Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19326 del 17/09/2020

Cassazione civile sez. I, 17/09/2020, (ud. 01/07/2020, dep. 17/09/2020), n.19326

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 34337/2018 proposto da:

S.A.E., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’avvocato Fusca Pietro, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.L.L., nella qualità di tutore provvisorio della minore

S.S., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

da sè medesima;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di

Napoli; – intimata avverso la sentenza n. 201/2018 della CORTE

D’APPELLO di NAPOLI, pubblicata il 02/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/07/2020 dal cons. PAZZI ALBERTO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Al momento della nascita della minore S.S. la madre biologica S.A.E. esercitava il diritto a non essere nominata astenendosi dal riconoscimento, mentre T.G. riconosceva la bambina.

Su ricorso del P.M., volto a verificare la veridicità di tale atto, era disposta consulenza ematologica, che accertava l’incompatibilità genetica fra la bambina e il T.; a seguito di tali risultati veniva nominato un curatore speciale alla minore e autorizzata la proposizione del giudizio di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento di paternità.

Nel contempo si apriva la procedura di adottabilità della bambina, di cui era disposto l’allontanamento dalla casa del T..

S.A.E. promuoveva allora istanza di affidamento della figlia, che provvedeva a riconoscere con l’assenso del T..

In attesa dell’esito del procedimento sullo status genitoriale del T. venivano sospesi tanto il giudizio di adottabilità, quanto la responsabilità genitoriale della S..

Una volta accertato in via definitiva il difetto di veridicità del riconoscimento eseguito dal T. il giudizio di adottabilità riprendeva il suo corso e si concludeva con la dichiarazione, da parte del Tribunale per i minorenni di Catanzaro, della decadenza della madre S.A.E. dalla responsabilità genitoriale e dello stato di adottabilità di S.S..

2. La Corte d’appello di Catanzaro, all’esito dell’impugnazione proposta dalla S., riteneva che non sussistessero i presupposti per la declaratoria dello stato di abbandono e, di conseguenza, revocava la declaratoria dello stato di adottabilità della minore S.S. e la dichiarazione di decadenza dalla potestà genitoriale di S.A.E..

3. Questa Corte, con sentenza n. 14167 del 2017, accoglieva i ricorsi presentati dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Catanzaro e C.L.L., tutore provvisorio della minore S.S., poichè in grado di appello non erano state sentite le persone a cui la bambina era stata affidata, a dispetto di quanto previsto dalla L. n. 184 del 1983, art. 5, comma 1, nel testo novellato dalla L. n. 173 del 2015, art. 2, comma 1, e dichiarava la nullità della decisione impugnata, che veniva cassata con rinvio alla Corte d’appello di Napoli.

4. Quest’ultima Corte di merito, a seguito della riassunzione del giudizio da parte di S.A.E., riteneva che la cessione della figlia da parte della madre a una coppia di coniugi, avvenuta in maniera cosciente e volontaria sul falso presupposto che il marito fosse il padre della bambina, concretizzasse una situazione di abbandono ancora attuale, in quanto il ripensamento sul riconoscimento non poteva considerarsi frutto di una reale resipiscenza e di un recupero dell’esercizio delle responsabilità genitoriali e in mancanza, altresì, di un serio e convincente progetto di vita per la minore.

5. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso S.A.E. prospettando quattro motivi di doglianza. Ha resistito con controricorso l’Avv. C.L.L., tutore provvisorio della minore S.S., la quale ha proposto anche ricorso incidentale, articolato in un unico motivo.

L’intimato Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Catanzaro non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6.1 Il primo motivo di ricorso assume, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 384 e 394 c.p.c., in quanto la Corte d’appello, operando in sede di rinvio proprio, avrebbe dovuto adeguarsi alle regole giuridiche enunciate nella statuizione di questa Corte e alle sue premesse logiche, senza però poter estendere l’indagine a questioni che, seppur non esaminate, costituivano il presupposto stesso della sentenza di rinvio e formavano oggetto di giudicato implicito interno.

