Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19325 del 29/09/2016


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Cassazione civile sez. VI, 29/09/2016, (ud. 15/07/2016, dep. 29/09/2016), n.19325

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3736-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.N.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 81/9/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di FIRENZE del 3/06/2013, depositata il 10/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/07/2016 dal Consigliere Relatore Dott. PAOLA VELLA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue.

1. Con il primo motivo l’amministrazione ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione del D.Lgs n. 446 del 1997, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

1.1. Assume la ricorrente che, essendo “pacifico e ammesso da controparte nonchè assunto in sentenza… che il contribuente svolga la sua attività in forma associata, sebbene in una società semplice”, la C.T.R. avrebbe erroneamente “escluso che detta circostanza integri il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione”, peraltro senza che il contribuente avesse “fornito la prova contraria atta a superare la presunzione relativa.. in virtù della quale il professionista si avvale, per la propria attività di lavoro autonomo, del capitale e del lavoro dello studio associato”.

1.2. Il motivo è manifestamente infondato.

1.3. Dalla lettura della sentenza impugnata emerge inequivocabilmente che i giudici d’appello, contrariamente a quanto assume l’odierna ricorrente, hanno accertato l’inesistenza di uno studio associato, osservando che “la collaborazione con lo Studio legale Associato Clifford Chance di Roma non fa ravvisare alcuna associazione con tale studio, posto che il ricorrente-appellante ha dimostrato documentalmente che le sue prestazioni sono regolarmente fatturate dal predetto studio, pertanto la circostanza che lo stesso abbia a disposizione tale struttura non significa che vi sia una organizzazione autonoma in capo al ricorrente, posto che, come ben chiarito dalla Suprema Corte l’autonomia della struttura deve riguardare colui che in essa vi eserciti quale titolare, e non è questo il caso dell’appellante”, non essendo “sufficiente, ai fini dell’imposta Irap, che il lavoratore si avvalga di una struttura organizzata, ma è anche necessario che questa struttura sia autonoma, cioè faccia capo al lavoratore stesso, non solo ai fini operativi, bensì anche sotto i profili organizzativi. Non sono perciò soggetti ad Irap i proventi che un lavoratore autonomo percepisca come compenso per le attività svolte all’interno di una struttura a altri organizzata”.

1.4. Nella stessa sentenza si dà ano che, dalla certificazione dei compensi erogati e delle ritenute operate dallo Studio Legale Associato Clifford Chance, allegata in primo grado dal contribuente, emergeva che l’intero reddito del contribuente nell’anno 2007 originava da tale cliente, con il quale era stato posto in essere non già un’attività in forma associata, bensì “un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa con fatturazione mensile ad importo tendenzialmente fisso, per un totale di 13 mensilità, oltre fatture di rimborso spese”. Il contribuente aveva inoltre documentato che “l’immobile di cui usufruiva a Roma, abitando il C. a Firenze, era condotto a uso promiscuo in quanto adibito all’esercizio della professione e all’uso personale”.

1.5. Alla luce del materiale probatorio acquisito, i giudici regionali hanno quindi escluso la sussistenza del presupposto impositivo ai fini Irap, rilevando che “dalle dichiarazioni dei redditi non risulta nessun costo per lavoro dipendente, nè di spese per prestazioni collaborative. I beni strumentali, inoltre, sono di modesto valore e strettamente necessari per svolgere l’attività del ricorrente”.

1.6. Tale decisum pertanto, lungi dall’integrare il lamentato error in iudicando, risulta in linea con il formante giurisprudenziale nomofilattico, e segnatamente con il recente arresto delle Sezioni Unite di questa Corte, in base al quale l’accertamento del “requisito della autonoma organizzazione… spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato” (Cass. s.u. 10 maggio 2016, n. 9451).

1.7. I continui riferimenti all’esistenza di uno studio associato appaiono quindi del tutto fuorvianti, poichè questa Corte ha di recente ribadito che solo “quando l’attività è esercitata dalla società e dagli enti, che siano soggetti passivi dell’imposta a norma del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 3, – comprese quindi le società semplici e le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni -essa, in quanto esercitata da tali soggetti, strutturalmente organizzati per la forma nella quale l’attività è svolta, costituisce ex lege, in ogni caso, presupposto d’imposta, dovendosi perciò escludere la necessità di ogni accertamento in ordine alla sussistenza dell’autonoma organizzazione” (Cass. s.u. 14 aprile 2016, n. 7371; conf. Cass. nn. 15317/13, 21669/10, 16784/10). Ipotesi, questa, che come visto è stata motivatamente esclusa, in fatto, dal giudice di secondo grado.

2. Con il secondo mezzo l’amministrazione finanziaria lamenta in via subordinata l’insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5)”.

2.1. Il motivo è palesemente inammissibile, trattandosi di sentenza d’appello pubblicata successivamente all’11 settembre 2012, che non poteva essere assoggettata a censura motivazionale secondo il precedente paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

2.3. Del resto, le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che “le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunziabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed i limiti d’impugnazione della “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3-bis, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546″, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito” (Cass. s.u. nn. 8053/14 e 8054/14).

3. La doglianza veicolata dal terzo motivo, sempre in subordine ed in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, invece manifestamente infondata, essendo palese che sul fatto decisivo indicato – “l’esercizio, in firma associata oltre che in firma individuale, della attività de qua” – l’esame non è stato affatto omesso, costituendo esso, al contrario, il punto qualificante ed ampiamente argomentato della motivazione resa dai giudici regionali.

4. Il ricorso va dunque respinto.

5. Non vi è luogo a condanna alle spese, le quali restano a carico della parte ricorrente che le ha anticipate, non avendo l’intimato svolto difese mediante controricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 15 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2016

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