Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19331 del 18/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/07/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 18/07/2019), n.19331

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17269/2014 proposto da:

ZI.A.CA. – ZINCHERIA A CALDO ABRUZZESE S.R.L.”, (P.IVA: (OMISSIS)),

in persona del legale rappresentante in carica Arch. T.E.,

con sede legale in L’Aquila, (OMISSIS), rappresentata e difesa

dall’Avv. Marilena Maurizi (C.F.: MRZMLN63S53A345X) ed elettivamente

domiciliata presso la stessa, in Roma, alla Via Antonio Chinotto n.

1, come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE dell’AQUILA, (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Sindaco p.t.,

rappresentato e difeso dall’Avv. Domenico de Nardis del Foro

dell’Aquila, giusta procura apposta in calce al controricorso,

elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Tremiti n. 10, presso

l’Avv. Annalisa Pace (C.F.: DNRDNC62R03A345F);

– controricorrente –

Equitalia Gerit Spa;

– intimata –

– avverso la sentenza n. 29/V/2013 emessa dalla CTR Abruzzo in data

14/05/2013 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del

22/5/2019 dal Consigliere Dott. Andrea Penta;

udite le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero Dott.

Francesco Salzano nel senso della declaratoria di estinzione del

giudizio per rinuncia; udite le conclusioni rassegnate dall’Avv.

Marilena Maurizi, difensore della resistente.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La società ZI.A.CA. s.r.l. riceveva l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) del 30.12.2005, con il quale il Comune dell’Aquila, previo sopralluogo ed accertamenti nello (OMISSIS), accertava che la stessa aveva omesso di dichiarare il possesso dei locali di sua proprietà ai fini dell’applicazione della Tarsu, determinando la somma dovuta a titolo di tassa, sanzioni ed interessi relativamente al periodo 2001 al 2005. Contro l’avviso la società Ziaca non esperiva alcuna impugnativa, sicchè l’atto di accertamento, decorso il termine del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21, diveniva definitivo.

Nel termine previsto il Comune iscriveva a ruolo il credito ed il Concessionario della Riscossione Equitalia Gerit provvedeva alla notifica della cartella esattoriale n. (OMISSIS), che non veniva, a sua volta, impugnata.

La società Ziaca proponeva tardivamente l’impugnativa della cartella esattoriale; inoltre proponeva una prima istanza di autotutela, che veniva rigettata dal Comune dando atto della inoppugnabilità dell’atto d’imposizione. Successivamente la società adiva al T.A.R. dell’Aquila, ma anche tale ricorso veniva dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione.

La società proponeva una nuova istanza di autotutela, che il Comune rigettava richiamando la propria precedente comunicazione in ragione della inoppugnabilità dell’accertamento.

Dopo tre mesi, la società Ziaca proponeva ricorso giurisdizionale avverso il secondo diniego di autotutela, in cui assumeva la mancata notifica e l’avvenuta conoscenza di fatto soltanto in data posteriore all’11 aprile 2008.

Si costituiva il Comune, difendendo il proprio operato.

Con sentenza n. 119 del 2 marzo 2010, la Commissione Tributaria Provinciale dichiarava inammissibile il ricorso, avendo per oggetto un atto non impugnabile.

Avverso tale sentenza, la società Ziaca proponeva appello, contestando principalmente il diniego di annullamento in autotutela e la fondatezza della pretesa tributaria e chiedendo che fosse dichiarata l’illegittimità del provvedimento prot. n. (OMISSIS) del 18.05.2007, con cui il Comune aveva respinto la seconda domanda di autotutela sul presupposto della definitività dell’accertamento n. (OMISSIS).

Si costituiva il Comune, proponendo altresì appello incidentale in relazione alla regolazione delle spese con integrale compensazione.