Sarebbe rimasto perciò precluso – in tesi di parte ricorrente l’accertamento dei fatti già vagliati nel precedente giudizio di merito La violazione di legge rilevata dalla Corte di legittimità avrebbe imposto la sanatoria della nullità verificatasi tramite l’audizione della famiglia affidataria, “ferme restando le statuizioni relative alla revoca della dichiarazione di decadenza della responsabilità genitoriale e della dichiarazione di adottabilità della minore, così come stabilite dalla sentenza n. 45/2016 della Corte d’appello di Catanzaro”.

6.2 Il motivo non è fondato.

Al fine di rigettare la doglianza sarebbe sufficiente ribadire che nell’ipotesi di rinvio c.d. improprio o restitutorio alla Corte d’appello che si verifica quando la sentenza impugnata, senza entrare nel merito, si sia limitata ad una pronuncia meramente processuale – la corte territoriale, diversamente da quanto accade nel caso di rinvio c.d. prosecutorio, conserva tutti i poteri connaturati alla funzione di giudice dell’impugnazione avverso la sentenza del Tribunale e deve pertanto esaminare tutte le questioni ritualmente proposte che non incidano sul suo obbligo di conformarsi al principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte (cfr. Cass. 23314/2018, Cass. 4290/2015).

Peraltro la critica in esame non intende, oltre alla natura del rinvio compiuto, neppure il senso del vizio processuale rilevato e le implicazioni che ne derivavano nell’accertamento del merito della controversia.

Questa Corte, all’interno della sentenza di annullamento con rinvio, non si è limitata a rilevare la nullità della decisione impugnata per violazione di una norma di “natura indubbiamente processuale”, costituita dalla L. n. 184 del 1983, art. 5, comma 1, ultimo periodo, introdotta dalla L. n. 173 del 2015, art. 2, comma 1, applicabile ai giudizi in corso, ma ha aggiunto che la nullità conseguente alla disapplicazione della norma trovava giustificazione nel ruolo assunto dagli affidatari, i quali, assumendo una funzione centrale all’interno del contesto relazionale del minore, sono a conoscenza della sua indole, dei suoi comportamenti e delle sue esigenze e, nel contempo, devono avere una continuità di relazione in caso di ritorno nella famiglia di origine, ove ciò corrisponda all’interesse del minore.

La mancata partecipazione degli affidatari non rivestiva perciò una mera omissione formale, ma aveva pregiudicato la completezza degli accertamenti di merito compiuti dalla Corte distrettuale, dato che non vi era stata la possibilità di far emergere “la complessiva personalità del minore e le sue esigenze” attraverso l’apporto di chi con lui aveva una consolidata quotidianità (e dunque doveva essere sentito anche in sede di appello onde dare un contributo di aggiornamento alla situazione che il collegio dell’impugnazione era chiamato ad esaminare).

L’obbligo di conformazione ai principi di diritto gravante sul giudice del rinvio implicava quindi non solo l’audizione degli affidatari, ma, soprattutto, il rinnovo della valutazione sulla condizione di adottabilità della minore alla luce delle informazioni aggiornate così ottenute a completamento del quadro probatorio.

La censura – laddove sostiene (pag. 13 del ricorso) che in sede di rinvio si sarebbe dovuto assolvere la formalità omessa, “ferme restando le statuizioni relative alla revoca della dichiarazione di decadenza della responsabilità genitoriale e della dichiarazione di adottabilità del minore” – riduce quindi le dimensioni del vizio processuale rilevato da questa Corte a una mera formalità, senza cogliere il valore del contributo che la partecipazione degli affidatari doveva assumere ai fini dell’apprezzamento del merito della controversia.

7.1 Il secondo mezzo prospetta la nullità della sentenza impugnata per violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1,2,4 e 5 stante l’insussistenza di una condizione di abbandono della minore, la falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, art. 15 nonchè l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, costituiti dalle relazioni dei servizi sociali e dalle risultanze delle consulenze tecniche d’ufficio svolte nel giudizio ex art. 250 c.c. nonchè dalla mancata attivazione delle procedure per il recupero dei rapporti madre-figlia.

In particolare la Corte di merito, ravvisando una presunta cessione della minore con indimostrato pactum sceleris tra la madre e il presunto padre naturale, avrebbe compiuto un accertamento non rigoroso della condizione di abbandono, senza prendere in considerazione la reale e obbiettiva situazione della bambina, l’assenza di parametri oggettivi quali l’inidoneità dei genitori o dei congiunti a prendersi cura di lei e l’impossibilità di ritenere che la minore avrebbe subito danni gravi e irreversibili in caso di ricongiungimento con la sua famiglia naturale.

