Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19328 del 19/07/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 19328 Anno 2018
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: LUCIOTTI LUCIO

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10675/2017 R.G. proposto da:
TARANTINO Vincenzo, nella qualità di socio unico della cessata ART
DECOR s.r.1., e LA PENNA Antonio, nella qualità di ex liquidatore
della predetta società, rappresentati e difesi, per procura speciale in calce al
ricorso, dagli avv.ti Marta LANZARA e Giancarlo AIELLO, ed
elettivamente domiciliati in Napoli, alla via Toledo, n. 156, presso lo
studio dei predetti difensori;
– ricorrenti contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. 06363391001, in persona del
Direttore pro tempore,

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rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

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Data pubblicazione: 19/07/2018

GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma,
alla via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente contro

persona del Ministro in carica;

intimato

avverso la sentenza n. 11143/48/2016 della Commissione tributaria
regionale della CAMPANIA, depositata il 12/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 20/06/2018 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.
Rilevato che:
1. L’Agenzia delle entrate, a seguito di verifica effettuata nei confronti
della Art Decor s.r.1., cessata in data 12/01/2015, da cui emergeva che la
stessa nell’anno di imposta 2010 aveva emesso fatture senza addebito di
IVA, falsamente attestando nelle lettere di intento inviate alla cessionaria
Paini s.r.l. la qualità di esportatore abituale, in violazione dell’art. 8, comma
2, d.P.R. n. 633 del 1972, emetteva un avviso di accertamento ai fini IVA
che notificava in data 02/11/2015 all’ex liquidatore della predetta società,
stante l’intervenuta cancellazione della società dal registro delle imprese.
1.1. I ricorsi proposti sia dal predetto liquidatore che dal socio unico
avverso il predetto atto impositivo venivano riuniti e rigettati dalla Gli) di
Napoli con sentenza confermata dalla CTR della Campania che, nella
statuizione in epigrafe indicata, sosteneva, per quanto ancora qui di
interesse, che l’accertamento era stato effettuato sulla base della
documentazione consegnata dalla parte contribuente, cui era stata richiesta,
e che, pertanto, non necessitava redigere alcun p.v.c. né espletare il
contraddittorio endoprocedimentale.
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MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in

2. Avverso tale statuizione il socio e l’ex liquidatore della società
contribuente propongono ricorso per cassazione anche nei confronti del
Ministero dell’economia e delle finanze, affidato a tre motivi, cui replica
l’intimata Agenzia delle entrate con controricorso.
3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis

4. 11 Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione
semplificata.
Considerato che:
1. Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto
nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze per difetto di
legittimazione processuale e perché estraneo ai gradi di merito del giudizio
(cfr., ex multis, Cass. n. 19111 del 2016, n. 22992 del 2010, n. 9004 del 2007,
nonché Cass. S.U. n. 3118/2006; n. 3116/2006; n. 20781/2016,
precisandosi che, in difetto di difese svolte dall’intimato, non occorre
disporre sulle spese di lite (v., da ultimo, Cass. n. 319 del 2018 di questa
Sotto sezione) ;
2. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360,
primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione
dell’art. 12, comma 7, legge 212 del 2000, sostenendosi che, diversamente
da quanto affermato dalla CTR, sussiste un obbligo di contraddittorio nella
fase amministrativa anche nelle ipotesi, come quella di specie, di
accertamenti condotti a tavolino.
2.1. Al riguardo va ribadito il consolidato orientamento di questa
Corte secondo cui «Differentemente dal diritto dell’Unione europea, il
diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo
all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento
lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un
generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale,
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cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che,
in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di
attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto,
sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto
obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi

la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte
dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario,
l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di
enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il
contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione
di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato
contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare,
in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio
di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla
finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato
predisposto» (Cass., Sez. U., n. 24823 del 2015 e numerose successive
tutte conformi, anche di questa Sottosezione).
2.2. L’applicazione di tale principio al caso di specie comporta
l’infondatezza del motivo in esame, se non addirittura la sua
inammissibilità ex art. 360 bis, primo comma, n. 1, cod. proc. civ. (Cass.,
Sez. U., n. 7155 del 2017, Cass. n. 3142 del 2011 e n. 19190 del 2017),
atteso che le argomentazioni addotte a sostegno del superamento dei
principi espressi nella citata pronuncia del Supremo consesso di questa
Corte, sono irricevibili, sia perché riferite a situazioni non comparabili tra
loro (accertamenti c.d. a tavolino e quelli effettuati presso la sede destinata
all’esercizio dell’attività commerciale, che sono nulli nell’ipotesi di
violazione del termine dilatorio — Cass. Sez. U., n. 18184 del 2013), sia
perché viene prospettata la tesi della necessaria attribuzione al
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“armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione,

