – fermi i limiti di decadenza e di prescrizione – del recupero della maggiore imposta da parte dell’amministrazione competente, così come risultante dalla rendita già attribuita fin dal 1990. Nè potrebbe sostenersi che il “silenzio” serbato dall’amministrazione sulla proposta di rettifica formulata dai contribuenti implicasse accettazione di quest’ultima, con conseguente “novità” dell’atto di rideterminazione/retrocessione di rendita reso in occasione della notificazione dei primi avvisi di accertamento Ici 2004/2006. Ricorre, in proposito, l’orientamento interpretativo secondo cui: “In tema di catasto dei fabbricati, la procedura di cui al D.M. 19 aprile 1994, n. 701, che consente al titolare di diritti reali sui beni immobili di proporne la rendita, ha il solo scopo di rendere più rapida la formazione del catasto ed il suo aggiornamento, attribuendo alle dichiarazioni presentate ai sensi del D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 56, la funzione di “rendita proposta”, fino a quando l’ufficio finanziario non provveda alla quantificazione della rendita definitiva, sicchè il termine massimo di dodici mesi dalla presentazione della dichiarazione, assegnato all’ufficio per la “determinazione della rendita catastale definitiva”, ha natura meramente ordinatoria, non essendone il carattere perentorio espressamente previsto dalla norma regolamentare nè potendo ricavarsi dalla disciplina legislativa della materia, con cui è assolutamente incompatibile un limite temporale alla modificazione o all’aggiornamento delle rendite catastali. Ne consegue che il verificarsi delle scadenze non comporta la decadenza per l’amministrazione dal potere di rettifica” (Cass. n. ord. 6411/14; così Cass. n. ord. 16242/15). Di tal chè, in ogni caso, era fatto onere ai contribuenti di impugnare la rendita originariamente attribuita, così come ad essi legittimamente notificata in una con i citati avvisi di accertamento 2004/2006.

Per quanto concerne il secondo aspetto, appare evidente come l’unico rimedio suscettibile di precludere la definitività della rendita fosse l’impugnativa in sede giurisdizionale; non potendo tale effetto ricollegarsi alla mera presentazione, in sede amministrativa, di istanza di annullamento in autotutela (il cui esito sfavorevole, del resto, non risulta nemmeno esso impugnato).

p. 3.1 Con il terzo ed il quarto motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – violazione dei principi di uguaglianza e di capacità contributiva (artt. 3-53 Cost.), nonchè omesso esame su un fatto decisivo del giudizio, costituito dalla più favorevole classificazione catastale riconosciuta ad altra proprietaria di porzione del medesimo fabbricato (che aveva ottenuto l’attribuzione della categoria A/7 in luogo di quella A/1); nonchè dalla oggettiva iniquità di un’imposizione Ici non collegata ad un effettivo indice di ricchezza.

p. 3.2 Quanto finora esposto dà conto anche della infondatezza di queste censure, pure suscettibili di trattazione unitaria.

La non rispondenza dell’attuale rendita catastale alla effettiva capacità contributiva desumibile dalla proprietà immobiliare in questione (con quanto ne deriva in ordine alla dedotta iniquità della situazione) costituisce, allo stato, mera affermazione di parte; là dove, appunto per le già dedotte considerazioni, la eventuale discrepanza rispetto alle reali ed effettive condizioni intrinseche e caratteristiche tipologiche dell’immobile abitativo in questione doveva essere fatta valere nei modi e nei tempi prescritti dalla legge per la tutela dei diritti relativi (salva la facoltà della parte di sempre sottoporre all’amministrazione finanziaria i presupposti per una revisione dell’attuale classificazione, e però nell’ambito di una procedura amministrativa di rettifica meramente eventuale e comunque del tutto ininfluente ai fini del presente giudizio). Altrettanto è a dirsi per la diversa e più collimante rendita che sarebbe stata riconosciuta ad altra proprietaria di unità immobiliare ricompresa nel medesimo fabbricato; riconoscimento appunto relativo esclusivamente a quest’ultima unità immobiliare, ed insuscettibile di automatica estensione, per vincolo amministrativo o di giudicato, alla presente fattispecie.

p. 4.1 Con il quinto motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15. Per avere la Commissione Tributaria Regionale posto le spese di lite a carico dei contribuenti, nonostante che vari elementi (la complessità della materia; la mancanza di indicazioni chiare da parte dell’amministrazione finanziaria; oggettivi elementi di incertezza normativa) deponessero invece per la compensazione delle stesse.

p. 4.2 Neppure questa doglianza può trovare accoglimento.

In materia è consolidato l’indirizzo di legittimità secondo cui (Cass. n. ord. 24502/17 ed altre): “In tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi”.

La qui censurata decisione del giudice di appello di porre le spese di lite a carico dei contribuenti – in ragione della loro totale soccombenza, qui ribadita – non appare dunque oggi rivedibile.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna parte ricorrente alla rifusione, a favore dell’agenzia delle entrate, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.400,00, oltre spese prenotate a debito;

– v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

– dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 5 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

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