Oltre a ciò la Corte distrettuale non avrebbe valutato se le autorità avessero adottato tutte le misure necessarie e adeguate per consentire alla minore di condurre una vita familiare normale all’interno della propria famiglia naturale, così come avrebbe omesso di considerare tanto il rapporto intrattenuto dalla S. con la prima figlia, malgrado lo stesso fosse idoneo a significare le sue capacità genitoriali, quanto le risultanze delle attività peritali e delle relazioni dei servizi sociali, che attestavano la sua piena adeguatezza a svolgere la funzione genitoriale.

Mancherebbe quindi uno stato di abbandono determinato da carenze materiali ed affettive di rilevanza tale da integrare una situazione di pregiudizio per la minore e giustificare la sua dichiarazione di adottabilità.

7.2 Il motivo è nel suo complesso inammissibile.

7.2.1 Il fondamento della condizione di adottabilità di un minore risiede in un suo stato personale costituito da una situazione non transeunte di abbandono, non suscettibile, prevedibilmente, di essere superata e la cui rimozione sia necessaria per consentire al bambino di ricevere l’assistenza, morale e materiale, della quale il suo sviluppo ha bisogno.

Questo stato di abbandono nel caso di specie discende, stando all’accertamento compiuto dalla Corte di merito, dall’iniziale rifiuto intenzionale dei doveri genitoriali da parte dell’odierna ricorrente (“la S. ha consentito la cessione della neonata”; pag. 12 della sentenza impugnata) a cui ha fatto seguito una condotta della donna che, lungi dal dimostrare un certo e definitivo superamento di tale contegno, integrava invece una perseveranza nella condotta abdicativa, attraverso l’adesione alle ragioni del falso padre e l’esecuzione di un riconoscimento solo formale e sprovvisto di un serio e convincente progetto di vita ed educativo per la bambina.

7.2.2 Le critiche che si parametrano a una situazione di abbandono determinata dall’inidoneità della madre a svolgere le funzioni genitoriali e predicano la sussistenza di simili capacità e comunque la piena recuperabilità delle stesse non sono coerenti con gli accertamenti compiuti dalla Corte di merito e le ragioni poste a base della dichiarazioni dello stato di adottabilità, che non si occupano delle competenze dell’odierna ricorrente nello svolgimento del ruolo materno ma dell’assenza di una sua volontà reale di essere madre, assunta alla nascita e mantenuta nel tempo.

La condizione di abbandono non consegue perciò – secondo il collegio di merito – ad una valutazione di inidoneità della madre a prendersi cura della bambina, ma trova fondamento nell’accertamento di una volontà di “cessione” della minore inizialmente avuta e mantenuta in seguito, senza che si siano mai verificati alcuna “reale resipiscenza e recupero delle responsabilità genitoriali” (pag. 11).

Allo stesso modo la Corte di merito non ha tratto argomenti dalla iniziale volontà della madre di non essere nominata, intendendo la stessa come una definitiva rinuncia allo svolgimento del ruolo genitoriale, ma ha valorizzato la condotta tenuta dalla donna alla nascita, interpretandola in termini di cessione della bambina, ed in epoca successiva, stante la perseveranza in tale contegno.

I profili di doglianza riguardanti vuoi la valutazione delle capacità genitoriali della S. e la loro potenziale recuperabilità, vuoi l’insufficienza della non immediatezza del riconoscimento materno a integrare una condizione idonea a determinare l’adottabilità della minore non trovano quindi corrispondenza nelle ragioni fondanti la decisione impugnata in questa sede.

Ne discende la loro inammissibilità, poichè l’esercizio del diritto di impugnazione impone di considerare concretamente le ragioni che sorreggono la decisione impugnata e di non prescindere da esse, dovendosi considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che non rispetti questo requisito; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, (cfr. Cass. 6496/2017, Cass. 17330/2015, Cass. 359/2005).

7.2.3 La cessione del figlio da parte del genitore è espressione non di una incapacità personale, ma di una precisa volontà di non assumere il ruolo genitoriale e, come tale, è chiaramente indicativa di una condizione di abbandono del minore.