Con sentenza del 14.5.2013 la CTR Abruzzo rigettava sia l’appello principale che quello incidentale sulla base delle seguenti considerazioni:

1) la società Ziaca aveva presentato richieste di autotutela dopo la scadenza del termine per l’impugnazione dell’avviso di accertamento e dopo aver ricevuto una prima comunicazione di diniego, a sua volta formulata con richiamo alla definitività dell’accertamento;

2) in un siffatto contesto la motivazione posta a supporto del diniego, oltre che meramente iterativa di altro diniego, a sua volta ormai inoppugnabile, era saldamente ancorata alla considerazione che la società Ziaca non aveva presentato ricorso nei 60 giorni previsti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21;

3) nel caso in esame la società contribuente non aveva impugnato nei termini l’avviso di accertamento del 2005, il quale era per l’effetto divenuto inoppugnabile ed idoneo a costituire titolo esecutivo per le somme in esso indicate;

4) avverso l’atto con il quale l’Amministrazione manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo non è esperibile una autonoma tutela giurisdizionale, sia per la discrezionalità propria, in questo caso, dell’attività di autotutela, sia perchè, diversamente opinando, si darebbe inammissibilmente ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definito;

5) il concreto ed effettivo esercizio, da parte dell’Amministrazione, del potere di annullamento d’ufficio e/o di revoca dell’atto contestato non costituisce un mezzo di tutela del contribuente sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non siano stati esperiti.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la ZI.A.CA. s.r.l., sulla base di cinque motivi. Il Comune dell’Aquila ha resistito con controricorso.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con note depositate il 18.4.2019, la ricorrente ha dichiarato di voler rinunciare al ricorso per cassazione, a seguito dell’adozione dell’ordinanza n. 9430 del 17.4.2018 di accoglimento del ricorso sul diniego di sgravio e sospensione, chiedendo dichiararsi l’estinzione del giudizio con compensazione delle spese.

Dalla predetta ordinanza si evince che la sentenza della CTR in quella sede impugnata era relativa al diniego espresso dal Comune di L’Aquila nei confronti di una istanza di sgravio e sospensione, in sede di autotutela, avanzata dalla contribuente ZI.A.CA. s.r.l. “per alcune cartelle di pagamento aventi ad oggetto Tarsu/Tia anni 2001-2005, divenute definitive”. Con la detta ordinanza questa Corte, in accoglimento del ricorso incidentale (considerato assorbente rispetto al principale) proposto dalla contribuente, ha cassato la sentenza della CTR nella parte in cui non aveva dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto dal Comune, nonostante l’inesistenza della notifica dello stesso, avvenuta tramite pec, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 3 bis.

Orbene, in assenza di ulteriore documentazione a sostegno, non è dato comprendere con certezza se il contenzioso definito con l’ordinanza n. 9430 del 17.4.2018 abbia avuto ad oggetto anche la cartella esattoriale n. (OMISSIS) per cui è causa.

In ogni caso, tenuto conto la rinuncia, pur risultando notificata, non è stata accettata dal Comune dell’Aquila, va ricordato che solo in tema di definizione agevolata delle controversie ai sensi del D.L. n. 193 del 2016, art. 6, comma 2, (conv., con modif., nella L. n. 225 del 2016), ove il contribuente rinunci al ricorso durante il procedimento di legittimità, non trova applicazione la regola generale di cui all’art. 391 c.p.c., comma 2, poichè la condanna alle spese del medesimo contrasterebbe con la ratio della definizione agevolata, dissuadendolo ad aderire alla stessa, sicchè, anche se l’ente impositore non accetta la rinuncia, deve essere disposta la compensazione delle spese (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 28311 del 07/11/2018).

