Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19329 del 18/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/07/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 18/07/2019), n.19329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 698/2014 proposto da:

AMA – Azienda Municipale Ambiente S.p.A., (P. IVA: (OMISSIS)), in

persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore,

Ing. F.G., con sede in Roma, alla (OMISSIS),

rappresentata e difesa dall’Avv. Damiano Lipani (C.F.:

LPNDMN61T1OH501V), giusta procura a margine del ricorso, ed

elettivamente domiciliata presso lo studio del suddetto difensore in

Roma, Via Vittoria Colonna n. 40;

– ricorrente –

contro

Autotrasporti G. s.c.r.l., in persona del legale rappresentante

pro tempore, con sede legale in Roma, alla (OMISSIS) (C.F.:

(OMISSIS); P.IVA: (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in Roma,

alla Via Tommaso d’Aquino n. 116, presso lo studio dell’Avv. Armando

Montarsolo (C.F.: MNTRND47P12D969F), il quale la rappresenta e

difende, in virtù di procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

– avverso la sentenza n. 273/9/2013 emessa dalla CTR Lazio in data

23/09/2013 e notificata il 24/10/2013;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del

22/5/2019 dal Consigliere Dott. Andrea Penta;

udite le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero Dott.

Francesco Salzano nel senso del rigetto del primo e secondo motivo

del ricorso principale, dell’accoglimento del terzo e del quarto

motivo e del rigetto del ricorso incidentale;

udite le conclusioni rassegnate dall’Avv. Giorgio Mazzone, per delega

dell’Avv. Damiano Lipani, difensore della ricorrente, e dall’Avv.

Alessandro Bianchini, per delega dell’Avv. Armando Montorsolo,

difensore della resistente.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La Autotrasporti G. s.c.r.l., esercente l’attività di Autotrasporto merci conto terzi, ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma per impugnare un avviso di accertamento emesso dalia Società AMA di Roma avente ad oggetto il pagamento dell’imposta Tarsu di Euro 83.525,06 per il periodo dall’1/1/2004 al 30/6/2009, notificato il 29/12/2009, con cui l’ente impositore aveva accertato, in carenza di dichiarazione, una superficie tassabile ad uso non domestico (magazzino) di mq. 2440 ed un’altra superficie destinata ad ufficio di mq. 458.

Parte ricorrente deduceva di utilizzare la superficie sita in (OMISSIS) per attività di mero stoccaggio, senza produzione di rifiuti urbani nè assimilabili, trattandosi di una superficie quale mero appoggio di merci. A riprova allegava, tra l’altro, il contratto di locazione per il periodo 1/2/1998 ed il 9/7/2008, nel quale si precisava l’utilizzo dell’area quale mero deposito.

La parte lamentava, inoltre, la erroneità della determinazione della superficie imponibile, insistendo per la non imponibilità non solo della superficie di mq. 2440, ma anche di quella di mq. 458 adibita ad uffici, poichè non integralmente occupata. In subordine, su questa minore superficie invocava la riduzione tariffaria di cui alla Delib. Comunale n. 24 del 2003, art. 12, comma 4. Deduceva altresì che, comunque, dopo la data di rilascio era venuto a difettare il presupposto impositivo dei tributo. Contestava, infine, la debenza dell’IVA.

L’ente impositore AMA si costituiva in giudizio, chiedendo la reiezione dei ricorso, sul presupposto che la società contribuente avrebbe dovuto comunque presentare la dichiarazione ai fini Tarsu e, nel merito, non aveva provato la non debenza del tributo e la tipologia di rifiuti prodotti. All’udienza del 28/01/2011, la commissione provinciale emetteva un’ordinanza istruttoria con la quale invitava l’ente impositore ad individuare la quota parte del globale richiesto relativo agli uffici.

La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con decisione n. 450/37/11 depositata il 20/12/2011, accoglieva il ricorso e condannava la Società AMA s.p.a. al rimborso delle spese di giudizio.

Avverso tale decisione proponeva appello la AMA, deducendo, in particolare, che erroneamente era stato accolto il ricorso della contribuente per la mancanza di produzione rifiuti, nonostante la stessa non avesse fornito documentazione probatoria a riprova della tipologia di attività svolta. Riteneva altresì legittima la tariffa rifiuti applicata, relativamente alla superficie adibita a magazzino dalla contribuente, avendo l’accertamento tratto origine da un questionario inviato alla proprietaria A.P. ai sensi dell’ex D.P.R. n. 445 del 2000.