Il rifiuto intenzionale dell’adempimento dei doveri genitoriali assume rilievo perciò ai fini della dimostrazione della situazione di abbandono, a meno che lo stesso non venga validamente superato da un eventuale atteggiamento sopravvenuto dei genitori naturali, contrario a quello originario di rifiuto di assistenza, che risulti credibile; in funzione di questo accertamento il giudice deve esaminare le circostanze emerse nel corso del giudizio, anche di appello, onde accertare la concretezza e la permanenza dello stato di abbandono (v. Cass. 6098/1997).

La Corte di merito si è correttamente posta in questa prospettiva di indagine accertando l’iniziale cessione della figlia da parte della madre e la successiva perseveranza in una simile condotta.

A fronte della ricognizione di questo rifiuto del ruolo genitoriale, intenzionale e mai revocato, determinativo dello stato di abbandono della minore, le critiche sollevate in proposito non evidenziano alcuna criticità in punto di diritto in capo alla decisione impugnata, prospettano un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, benchè la stessa sia estranea all’esatta interpretazione della norma e inerisca alla tipica valutazione della Corte di merito, e risultano, al pari delle precedenti, inammissibili, dato che manifestano un mero dissenso motivazionale rispetto ad un apprezzamento di fatto che, essendo frutto di una determinazione discrezionale del giudice del rinvio, non è sindacabile da questa Corte.

7.2.4 Risultano parimenti inammissibili le doglianze sollevate, al fine di criticare l’accertamento del persistere nel tempo dell’iniziale volontà dismissiva, rispetto alle risultanze istruttorie esaminate (la cui consistenza è rimasta inevitabilmente segnata dallo stesso contegno della S., la quale, come registra – alle pagg. 4 e 8 – la decisione impugnata, non ha prestato il consenso allo svolgimento di indagini suppletive disposte dal giudice del rinvio, anche in ordine alle sue capacità genitoriali e agli “eventuali aspetti critici della sua personalità in relazione alla predetta figlia S.”).

Non è infatti predicabile un omesso esame delle risultanze delle consulenze tecniche d’ufficio svolte nel corso del parallelo giudizio ex art. 250 c.c., dato che questa valutazione invece è stata compiuta dalla Corte di merito (a pag. 9 della sentenza impugnata), seppur al fine di evincerne, diversamente da quanto voluto dall’odierna ricorrente, la dimostrazione della sua inidoneità alla genitorialità (stante la mancanza di una “sensazione di responsabilità e di tutela che un genitore dovrebbe avere e dare alla propria prole”). Non si presta a censure neppure la mancata espressa valutazione delle relazioni dei servizi sociali presenti agli atti del giudizio, posto che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico rilevante in causa (costituito nel caso di specie dal rifiuto intenzionale dei doveri genitoriali mai superato da una reale resipiscenza e da un recupero dell’esercizio delle responsabilità parentali) sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 8053/2014).

7.2.5 L’inidoneità abitativa della famiglia di origine è poi argomento da cui la stessa Corte di merito ha inteso espressamente prescindere, analizzandolo, non a caso fra parentesi, soltanto in sovrappiù.

Il motivo di ricorso volto a censurare una simile argomentazione contenuta nella sentenza di appello – svolta ad abundantiam, non costituente una ratio decidendi della medesima e priva di alcuna influenza sul dispositivo – è inammissibile, per difetto di interesse, dato che le considerazioni così sviluppate dalla Corte di merito sono improduttive di effetti giuridici (cfr. Cass. 8755/2018, Cass. 23635/2010).

7.2.6 Identica sorte deve infine essere attribuita alle critiche relative alla mancata attivazione delle procedure per il recupero dei rapporti madre-figlia.

Tale aspetto infatti non è stato affatto tralasciato, ma, in coerenza con la ratio decidendi che fonda la decisione, giudicato irrilevante ai fini del decidere, in ragione della condotta abdicativa tenuta dalla donna in origine e mantenuta in seguito (“il mancato consolidamento (rectius: nascita) del rapporto tra la madre e la piccola S. non è dipeso certo da inadempienze o mancati sostegni da parte delle Autorità preposte e tanto meno dall’autorità giudiziaria, quanto piuttosto e più semplicemente dal comportamento della S. (cessione della figlia a una coppia di coniugi estranea; pag. 11)”.

