Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19330 del 03/08/2017

Cassazione civile, sez. III, 03/08/2017, (ud. 13/12/2016, dep.03/08/2017),  n. 19330

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29786/2014 proposto da:

M.A., C.E., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DEI GRACCHI 128, presso lo studio dell’avvocato VALERIA

BISCARDI, rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE BISCARDI

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

BANCA POPOLARWE DELL’EMILIA ROMAGNA SOC. COOP. già BANCA POPOLARE

LANCIANO E SULMONA SPA, in persona del suo legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in ROMA, V. LA SPEZIA 43, presso lo studio

dell’avvocato FABRIZIO IANNOTTI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ROSSELLA PUCARELLI giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

BANCA POPOLARE PROVINCE MOLISANE SCARL PA, MPS GESTIONE CREDITI BANCA

SPA;

– intimate –

avverso la sentenza n. 250/2014 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 30/08/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/12/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato VALERIA BISCARDI per delega;

udito l’Avvocato ROSSELLA PUCARELLI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

I FATTI

Il Tribunale di Campobasso accolse la domanda proposta dalla Banca Popolare delle Province Molisane – dopo aver ammesso l’intervento in causa della Banca Popolare di Lanciano e Sulmona e della MPS Gestione Crediti – dichiarando l’inefficacia, nei confronti dei predetti istituti di credito, dell’atto costitutivo di un fondo patrimoniale stipulato il 12 maggio 2008 dai convenuti, M.A. ed C.E., con riferimento a tutti gli immobili destinati ad esso.

La omonima Corte di appello, investita dell’impugnazione proposta dai coniugi C., la rigettò.

Avverso la sentenza della Corte molisana M.A. ed C.E. hanno proposto ricorso sulla base di 3 motivi di censura.

La Banca Popolare dell’Emilia Romagna (già Banca Popolare di Lanciano e Sulmona) resiste con controricorso.

Le altre intimate non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia erroneità e illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato l’eccezione preliminare sul difetto di legittimazione passiva della signora M.A., per violazione dell’art. 2901 c.c., artt. 101 e 102 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo – con il quale si lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui la signora M. è stata considerata litisconsorte necessaria nel giudizio per revocatoria, pur non essendo nè debitrice degli istituti di credito, nè proprietaria dei beni costituiti in fondo patrimoniale, di esclusiva proprietà del marito, con il quale ella si trovava in regime di separazione, e dei quali quest’ultimo, in deroga al disposto dell’art. 168 c.c., aveva conservato la titolarità – è privo di pregio.

La pronuncia impugnata si sottrae, difatti, alla descritta censura, poichè sostanzialmente conforme alla più recente (e condivisa dal collegio) giurisprudenza di questa Corte (Cass. 21494/2011; 1242/2012), volta che la ricorrente, beneficiaria nonchè amministratrice dei frutti dei beni costituiti in fondo patrimoniale e destinati a far fronte ai bisogni familiari, era ipso facto destinata a risentire personalmente e direttamente degli eventuali esiti pregiudizievoli conseguenti all’accoglimento della domanda revocatoria – onde la indiscutibile configurabilità di un suo interesse alla partecipazione al giudizio in qualità di litisconsorte necessaria, al di là ed a prescindere dalla formale titolarità dei beni destinati al fondo stesso, essendo la natura del relativo atto costitutivo (per il quale è comunque necessario, nel suo momento genetico, il consenso dell’altro coniuge) del tutto indipendente, in tale ottica, dalla titolarità dei beni riversati in esso.

Con il secondo motivo, si denuncia nullità della sentenza di primo e secondo grado e dell’intero processo per violazione degli artt. 101,102 e 354 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorte necessario del giudizio.

Il motivo – con il quale si lamenta la mancata estensione e la mancata partecipazione al giudizio della figlia minore dei coniugi C., in guisa di litisconsorte necessaria (questione, peraltro, mai dibattuta nei precedenti gradi di merito, e pur tuttavia esaminabile ex officio da questa Corte, lamentandosi, nella specie, una violazione del principio del contraddittorio) – è manifestamente infondato.

La Corte territoriale ha fatto buon governo, nella specie, del principio secondo il quale i figli dei coniugi che abbiano costituito un fondo patrimoniale non sono parti necessarie del giudizio proposto dal creditore che agisca in revocatoria (così, Cass. 5402/2004; in senso sostanzialmente conforme, ancora, Cass. 18065/2004; 15297/2000, nonchè la risalente Cass. 3703/1988, in relazione al patrimonio familiare, istituto analogo, sul piano funzionale, al fondo patrimoniale).

Con il terzo motivo, si denuncia erroneità e illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato la sentenza di primo grado in relazione alla sussistenza dell’eventus damni e della scientia damni, per violazione dell’art. 2901 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Il motivo è inammissibile.

Pur volendo prescindere da un primo rilievo di inammissibilità, costituito dalla trattazione congiunta di questioni afferenti, da un canto, al vizio di violazione di legge, e dall’altro, a quello di motivazione, tutte le censure rappresentate al collegio sono irrimediabilmente destinate ad infrangersi sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello (ff. 5-8 della motivazione, che questa Corte condivide e fa propria), dacchè esse, nel loro complesso, pur formalmente abbigliate in veste di denuncia di una (peraltro del tutto generica) violazione di legge e di un (asseritamente) decisivo difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito.

La Corte territoriale, in attuazione del generale principio di diritto processuale che impone, nella motivazione, il rispetto di criteri logici di giustificazione razionale del raggiunto convincimento e dell’adottata decisione, offre chiara e puntuale valutazione, condivisibilmente argomentata, della valenza e dell’efficacia probatoria attribuita agli elementi acquisiti al processo, ritenendo la ricostruzione del fatto, così come operata in sede di motivazione, dotata di un più elevato grado di conferma logica e di credibilità razionale rispetto ad altre, possibili e pur prospettate ipotesi fattuali alternative, conformandosi, ancora una volta, in ordine alla disamina dei due elementi costitutivi del vizio revocatorio sanzionato dall’art. 2901 c.c., alla costante e consolidata giurisprudenza di questa Corte regolatrice.

Parte ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, mediante una specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie astratta applicabile alla vicenda processuale, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto irricevibili, volta che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere in alcun modo tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale, ovvero vincolato a confutare qualsiasi deduzione difensiva.

E’ poi principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5, non conferisca in alcun modo e sotto nessun aspetto alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile).

Non senza rammentare come, all’esito delle modificazioni apportate all’art. 360 c.p.c., n. 5, dalla L. n. 134 del 2012, il vizio motivazionale denunciabile non sia più quello (implicitamente lamentato dal ricorrente) di insufficienza o contraddittorietà della motivazione, bensì quello di omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti – onde l’inammissibilità, in parte qua, della censura mossa alla sentenza impugnata.

Il ricorso è pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di Cassazione seguono il principio della soccombenza. Liquidazione come da dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 8.200, di cui Euro 200 per spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari alla somma già dovuta, a norma del predetto art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2017

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