La contribuente, nel costituirsi in giudizio, contro deducendo che l’area occupata era adibita ad un mero deposito delle merci senza produzione di rifiuti.

Con sentenza del 23.9.2013 la CTR Lazio rigettava l’appello sulla base delle seguenti considerazioni:

1) l’accertamento impugnato traeva origine da un questionario avente ad oggetto la tariffa rifiuti inviato alla proprietaria A.P., e poi compilato e sottoscritto dalla medesima, con il quale veniva denunciata l’avvenuta concessione in affitto alla società appellata, dall’1/1/2004, di un immobile sito in Roma, alla (OMISSIS), avente una superficie totale di mq. 2900, di cui 2440 adibito uso magazzino ed i restanti 458 mq. ad uso ufficio;

2) l’appellante non contestava le eccezioni sollevate dalla ricorrente nel ricorso introduttivo, circa la non debenza del tributo per mancanza dei presupposti impositivi, che nel caso di specie erano rappresentati dalla mancanza, da parte della società Autotrasporti G., di produzione dei rifiuti;

3) l’appellante, con probante documentazione, aveva dimostrato che le aree occupate erano adibite esclusivamente a mero deposito, come statuito dall’art. 2 del contratto di locazione allegato al ricorso introduttivo ed evincibile dall’autorizzazione tecnica sanitaria dell’8/2/1993 e dalla Risoluzione ivi acclusa, nonchè dai numerosi documenti di trasporto allegati, prove non contestate dalla società AMA con l’appello;

4) la società appellante non aveva fornito alcun documento rilevante sul punto: “documento che dovrebbe attenersi alla superficie adibita a deposito”;

5) la società Autotrasporti G. produceva imballaggi primari, poichè si limitava a svolgere attività di autotrasporto merci conto terzi e corriere di spedizione;

6) era stato provato che il luogo in oggetto serviva come appoggio, in attesa della consegna a domicilio delle merci;

7) con riferimento alla superficie residua, oggetto dell’avviso di accertamento, sulla quale insistevano gli uffici della società G., ammontante a mq. 458, nulla aveva documentato l’ente impositore circa la debenza del tributo, malgrado l’eccezione sollevata dalla ricorrente sulla non utilizzazione integrale della superficie in parola.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’AMA s.p.a., sulla base di cinque motivi. L’Autotrasporti G. s.c.r.l. ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Preliminarmente, destituita di fondamento è la richiesta di interruzione del processo formulata dalla resistente in conseguenza della cancellazione della società contribuente dal registro delle imprese avvenuta il 28.6.2018.

Invero, anche di recente questa Corte ha ribadito che l’avvenuta cancellazione dal registro delle imprese della società, dopo la proposizione del ricorso per cassazione, debitamente comunicata dal suo difensore, non è causa di interruzione del processo (Sez. 1, Sentenza n. 2625 del 02/02/2018).

2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia il difetto di giurisdizione della CTR sulla questione relativa alla richiesta dell’IVA sulla tariffa base, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1).

2.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

In primo luogo, inconferenti sono all’evidenza i precedenti giurisprudenziali di questa Corte a sostegno della eccezione di difetto di giurisdizione, atteso che gli stessi si riferiscono alla differente fattispecie del giudizio di rivalsa IVA instaurato da consumatori o professionisti che abbiano effettuato la cessione di beni o la prestazione di servizio, al fine di ottenere la restituzione delle maggiori somme eventualmente loro addebitate. Viceversa, entrando nel caso in oggetto in gioco il rapporto tra ente impositore e privato, si resta nell’ambito dell’esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà – soggezione, proprio del rapporto tributario (Sez. U, Sentenza n. 13721 del 31/05/2017).

2.2. In ogni caso, premesso che il periodo oggetto dell’avviso di accertamento impugnato va dall’1.1.2004 al 30.6.2009, la richiesta di cumulare la Tarsu e l’Ici si sarebbe rivelata comunque infondata.

