Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19330 del 18/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/07/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 18/07/2019), n.19330

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6255/2014 proposto da:

S.A.M., (C.F.: (OMISSIS)), residente in Roma, alla

(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. Vincenzo Cancrini (C.F.:

CNCVCN63A16L103L) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio,

in Roma al Largo della Gancia n. 1, giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AMA – Azienda Municipale Ambiente S.p.A., (P. IVA: (OMISSIS)), in

persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore,

Ing. F.G., con sede in Roma, alla (OMISSIS),

rappresentata e difesa dall’Avv. Damiano Lipani (C.F.:

LPNDMN61T1OH501V), giusta procura speciale a margine del

controricorso, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del

suddetto difensore in Roma, alla Via Vittoria Colonna n. 40;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 5/29/2013 emessa dalla CTR Lazio in data

22/01/2013 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del

22/5/2019 dal Consigliere Dott. Andrea Penta;

udite le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero Dott.

Francesco Salzano nel senso della inammissibilità del ricorso

principale, con assorbimento del ricorso incidentale;

udite le conclusioni rassegnate dall’Avv. Giorgio Mazzone, per delega

dell’Avv. Damiano Lipani, difensore della resistente.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

S.A.M. presentava ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma avverso la comunicazione di accertamento AMA, emessa per infedele dichiarazione della tariffa rifiuti e del tributo provinciale ambientale, nonchè avverso Tatto di irrogazione con cui la suddetta società aveva richiesto alla contribuente il pagamento della maggior somma di Euro 846,05 per il quinquennio 2003-2007. La ricorrente concludeva chiedendo la declaratoria di nullità dell’atto impugnato.

L’AMA S.p.A. si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto delle eccezioni sollevate dalla ricorrente.

La Commissione Provinciale di Roma, con sentenza n. 78/30/11, depositata in data 25 febbraio 2011, respingeva il ricorso della contribuente, compensando le spese di giudizio. In particolare, i giudici di prime cure ritenevano l’AMA S.p.A. pienamente legittimata alla pretesa impositiva contenuta nell’atto impugnato, confermando l’assoggettabilità al tributo delle aree munite di utenza elettrica, in virtù di Regolamento emesso dalla stessa società.

Contro la sentenza proponevano appello i coniugi S.A.M. e C.E., concludendo per l’annullamento della sentenza di primo grado, con vittoria delle spese di giudizio.

La società AMA S.p.A. non si costituiva in giudizio.

Con sentenza del 9.1.2013 la CTR Lazio rigettava l’appello sulla base delle seguenti considerazioni:

1) il Comune di Roma, avvalendosi della facoltà di introduzione anticipata della tariffa stabilita dai D.Lgs. n. 22 del 1997, con convenzione stipulata in data 14 marzo 2003 e depositata in atti, ha previsto il conferimento alla società AMA S.p.A. delle competenze delegabili per la liquidazione, l’accertamento e riscossione sia dei tributi che delle sanzioni ad essi connesse;

2) la L. n. 142 del 1990, la cui disciplina si rinviene nel D.Lgs. n. 267 del 2000, nel conferire agli enti locali il potere gestionale dei servizi sociali, dell’utilizzazione del territorio e dell’assetto economico, ha determinato il concreto riconoscimento della loro autonomia;

3) il Comune, al fine di amministrare un servizio pubblico, può delegare non solo le funzioni concernenti l’accertamento delle violazioni e l’istruttoria delle relative pratiche, ma anche quelle riguardanti l’adozione di provvedimenti sanzionatori.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso S.A.M., sulla base di tre motivi. L’AMA s.p.a. ha resistito con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale fondato su un unico motivo. In prossimità dell’udienza entrambe la resistente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la motivazione contraddittoria, omessa o insufficiente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR considerato che il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 55, letto in combinato disposto con la L. n. 689 del 1981, art. 1, e con gli artt. 23 e 25 Cost., prevede espressamente una riserva assoluta di legge in materia di accertamento degli illeciti amministrativi e di irrogazione delle relative sanzioni, sicchè giammai il Comune avrebbe potuto delegare ad una società per azioni di diritto privato, come la AMA s.p.a., il potere di irrogare le sanzioni amministrative.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la motivazione contraddittoria, omessa o insufficiente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per aver la CTR richiamato in sentenza disposizioni normative non conferenti rispetto alla fattispecie e per non aver la CTR considerato che il Comune poteva si delegare ad un terzo concessionario l’accertamento, la liquidazione e la riscossione del tributo, ma non anche la sua determinazione.