contribuente del diritto al contraddittorio con l’amministrazione
finanziaria in maniera generalizzata ed indistinta rispetto ai diversi tributi,
prescindendo non solo dalle previsioni normative in materia, ma anche
dalla stessa giurisprudenza unionale, che neppure ha mai affermato un tale
generalizzato obbligo. Infatti, la Corte di Giustizia UE, sez. V, nella

affermato che «Il giudice nazionale, avendo l’obbligo di garantire la piena
efficacia del diritto dell’Unione, può, nel valutare le conseguenze di una
violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere sentiti,
tenere conto della circostanza che una siffatta violazione determina
l’annullamento della decisione adottata al termine del procedimento
amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità,
tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso». E nel
caso di specie non risulta la sussistenza di tale circostanza, come non
risulta dedotto alcunché al riguardo dai ricorrenti, del tutto inadempienti
all’onere «di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far
valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato» (in
tal senso Cass. Sez. U. citate; sulla questione della c.d. prova di resistenza e
del suo esito negativo, cfr., ex Inultis, Cass. n. 1969, n. 3408 del 2017,
n.3142 del 2014, n.13588 del 2014 la quale, peraltro, richiama sul punto il
tenore testuale della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 18184
del 2013).
3. Con il secondo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 24 della
legge n. 4 del 1929, sostenendosi che la citata disposizione, che prescrive
che «le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono
constate mediante processo verbale», andrebbe applicata anche agli
accertamenti effettuati in ufficio con la collaborazione del contribuente.
4. Con il terzo motivo viene dedotto il «difetto di motivazione su un
punto decisivo per il giudizio», sostenendosi che la CTR non aveva
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sentenza del 3 luglio 2014, in causa C-129/13 e C-130/13, Kali/in°, ha

adeguatamente valutato la documentazione prodotta in giudizio, attestante
la qualifica di esportatore abituale della società contribuente, né aveva
rilevato l’assenza di colpevolezza in capo alla contribuente con
conseguente inapplicabilità della sanzioni amministrative pecuniarie.
5. I motivi sono entrambi inammissibili per diverse convergenti

6. Innanzitutto, perché con essi i ricorrenti prospettano questioni
nuove, al riguardo ribadendosi che «In tema di ricorso per cassazione,
qualora una detetininata questione giuridica – che implichi accertamenti di
fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il
ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine
di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha
l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al
giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso
per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia
fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale
asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa» (Cass. n.
1435 del 2013; conf. Cass. n. 23675 del 2013, n. 27568 del 2017).
6.1. Orbene, nel caso di specie, nessun riferimento a tali questioni è
dato rinvenire nella sentenza impugnata, né i ricorrenti hanno assolto a
detto onere, non avendo neppure specificato se la questione della
necessità di redazione del p.v.c. anche in caso di accertamento c.d. “a
tavolino” fosse stata dedotta con il ricorso originario, con conseguente
inammissibilità della sua deduzione dinanzi alla CTR.
6.2. I ricorrenti, inoltre, nel secondo motivo svolgono argomentazioni
non congruenti con la censura, e segnatamente in ordine all’obbligo di
contraddittorio nella fase amministrativa anche nelle ipotesi di
accertamenti d’ufficio, che è questione trattata nel primo motivo.

6

ragioni.

6.3. Il terzo motivo incorre, poi, nel vizio di inammissibilità
conseguente alla commistione con profili di violazione di legge (in
particolare, degli artt. 5 e 6 d.lgs. n. 472 del 1997, in materia di sanzioni
amministrative pecuniarie) mai in precedenza dedotti, nonché alla
genericità della censura motivazionale, peraltro prospettata in violazione

ovvero omettendo la specifica indicazione del fatto storico pretermesso
dalla CIR.
7. La soccombenza dei ricorrenti ne impone la condanna al
pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.

P. Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero
dell’economia e delle finanze, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al
pagamento, in favore della controricorrente Agenzia delle entrate, delle
spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi,
oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito
dall’art. 1, comma 17, della 1. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 20/06/2018
P,residente
Pf& CU RZìG\

dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., così come riformulato,

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