Anche di recente questa Corte, con argomentazioni condivise e non suscettibili di revisione critica, ha ribadito che la tariffa di igiene ambientale (TIA), per il periodo antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ha natura tributaria, attesa l’assenza di un rapporto di corrispettività, proprio del meccanismo di commisurazione del tributo secondo la disciplina prevista dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, sicchè non è assoggettabile ad IVA, che mira a colpire la capacità contributiva e si manifesta – in linea con la previsione di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 3,- quando si acquisiscono beni o servizi versando un corrispettivo quale controvalore effettivo del servizio prestato (ex multis: Cass., sez. 5, 2/03/2012, n. 3293, Rv. 621524 – 01; Cass., sez. 5, 9/03/2012, n. 3756, Rv. 621910 – 01, Cass. Sez. 5, 13/04/2012, n. 5831, Rv. 621911 -01; Cass. sez. 6-5, 10/03/2015, n. 4723, Rv. 635064 – 01). L’orientamento è stato definitivamente consacrato nella pronuncia a Sezioni Unite n. 5078 del 15/03/2016, a tenore della quale la tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, istituita dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, oggi abrogato, avendo natura tributaria, non è assoggettabile all’IVA, che mira a colpire la capacità contributiva insita nel pagamento del corrispettivo per l’acquisto di beni o servizi e non in quello di un’imposta, sia pure destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente.

Del resto, già in precedenza, come evidenziato anche dall’ordinanza della Corte Cost. n. 64 del 2010 ed avallato da questa Corte con la sentenza a Sezioni Unite n. 25929 del 05/12/2011 (che superava la precedenza impostazione avallata da SU n. 13894/2009) e con pronuncia di questa Sezione n. 3756 del 09/03/2012, tale tariffa non era considerata una entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della TARSU, disciplinata dal D.P.R. 15 novembre 1993 n. 507, di cui conservava la qualifica di tributo.

Parimenti, non è revocabile in dubbio che la tariffa di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, (“Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani”, poi denominata “Tariffa Integrata Ambientale”, cd. TIA2), come interpretata dal D.L. n. 78 del 2010, art. 14,comma 33, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010, ha natura privatistica ed è, pertanto, soggetta ad IVA ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1,3,4, commi 2 e 3. In quest’ottica, Sez. 3, Ordinanza n. 16332 del 21/06/2018 ha cassato con rinvio la sentenza con la quale il giudice d’appello aveva ritenuto assimilabile alla TIA1 – tariffa di natura tributaria disciplinata dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, – e, dunque, non assoggettabile ad IVA, la tariffa integrata ambientale introdotta dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, cd. TIA2, adottata da un Comune nell’esercizio della facoltà concessagli dal D.L. n. 208 del 2008, art. 5, comma 2 quater, conv., con modif., dalla L. n. 13 del 2009, a decorrere dal 30 giugno 2010.

Tuttavia, nel caso di specie, poichè gli atti di accertamento si riferiscono agli anni dal 2004 al giugno del 2009, ratione temporis trova applicazione la tariffa di igiene ambientale (cd. TIA 1) che, per la sua natura privatistica, non è assoggettabile all’IVA ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 3.

Invero, il decreto n. 78 del 2010, non ha natura interpretativa della TIA, genericamente intesa, e quindi non può ritenersi riferibile (retroattivamente) anche alla TIA1, nei casi in cui, ancorchè soppressa, abbia, come nella fattispecie in esame, continuato a trovare applicazione da parte dei Comuni (almeno fino al 2010). Chiarissimo è, sul punto, quanto precisato in motivazione da Cass. sez. V, 2/03/2012, n. 3293, Rv. 621524 – 01, e da Cass. sez. V, 2/3/2012, n. 3294 (non massimata), nella parte in cui si legge: “è possibile che attraverso la citata norma (D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33), la Amministrazione, che ha elaborato il provvedimento, intendesse sottoporre ad IVA le somme versate, in passato, a titolo di TIA (così come si può ricavare dalla Circ. n. 3/DE dell’11 novembre 2010 Min. economia e finanze – Dip. Finanze; mentre la tesi dell’assoggettamento della Tia ad Iva è, ad esempio, esplicitamente enunciata nella Ris. n. 25 I E del 5 febbraio 2003). Si deve, però, costatare che, se questa era l’intenzione, l’intentio legislatoris non si è tradotta in una voluntas legis, cioè in un contenuto normativo adeguato. La stessa circolare 3/DF prende atto della circostanza che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, crea una “seconda Tia”, destinata a sostituire con il tempo la “prima Tia” nata dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, (nei medesimi termini è il parere della Corte dei Conti Sezione Piemonte n. 65 dell’11 novembre 2010). E dunque il disposto del D.L. riguarda direttamente solo la “TIA2” e potrebbe essere esteso alla TIA/1 solo ove si ritenesse che ci si trovi di fronte ad una norma di carattere sostanzialmente interpretativo. Ma così non è, perchè la giurisprudenza della Corte Costituzionale e di questa Corte era – come riferito – già al momento della entrata in vigore del D.L. n. 78 del 2010, pacificamente orientata nel senso di ritenere la natura tributaria e non di corrispettivo della TIA1. E dunque la disposizione sulla TIA2 ha carattere innovativo, o – meglio – istituisce una tariffa che nell’intenzione del legislatore dovrebbe essere ontologicamente diversa rispetto alla “prima Tia”. Sulla stessa scia si pone anche Cass., sez. 5, 13/4/2012, Rv. 621911 – 01, la quale parimenti esclude l’assoggettabilità ad Iva della TIA “per il periodo antecedente all’entrata in rigore del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152” (così chiaramente riferendosi alla sola TIA1), precisando che non assume alcun rilievo, per tale periodo, la disposizione interpretativa di cui al D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 3, convertito in L. n. 122 del 2010, in quanto la stessa, riconoscendo la natura non tributaria della tariffa soltanto con riferimento alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, costituisce un chiaro indice della volontà di non incidere sul diritto vivente (formatosi sulla TIA1) fino alla data di entrata in vigore del medesimo testo normativo.