Al di fuori di questa ipotesi, la rinuncia al ricorso per cassazione produce l’estinzione del processo anche in assenza di accettazione, in quanto tale atto non ha carattere “accettizio” (non richiede, cioè, l’accettazione della controparte per essere produttivo di effetti processuali), e, determinando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, comporta il venir meno dell’interesse a contrastare l’impugnazione, rimanendo, comunque, salva la condanna del rinunciante alle spese del giudizio (Sez. 6 – L, Sentenza n. 3971 del 26/02/2015). In particolare, la rinuncia al ricorso per cassazione risulta perfezionata nel caso in cui la controparte ne abbia comunque avuto conoscenza prima dell’inizio dell’udienza, benchè non le sia stata notificata, e, trattandosi di atto unilaterale recettizio, produce l’estinzione del processo a prescindere dall’accettazione, che rileva solo ai fini delle spese (Sez. 1, Ordinanza n. 17187 del 29/07/2014). Invero, poichè l’art. 306 c.p.c., non si applica al giudizio di cassazione, la rinuncia al ricorso non integra, come detto, un atto cosiddetto “accettizio” (che richiede, cioè, l’accettazione della controparte per essere produttivo di effetti processuali), nè un atto recettizio in senso stretto, dal momento che l’art. 390, u.c., ne consente – in alternativa alla notifica alle parti costituite – la semplice comunicazione agli “avvocati” delle stesse, i quali sono investiti dei compiti di difesa, ma non anche della rappresentanza in giudizio delle controparti. Ne consegue che l’atto di rinuncia comporta di per sè l’estinzione del procedimento, indipendentemente dalla notificazione o comunicazione, che sono prescritte da detta norma al solo fine di sollecitare l’adesione delle controparti medesime alla rinuncia, e di prevenire quindi alla radice la condanna alle spese del rinunciante (Sez. 5, Ordinanza n. 28675 del 23/12/2005).

Le considerazioni che precedono inducono ad analizzare i motivi di gravame.

2. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non essersi la CTR pronunciata sul primo motivo di appello, con il quale la contribuente aveva eccepito l’inesistenza e, comunque, la non conoscenza del provvedimento di diniego del Comune della sua prima istanza di autotutela.

3. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 1, art. 2697 c.c., e art. 115 c.p.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la CTR considerato che il Comune non aveva provato l’avvenuta comunicazione dei dinieghi opposti avverso le due istanze di autotutela da essa presentate.

4. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, art. 2697 c.c., e art. 115 c.p.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR ritenuto che la motivazione del diniego opposto dal Comune alla sua seconda richiesta di autotutela fosse meramente iterativa del primo diniego, nonostante il secondo non contenesse alcun riferimento al precedente diniego, ma solo ad una nota del 17.1.2007, peraltro solo richiamata e non anche allegata. Con il primo motivo la ricorrente deduce la motivazione contraddittoria, omessa o insufficiente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR considerato che il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 55, letto in combinato disposto con la L. n. 689 del 1981, art. 1, e con gli artt. 23 e 25 Cost., prevede espressamente una riserva assoluta di legge in materia di accertamento degli illeciti amministrativi e di irrogazione delle relative sanzioni, sicchè giammai il Comune avrebbe potuto delegare ad una società per azioni di diritto privato, come la AMA s.p.a., il potere di irrogare le sanzioni amministrative.

4.1. I tre motivi, da trattarsi, siccome strettamente connessi, unitariamente, sono inammissibili.

Invero, concentrandosi le doglianze unicamente sui due dinieghi delle richieste di autotutela, le stesse non scalfiscono le due rationes decidendi sulle quali si basa la sentenza impugnata: a) il non aver la contribuente impugnato, nel termine perentorio di 60 giorni prescritto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, gli atti di accertamento del debito tributario e di irrogazione delle sanzioni; b) la non esperibilità di una autonoma tutela giurisdizionale avverso l’atto con il quale l’Amministrazione manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto ormai definitivo.

Avuto riguardo al primo motivo, pur dandosi atto che difetta sulla specifica censura una pronuncia espressa da parte della CTR, va richiamato il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata (Sez. 5, Sentenza n. 16171 del 28/06/2017; conf. Sez. 5, Ordinanza n. 9693 del 19/04/2018).

5. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 564 del 1994, art. 2 quater, (conv. dalla L. n. 656 del 1994), e art. 115 c.p.c., e del D.M. 11 febbraio 1997, n. 37, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non essersi la CTR pronunciata sulla illegittimità del diniego di autotutela in presenza di un accertato errore del Comune sul presupposto dell’imposta, che avrebbe reso obbligatoria la rettifica.

6. Con il quinto motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, commi 1 e 2, e art. 115 c.p.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la CTR applicato il principio secondo cui, dovendo i rapporti tra le parti essere improntati a buona fede e facendo il contribuente affidamento nella conclusione da parte del Comune del riesame sull’accertamento, non era stata proposta impugnazione avverso l’avviso di accertamento e, in ogni caso, non dovevano essere irrogate sanzioni nè richiesti interessi moratori.

6.1. I due motivi, da trattarsi, data la loro intima connessione, congiuntamente, si rivelano inammissibili.

Anche a voler soprassedere dal rilievo per cui la contribuente avrebbe dovuto, semmai, censurare la sentenza sul piano della violazione dell’art. 112 c.p.c., (con conseguente configurabilità astratta dell’error in procedendo rappresentato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), e dal fatto che, in violazione del principio di specificità, la medesima avrebbe dovuto riprodurre, almeno nei loro passaggi salienti, l’atto di appello (onde consentire a questa Corte di scrutinare se avesse in quella sede tempestivamente sollevato la questione, di cui, peraltro, non vi è menzione nella sentenza impugnata) ed il riesame dell’avviso di accertamento che sarebbe stato svolto dalla Commissione nella seduta del 23.1.2006 (che avrebbe, a suo dire, giustificato la rettifica obbligatoria), rappresenta principio consolidato di questa Corte che la tutela del legittimo affidamento, sancita in materia tributaria dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1, ed espressione dei principi di cui agli artt. 3,23,53 e 97 Cost., resta peraltro assoggettata al rispetto delle regole generali del processo, sicchè il contribuente che intenda contestare una pretesa ritenuta illegittima, anche per violazione dello stesso, ha l’onere di proporre tempestivamente ricorso avverso il relativo atto impositivo (Sez. 5, Ordinanza n. 4614 del 28/02/2018).

D’altra parte, il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (Sez. 5, Ordinanza n. 7616 del 28/03/2018; cfr. altresì Sez. 5, Sentenza n. 11457 del 12/05/2010 e Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25524 del 02/12/2014). E così deve essere ritenuta inammissibile l’impugnazione, da parte del contribuente, del diniego di annullamento di alcuni atti impositivi in sede di autotutela, allorchè avrebbe potuto (recte, dovuto) far valere i vizi prospettati impugnando i relativi atti.

In nessun modo incide sulla conclusione cui si è pervenuti il giudicato formatosi con riferimento all’annualità Tarsu 2007 (pag. 24 del ricorso), in quanto l’avviso di accertamento che ha dato origine al presente contenzioso si riferisce, invece, al periodo dal 2001 al 2005 (cfr., in tal senso, Sez. 5, Sentenza n. 28675 del 09/11/2018). In ogni caso, la contribuente avrebbe dovuto farlo valere in sede di impugnativa dell’avviso di accertamento o, a tutto concedere, nel caso in cui ricorressero i presupposti per una impugnativa cd. recuperatoria, della successiva cartella esattoriale.

Da ultimo, va evidenziato, quanto alla richiesta subordinata di esclusione delle sanzioni e degli interessi moratori, che la doglianza è inammissibile, atteso che, non essendovene cenno nella sentenza impugnata, la contribuente avrebbe dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale l’avesse sollevata, non essendovene, invece, menzione neppure nella esposizione dei fatti (cfr. pag. 14 del ricorso).

7. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile e la ricorrente va condannata, come da dispositivo, al rimborso, in favore della controparte, delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del resistente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3000,00, oltre spese forfettarie ed accessori di legge. Condanna la ricorrente al raddoppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

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