2.1. I due motivi, da trattare, siccome strettamente connessi, congiuntamente, sono inammissibili, non in base al combinato disposto dell’art. 348 ter c.p.c., u.c., e art. 348 bis c.p.c., comma 4, ma alla luce dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), applicabile ratione temporis.

Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, (nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 1, Sentenza n. 26774 del 22/12/2016).

Tuttavia, la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado”, non si applica, agli effetti del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv. in L. n. 134 del 2012, per i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’11 settembre 2012 (Sez. 5, Ordinanza n. 11439 del 11/05/2018).

Nel caso di specie, il giudizio di appello è stato introdotto con atto depositato il 5.4.2012 (v. il frontespizio della sentenza qui impugnata), sicchè non può trovare condivisione il profilo di inammissibilità denunciato dalla resistente alle pagine 6 e 7 del controricorso.

2.2. Ciò nonostante, il motivo è inammissibile in quanto – nella specie deve escludersi tanto la “mancanza assoluta della motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico”, quanto la “motivazione apparente”, o il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, figure – queste – che circoscrivono l’ambito in cui è consentito il sindacato di legittimità dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830), mentre non risulta dedotto il vizio di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo), non avendo parte ricorrente indicato – come era suo onere – il “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato” (testuale o extratestuale) da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti nonchè la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). In particolare, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, – il vizio relativo all’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve essere riferito ad un “fatto”, da intendere quale specifico accadimento in senso storico-naturalistico (Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018).

Peraltro, per quanto non sia più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato, però, solo qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018), pur denunciata in via alternativa dalla odierna ricorrente a pagina 19 del ricorso.

Tuttavia, nella fattispecie in esame, non è senz’altro configurabile una motivazione del tutto assente o meramente apparente, atteso che la CTR, sia pure con motivazione sintetica, ha indicato le ragioni (sussistenza della Convenzione stipulata – avvalendosi della facoltà stabilita dal D.Lgs. n. 22 del 1997, e dell’autonomia gestionale riconosciuta agli enti locali dalla L. n. 141 del 1990, – in data 14.3.2003, con la quale il Comune di Roma ha conferito alla società le competenze per la liquidazione, l’accertamento e la riscossione sia dei tributi sia delle sanzioni ad essi connesse) per le quali ha ritenuto ammissibile la delega per l’adozione di provvedimenti sanzionatori in favore dell’AMA s.p.a..

2.3. Per mera completezza espositiva, anche nel merito la censura si sarebbe rivelata infondata, alla luce del principio secondo cui, in materia di tariffa d’igiene ambientale, ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, commi, 8, 9 e 13, mentre l’attività impositiva delegata dalla legge statale spetta in via esclusiva al comune, che determina l’an ed il quantum della tariffa, al soggetto terzo affidatario del servizio, in forza di specifica convenzione, compete l’attività di gestione e di recupero del tributo in cui rientra l’emissione degli avvisi di accertamento (Sez. 5, Ordinanza n. 17491 del 14/07/2017).