3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR omesso di indicare sulla base di quali principi di diritto e/o norme di legge aveva accolto l’impugnativa della contribuente.

3.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

Le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019).

In ogni caso, a seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54,conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018).

Ma anche a riqualificare la censura nei termini esposti, se è senz’altro da escludere che si sia al cospetto di una motivazione apparente per il solo fatto che non contiene l’indicazione delle disposizioni normative poste alla base della decisione, non è parimenti configurabile il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella formulazione attuale applicabile ratione temporis.

Invero, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. con modif. in L. n. 134 del 2012, è denunciabile in cassazione l’anomalia motivazionale che si concretizza nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, quale ipotesi che non rende percepibile l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Sez. L, Ordinanza n. 12096 del 17/05/2018). In particolare, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Coat., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr., di recente, Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).

Del resto, nel processo civile ed in quello tributario solo la sentenza motivata mediante la trascrizione delle deduzioni di una parte, consistenti nel rinvio a tutte le argomentazioni svolte nel ricorso introduttivo, è nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione degli artt. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 1, n. 4, in quanto non consente d’individuare in modo chiaro, univoco ed esaustivo le ragioni, attribuibili al giudicante, su cui si fonda la decisione (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 22652 del 05/11/2015).

Da ultimo, la sentenza d’appello può essere motivata per relationem, purchè il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicchè dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente (Sez. L, Ordinanza n. 28139 del 05/11/2018).

4. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 21 e 49, D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 62 e 70, e del Reg. Ta.Ri., artt. 9 e 10, adottato con Delib. del Comune di Roma 23 marzo 2003, (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR accolto l’impugnativa della contribuente ritenendo che l’ente impositore non avesse assolto l’onere di provare la destinazione ad attività idonee alla produzione di rifiuti, nonostante l’onere di dimostrare la sussistenza di cause di esenzione dal pagamento della Ta.Ri. gravasse a carico della controparte.

5. Con il quarto motivo la ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR posto a carico dell’ente impositore l’onere di dimostrare la produzione di rifiuti urbani o assimilati nell’area adibita a deposito.

5.1. I motivi, da analizzarsi, data la loro stretta connessione, congiuntamente, sono fondati per quanto di ragione.

In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, nel disporre che essa “è dovuta per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie di civili abitazioni diverse dalle aree a verde, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui il servizio è istituito o attivato o comunque reso in maniera continuativa nei modi previsti dagli artt. 58 e 59”, pone una presunzione soltanto relativa di tassabilità, giacchè nel medesimo comma ed in quelli successivi elenca numerose ipotesi di edifici o aree esentate, totalmente o parzialmente, dal tributo. Tuttavia, costituendo tali esenzioni un’eccezione alla regola generale di assoggettamento alla tassa di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale in cui il servizio di raccolta è istituito o attivato, l’onere della prova circa l’esistenza e la delimitazione delle superfici per le quali il tributo non è dovuto grava su chi ritiene di avere diritto all’esenzione e non sull’amministrazione del comune (Sez. 5, Sentenza n. 15083 del 05/08/2004). Infatti, pur operando anche nella materia in esame – per quanto riguarda il presupposto della occupazione di aree nel territorio comunale – il principio secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia, del citato D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 70), un onere di informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Sez. 5, Sentenza n. 4766 del 09/03/2004; conf. Sez. 5, Sentenza n. 775 del 14/01/2011 e Sez. 5, Sentenza n. 16235 del 31/07/2015; cfr. altresì Sez. 5, Sentenza n. 627 del 18/01/2012; conf. Sez. 5, Sentenza n. 5377 del 04/04/2012 e Sez. 5, Sentenza n. 4793 del 11/03/2016, per le quali, dovendosi applicare a tali categorie di rifiuti la disciplina prevista per i rifiuti speciali dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 3, potranno essere escluse dalla superficie imponibile quelle parti dell’immobile nelle quali il contribuente provi essere esclusivamente prodotti gli imballaggi).