8.1 Il terzo motivo assume la nullità della sentenza impugnata per violazione di legge, con riferimento all’esercizio del diritto di difesa e di pienezza del contraddittorio: la Corte distrettuale – “in palese violazione del diritto di difesa e di contraddittorio fra le parti” avrebbe disposto l’espletamento di un consulenza integrativa psicodiagnostica al solo scopo di valutare le capacità degli affidatari e l’attuale condizione psichica della minore anche in relazione a un radicale cambiamento di vita, non consentendo all’odierna ricorrente di prendere parte a larga parte delle operazioni peritali e senza permettere alla medesima di avere conoscenza di documenti acquisiti ma non inseriti nel fascicolo telematico.

Oltre a ciò la Corte d’appello, nel rilevare l’adeguatezza della famiglia affidataria e le conseguenze che la minore avrebbe subito in caso di allontanamento da quell’ambiente, avrebbe cristallizzato una situazione provvisoria che non poteva contribuire al riconoscimento dello stato di abbandono.

8.2 Il motivo risulta nel suo complesso inammissibile.

8.2.1 La doglianza in esame lamenta l’errata prospettiva in cui si sarebbe sviluppata la consulenza tecnica disposta dalla Corte d’appello, la quale avrebbe posto attenzione soltanto alle capacità degli affidatari e alla condizione psichica della minore in caso di radicale cambiamento di vita, limitandosi a chiedere un aggiornamento della relazione dei servizi sociali rispetto al nucleo familiare S.- R.; le attività peritali, inoltre, si sarebbero svolte in uno spazio riservato alla famiglia affidataria e al tutore, mentre la difesa dell’appellante in riassunzione sarebbe stata avvisata soltanto delle singole udienze partecipate, senza però aver modo di prendere parte alle operazioni che andavano a compiersi e di conoscere il contenuto di tutti i documenti acquisiti.

In realtà la limitazione del contenuto delle indagini peritali è il frutto del contegno assunto dalla S. nel corso del giudizio di riassunzione, giacchè la scelta, della donna e del compagno, di non sottoporsi ad accertamenti sul loro nucleo familiare ha impedito di valutare le sue capacità genitoriali “e gli eventuali aspetti critici della sua personalità in relazione alla figlia S.”, limitando giocoforza gli accertamenti espletati a quelli possibili con l’apporto della famiglia affidata ria.

Nessuna violazione di legge conseguente a una asserita miopia dell’indagine peritale può perciò essere denunciata in questa sede, tenuto conto che una eventuale nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa, a mente dell’art. 157 c.p.c., comma 3.

8.2.2 La nullità della consulenza tecnica d’ufficio, derivante dalla mancata comunicazione alle parti della data di inizio delle operazioni peritali o attinente alla loro partecipazione alla prosecuzione delle operazioni stesse, avendo carattere relativo, resta sanata se non eccepita nella prima istanza o difesa successiva al deposito (cfr. Cass. 7158/2017Cass. 1744/2013).

Allo stesso modo l’omesso invio alle parti della bozza di relazione dà luogo a un’ipotesi di nullità a carattere relativo, suscettibile di sanatoria se il vizio non è eccepito nella prima difesa utile successiva al deposito della perizia (v. Cass. 23493/2017, Cass. 21984/2018).

L’odierna ricorrente non ha allegato, dandone conveniente indicazione ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di aver sollevato alcuna eccezione in questo senso nella prima difesa successiva al deposito della relazione peritale e di aver lamentato, con altrettanta tempestività, di non aver potuto conoscere i documenti acquisiti nel corso delle operazioni peritali.

In mancanza di alcuna tempestiva doglianza ogni eventuale nullità verificatasi nei termini denunciati nel corso delle operazioni peritali è rimasta perciò sanata, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2.

8.2.3 L’ultima parte del mezzo assume che la Corte di merito abbia inteso cristallizzare la favorevole situazione vissuta dalla minore in conseguenza dei provvedimenti adottati nelle more del giudizio, a discapito del loro carattere temporaneo e provvisorio.