Nel caso di specie, il Comune di Roma ha, con Delib. 23 marzo 2003, n. 24, (emanata in attuazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21), adottato il Regolamento Ta.Ri. con il quale ha, tra l’altro, previsto che “la tariffa è applicata dai soggetti gestori nel rispetto convenzione e del relativo disciplinare”, conferendo al soggetto gestore (vale a dire, appunto, all’AMA s.p.a.) le attività di controllo (art. 18), di riscossione (art. 19), nonchè l’applicazione delle sanzioni (art. 20). Con Delib. 14 marzo 2003, n. 141, ha, inoltre, stipulato con l’AMA s.p.a. una Convenzione per la disciplina delle attività riguardanti l’applicazione e la riscossione della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, del D.Lgs. n. 22 del 1997, ex art. 49.

Pertanto, il predetto ente pubblico ha operato nell’osservanza del principio enunciato da questa Corte, secondo cui, in tema di sanzioni amministrative, il principio di legalità fissato dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 1, si concreta in un regime di “riserva assoluta” di legge, ma l’efficacia di tale riserva – a differenza della riserva di legge assoluta prevista con riguardo all’illecito penale direttamente dall’art. 25 Cost., – non è di rango costituzionale (in quanto la materia delle sanzioni amministrative sul piano costituzionale è riconducibile all’art. 23 Cost., che stabilisce solo una riserva di legge di natura relativa), bensì opera sul piano della forza di legge ordinaria, con l’effetto che senza una legge che deroghi al suddetto art. 1 non è possibile l’introduzione di sanzioni amministrative mediante fonti secondarie, mentre questa possibilità ben può essere ammessa da una legge ordinaria, che la preveda in via generale o per singoli settori (Sez. 1, Sentenza n. 12367 del 06/11/1999).

Ovviamente, l’affidamento da parte dell’ente locale della gestione dei rifiuti urbani ad un gestore esterno, ai sensi del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 23, non comporta, nè consente, il trasferimento del potere di determinare la tariffa prevista dal successivo art. 49, sia perchè deve essere l’ente impositore, assumendosene la responsabilità politica, ad individuare il gettito ritenuto sufficiente per la gestione del servizio da affidare a terzi, sia perchè, altrimenti, operando il gestore in regime di monopolio, la tariffa sarebbe sostanzialmente determinata al di fuori di ogni tipo di controllo, sia quello privato della concorrenza, sia quello politico (Sez. U, Sentenza n. 8313 del 08/04/2010).

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per carenza di motivazione o per motivazione meramente apparente, ex art. 132 c.p.c., n. 4, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non aver la CTR verificato che nella Convenzione del 14.3.2003 stipulata tra il Comune di Roma e l’AMA l’ente pubblico aveva delegato alla società solo le competenze in materia di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi, e non anche quelle sulle sanzioni ad essi connessi.

3.1. Il motivo è inammissibile, in quanto la ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, ha omesso di trascrivere, almeno nei suoi passaggi maggiormente rilevanti, la Convenzione del 14.3.2003 stipulata tra il Comune di Roma e l’AMA, dalla quale, secondo il suo assunto, non si evincerebbe anche la delega del potere di irrogare le sanzioni.

L’omissione è viepiù rilevante, se si considera che, alla stregua del Reg. Ta.Ri., art. 20, (adottato con Delib. 23 marzo 2003, n. 24), trascritto dalla resistente a pagina 27 del controricorso, il Funzionario Responsabile della tariffa (cfr. pag. 30 dello stesso controricorso) era abilitato ad irrogare le sanzioni amministrative dovute in conseguenza delle violazioni al detto regolamento.

4. Con l’unico motivo la controricorrente si duole della nullità della sentenza resa dalla CTR per violazione degli artt. 170,330 e 350 c.p.c., e D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 17 e 49, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non aver rilevato la nullità della notifica del ricorso introduttivo dell’appello, essendo la stessa stata eseguita, anzichè nel domicilio eletto nel giudizio di primo grado dalla AMA, presso la sede di quest’ultima.

4.1. Il motivo resta assorbito nel rigetto del ricorso principale.

5. In definitiva, il ricorso principale non merita accoglimento.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale ed assorbito quello incidentale e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della resistente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.000,00, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

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