Orbene, avuto riguardo alla superficie tassabile ad uso magazzino di mq. 2440, la contribuente ha dimostrato (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata) documentalmente (attraverso la produzione del contratto di locazione, dell’autorizzazione tecnico-sanitaria dell’8.2.1003 e della risoluzione colà acclusa, nonchè dei documenti di trasporto) di aver adibito le aree occupate esclusivamente ad uso deposito (come appoggio, in attesa della consegna a domicilio delle merci), in tal modo superando la presunzione iuris tantum di cui sopra.

In quest’ottica, non si è al cospetto di una errata applicazione del principio di ripartizione dell’onere probatorio, ma, semmai, di una errata valutazione delle risultanze istruttorie. M proposito, mentre la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., configurabile soltanto nell’ipotesi in il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma, integra motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la censura che investe la valutazione (attività regolata, invece, dagli artt. 115 e 116 c.p.c.), può essere fatta valere solo ai sensi del medesimo art. 360, n. 5, (Sez. 3, Sentenza n. 15107 del 17/06/2013; conf. Sez. 3, Sentenza n. 13395 del 29/05/2018).

5.2. Per quanto concerne, invece, la superficie di mq. 458 ad uso ufficio, erroneamente la CTR ha affermato che, a fronte dell’eccezione sollevata dalla contribuente circa la non utilizzazione integrale della superficie, sarebbe stato onere dell’ente impositore dimostrare quanta parte della stessa fosse effettivamente adibita ad ufficio. In quest’ottica, nessuna rilevanza in senso contrario può attribuirsi alla mancata ottemperanza, da parte dell’AMA, dell’ordinanza istruttoria con la quale la CTR l’aveva invitata ad individuare “la quota parte del globale richiesto relativo agli Uffici”.

6. Con il quinto motivo la ricorrente deduce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR considerato che, pur avendo la contribuente attestato (attraverso un verbale di riconsegna) di aver rilasciato in data 9.7.2008 l’immobile dalla stessa condotto in locazione, da una interrogazione esperita presso l’Agenzia delle Entrate era emerso che ancora alla data del 27.8.2010 il cambio della sede operativa della Autotrasporti G. non era stato riportato; per non essersi, in ogni caso, la CTR pronunciata sulla richiesta, formulata in via subordinata, di declaratoria di legittimità della tariffa rifiuti almeno per il periodo 1.1.2004 – 9.7.2008.

6.1. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

Invero, anche a prescindere dall’avvenuta o meno contestazione, ad opera dell’ente impositore, della circostanza relativa all’avvenuta riconsegna dell’immobile, la risultanza emersa dalla interrogazione esperita presso l’Agenzia delle Entrate è di per sè neutra, atteso che la mancata annotazione del cambio di sede operativa non esclude che l’immobile in precedenza condotto in locazione sia stato rilasciato.

6.2. Quanto alla richiesta di declaratoria di legittimità dell’avviso di accertamento con riferimento ad un periodo ridotto (che contemplasse l’intervenuta riconsegna dell’immobile), l’ente impositore, avendo reiterato l’istanza con l’atto di appello (cfr. pagg. 6 e 31 del controricorso), avrebbe dovuto censurare la sentenza impugnata per error in procedendo, denunciando la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), e non già l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

7. In definitiva, il ricorso merita accoglimento, per quanto di ragione, limitatamente al terzo e al quarto motivo.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata, con conseguente rinvio della causa, anche per le spese del presente grado di giudizio, alla CTR Lazio in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo, il secondo ed il quinto motivo del ricorso, accoglie, nei limiti di cui in parte motiva, il terzo ed il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del presente grado di giudizio, alla CTR Lazio in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

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