Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19332 del 10/09/2010
Cassazione civile sez. I, 10/09/2010, (ud. 07/07/2010, dep. 10/09/2010), n.19332
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –
Dott. PROTO Vincenzo – rel. Consigliere –
Dott. VITRONE Ugo – Consigliere –
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Consigliere –
Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 22295/2008 proposto da:
P.L. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA DONATELLO 23, presso l’avvocato VILLA Piergiorgio, che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DROGHETTI GLORIA,
giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,
domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositato il
27/02/2008;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del
07/07/2010 dal Presidente Dott. VINCENZO PROTO;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato VILLA che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto depositato in data 27 febbraio 2008 la Corte di appello de L’Aquila si è pronunciata sulla domanda di equa riparazione del danno proposta dal sig. P.L., che aveva lamentato – ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, in riferimento alla conv. per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848, ed entrata in vigore per l’Italia il 26 ottobre 1955 – la eccessiva durata del processo da lui promosso davanti al Tribunale di Macerata, per ottenere il pagamento della somma pretesa, introdotto con atto notificato il 20 aprile 1989 e definito il 20 gennaio 20007.
La Corte, accertato in quasi diciotto anni il tempo per la definizione del giudizio, e, rilevato che era attribuibile al comportamento delle parti la richiesta di rinvio di alcune udienze e la frammentazione delle istanze di prove, ma non il differimento della trattazione della causa dal 12.3.91 al 3.8.92, dal 20.4.93 al 20.5.93, dal 18.2.99 al 27.4.06 per complessivi sette anni e nove mesi, ha liquidato equitativamente a titolo di danno non patrimoniale a favore del ricorrente Euro 7.750,00.
Avverso tale decreto il P. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati con memoria, cui ha resistito con controricorso il Ministero della giustizia.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo e col secondo motivo il ricorrente premesso che i due processi civili (che avevano determinato il P. a promuovere ricorso ai sensi della L. n. 89 del 2001) erano stati riuniti per connessione soggettiva nel 1991 e definitivi con unica sentenza il 20 febbraio 2007, depositata il 3 marzo 2007, denuncia la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 conv. per i diritti dell’uomo, nonchè carenza di motivazione, lamentando sostanzialmente che la Corte di appello non abbia conteggiato, nel calcolare la durata del processo, le udienze anteriori alla riunione dei due processi, nè considerato che l’imputabilità alle parti (ovvero ad una di esse) dei rinvii della causa non esclude l’indennizzabilità.
Seguono i relativi quesiti.
Il ricorso va accolto alla stregua delle seguenti considerazioni.
Secondo l’interpretazione giurisprudenziale della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, la durata del processo deve essere verificata in concreto, tenendo conto dei criteri e sulla base degli elementi previsti da detta disposizione. In tal senso è orientata anche la Corte EDU, la quale ha tuttavia stabilito un parametro tendenziale che fissa la durata ragionevole del giudizio rispettivamente in anni tre, due ed uno per il giudizio di primo grado, di secondo grado e di legittimità; parametro da cui è possibile discostarsi (purchè in misura ragionevole) se la valutazione conclusiva del giudice del merito è sorretta da congrue argomentazioni (Cass. 3515/2009, ex plurimis).
Nella specie la Corte d’appello non si è conformata a tali criteri, non avendo adeguatamente motivato in ordine alla conclusione cui essa è pervenuta nella determinazione della durata del giudizio presupposto, nè considerato che anche i rinvii superiori al termine ordinario (art. 81 disp. att. c.p.c.) concessi dal giudice su richiesta delle parti devono essere computati nella sua valutazione, salvo che sia evidenziata una vera e propria strategia dilatoria delle parti stesse idonea ad impedire l’esercizio dei poteri di direzione del processo propri del giudice ordinario (Cass. 1718/2008).
Il ricorso va dunque accolto e la causa può essere decisa nel merito, alla stregua dei criteri stabiliti da questa Corte con la sentenza n. 21840 del 14 ottobre 2010 (ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, comporta che la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere di regola non inferiore ad euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a euro 1000,00 per quelli successivi).
Accertata la durata complessiva per la definizione del giudizio davanti al Tribunale di Macerata in quasi 18 anni (20 aprile 1989 al 3 marzo 2007), la causa può essere decisa equitativamente in questa sede, determinando in complessivi Euro 14.000,00 il danno non patrimoniale subito dal ricorrente, con gli interessi dalla domanda.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la resistente Amministrazione al pagamento di Euro 14.000,00, con gli interessi dal giorno della domanda a favore del ricorrente.
Liquida – per la fase di merito – a titolo di onorari Euro 600,00, di diritti Euro 380,00, di spese Euro 50,00; per il giudizio di legittimità complessivi Euro 800,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Si comunichi ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 luglio 2010.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2010