L’assunto trascura la ratio decidendi della decisione impugnata, la quale ha valutato la condizione dell’odierna ricorrente e il suo rifiuto di svolgere il compito genitoriale non certo all’esito di un giudizio comparativo con la famiglia collocataria, ma esclusivamente facendo riferimento alla sua persona, alla condotta da lei tenuta nei confronti della figlia, alla sua persistente indisponibilità a prestare alla minore assistenza materiale e morale e all’impossibilità per la bambina di attendere un superamento di questa condizione di indisponibilità.

In questa prospettiva personalizzata la Corte di merito ha constatato a più riprese l’intervenuta cessione della neonata e la mancata resipiscenza della madre, senza fare ricorso ad alcuna comparazione, e le ha poste a base dell’accertamento della condizione di abbandono.

Il riferimento alla situazione vissuta dalla bambina nell’ambiente della famiglia affidataria costituisce perciò un’ulteriore osservazione ad abundantiam compiuta, non a caso, da ultimo a mero completamento del quadro già rappresentato, che nulla aggiunge agli elementi fondanti la valutazione dello stato di abbandono e che quindi la ricorrente non ha interesse a criticare.

9.1 Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione di norme di diritto, con riferimento alla condanna al pagamento delle spese in favore dell’erario, tenuto conto tanto del fatto che il primo ricorso per cassazione si era concluso con l’annullamento della sentenza impugnata solo sulla base di nullità processuali, quanto della complessità delle questioni giuridiche affrontate.

Sarebbe inoltre illegittimo, in tesi di parte ricorrente, l’imputazione alla S. delle spese della consulenza tecnica espletata, dato che l’appellante in riassunzione non aveva richiesto tale incombente nè aveva alcun interesse al suo espletamento.

9.2 Il motivo è inammissibile.

9.2.1 Il sindacato della Corte di cassazione in tema di spese processuali è limitato infatti ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa.

La facoltà di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso degli altri motivi previsti dall’art. 92 c.p.c., comma 2, rientra invece nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà.

Ne consegue che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (cfr. Cass. 11329/2019, Cass. 24502/2017).

9.2.2 Le spese della consulenza tecnica d’ufficio non sono regolate in via definitiva a seconda di chi abbia chiesto lo svolgimento dell’incombente nè, tanto meno, di un interesse all’espletamento di tale attività, ma rientrano nella liquidazione delle spese processuali suscettibili di regolamento ex artt. 91 e 92 c.p.c..

Pertanto tali spese, se non sono attribuibili alla parte totalmente vittoriosa, possono invece essere compensate anche in presenza di una parte totalmente vittoriosa (Cass. 12028/2016), costituendo tale statuizione una variante verbale della tecnica di compensazione espressa per frazioni dell’intero (Cass. 17739/2016), così come possono essere poste dal giudice a carico della parte risultata soccombente.

Anche sotto questo profilo la pronuncia di condanna alle spese, seppur adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione.

10. La controricorrente, con il motivo di ricorso incidentale presentato, domanda di verificare la legittimità della liquidazione delle spese effettuata dalla Corte distrettuale, che sarebbe avvenuta senza il rispetto dei minimi tariffari.

La doglianza – da considerarsi rivolta, in ragione dell’entità delle somme tenute in considerazione, non alla liquidazione delle somme da corrispondere all’erario D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 130 contenuta in sentenza, ma alla diversa liquidazione compiuta dalla Corte di merito in favore del difensore – è inammissibile.

Il decreto di liquidazione dei compensi al difensore ammesso al patrocinio a spese dello Stato non è definitivo, essendo impugnabile, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170 con opposizione da rivolgersi al presidente dell’ufficio giudiziario competente, e non può dunque essere oggetto di immediato ricorso per cassazione.

Soltanto avverso quest’ultimo provvedimento è proponibile il ricorso per cassazione, in considerazione della sua natura decisoria e della capacità d’incidere in via definitiva su diritti soggettivi (cfr. Cass. 4020/2011).

11. In conclusione, in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso principale deve essere rigettato, mentre il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza sostanziale e si liquidano come da dispositivo.

Il procedimento è esente dal versamento del contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, comma 2, di modo che non trova applicazione il disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 1 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2020

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