Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19324 del 17/09/2020

Cassazione civile sez. I, 17/09/2020, (ud. 01/07/2020, dep. 17/09/2020), n.19324

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29179/2018 proposto da:

T.M. e G.V., nella qualità di eredi di T.M.,

domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile

della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dagli avvocati

Gargano Simone e Giulio Attilio, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Procura Generale presso la Corte d’Appello di Milano,

S.T.D. e T.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1161/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 5/3/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

1/7/2020 dal cons. PAZZI ALBERTO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Como, con sentenza n. 633/2015, dichiarava inammissibile la domanda presentata da T.M. e G.V. volta al disconoscimento di paternità del minore T.M., nato a (OMISSIS), dal matrimonio del figlio premorto T.M. con S.T.D..

2. La Corte d’appello di Milano, a seguito dell’impugnazione presentata dagli attori, rilevava che gli artt. 54 e 55 Codul Familie rumeno, da applicare alla fattispecie in esame ai sensi della L. n. 281 del 1995, art. 33, comma 3, e nel testo vigente al momento della nascita del bambino, prevedeva che l’azione di disconoscimento di paternità potesse essere avviata soltanto dal presunto padre ed eventualmente continuata dagli eredi, di modo che doveva essere esclusa la legittimazione ad agire degli appellanti.

In ogni caso, anche a voler fare applicazione della legge sostanziale italiana, a parere dei giudici distrettuali non era stata raggiunta la prova della conoscenza dell’adulterio asseritamente consumato dalla convenuta soltanto nel mese di maggio del 2011, nel senso già rilevato dal primo giudice, rimanendo così indimostrata la tempestività dell’iniziativa processuale assunta dagli eredi del presunto padre.

3. Per la cassazione della sentenza di rigetto dell’appello, pubblicata in data 5 marzo 2018, hanno proposto ricorso, illustrato da memoria, T.M. e G.V. prospettando tre motivi di doglianza.

Gli intimati S.T.D., Avv. Denise Canu, in qualità di curatore speciale del minore T.M., e il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Milano non hanno svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/ falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, artt. 16 e 33 con riferimento all’avvenuta applicazione degli artt. 54 e 55 Codul Familie rumeno nel testo vigente ratione temporis anzichè dell’art. 246 c.c., in quanto la disciplina nazionale regolante la fattispecie, prevedendo l’impossibilità per gli eredi del defunto di agire direttamente in giudizio in mancanza di una precedente iniziativa del de cuius, contrasterebbe con l’ordine pubblico interno e il diritto comunitario e doveva quindi essere disapplicata, con conseguente ricorso alla normativa italiana.

4.2 Il secondo mezzo, sotto la rubrica “vizio di omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 con riferimento alla raggiunta prova della consapevolezza di T.M. dell’adulterio della moglie S.D. e conseguente non paternità del figlio minore T.M. solo il 29.5.2011”, assume che tanto il Tribunale quanto la Corte d’appello siano incorsi in un grave errore di valutazione dei fatti di causa e, soprattutto, delle prove testimoniali assunte: la motivazione della decisione impugnata, richiamando per relationem quella del Tribunale, sarebbe contraddittoria e incomprensibile laddove non tiene conto delle prove offerte dagli attori e dell’assenza di prove contrarie ad opera della convenuta e arriverebbe a risultati illogici e incompatibili rispetto al materiale probatorio in atti.

In particolare, a dire dei ricorrenti, risulterebbe provato per testi e documentalmente (dalla sentenza di separazione resa fra le parti in Romania, al cui interno non era stato fatto alcun cenno alla questione) che il T. avesse saputo con certezza dell’adulterio della moglie solo il 29 maggio 2011 (quando la donna nel corso di una telefonata aveva rivelato al coniuge di aver concepito il figlio con un altro uomo), mentre l’eventuale precedente conoscenza di frequentazioni con altri uomini avrebbe al più ingenerato dei dubbi nel presunto padre e sarebbe risultata quindi irrilevante al fine di far decorrere il termine di decadenza di cui all’art. 244 c.p.c..

5. Le doglianze, da esaminare congiuntamente perchè tese a minare le due autonome rationes decidendi poste dalla Corte di merito a fondamento della decisione assunta, risultano ambedue fondate.

5.1 La Corte d’appello, ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 33, comma 3, ha applicato al minore, figlio di cittadini rumeni, la legge nazionale in vigore al momento della sua nascita, costituita dagli artt. 54 e 55 Codul Familiae previgente alla riforma introdotta dalla legge rumena 71/2011, secondo cui l’azione per il disconoscimento della paternità poteva essere avviata soltanto dal marito, presunto padre del bambino, mentre ai suoi eredi era data unicamente la possibilità di proseguire l’azione da questi iniziata.

Il giudice nazionale, prima di procedere all’applicazione della disciplina straniera regolante la fattispecie, deve però verificare se la stessa risulti contraria all’ordine pubblico internazionale, da intendersi come complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento interno in un determinato periodo storico o fondati su esigenze di garanzia, comuni ai diversi ordinamenti, di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo (Cass. 19405/2013).

L’applicazione della legge straniera, al di là della sua conformità o difformità alla normativa interna, presuppone perciò l’accertamento della coerenza di tale disciplina con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo desumibili dalla Costituzione, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea nonchè dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (Cass. 19599/2016) e deve tener conto anche del modo in cui detti principi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti e dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente, dal quale non si può prescindere nella ricostruzione della nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico (Cass., Sez. U., 12193/2019).

La norma di cui la Corte di merito ha fatto applicazione nel caso di specie contempla una limitazione del diritto di accesso alla giustizia per gli eredi del presunto padre titolare dell’azione di disconoscimento e non consente la proposizione dell’azione in caso di decesso dell’avente diritto ove quest’ultimo non abbia agito in giudizio prima della sua morte, restringendo il diritto di iniziativa processuale degli aventi causa alla sola prosecuzione del giudizio già instaurato.

Una simile limitazione contrasta non solo con il diritto di iniziativa processuale riconosciuto dall’art. 24 Cost., art. 6 CEDU e art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che non tollera limiti ingiustificati, ma introduce anche, in violazione dell’art. 3 Cost., una irragionevole disparità di trattamento fra eredi dell’originario titolare dell’azione a seconda del comportamento processuale assunto da quest’ultimo in vita, giacchè il favor veritatis che ispira la generale normativa sulla filiazione (in uno con i valori di certezza e stabilità degli status e dei rapporti familiari) impone di ritenere che il presunto padre non possa considerarsi l’unico arbitro dell’iniziativa volta al disconoscimento.

La norma straniera che risulterebbe applicabile in base alla L. n. 218 del 1995, art. 33 deve perciò essere trascurata, stante il suo contrasto con l’ordine pubblico internazionale, con ricorso, in mancanza di altri criteri di collegamento, alla legge italiana, ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 16, comma 2.

5.2 La Corte di merito ha inteso condividere, richiamandoli espressamente e facendoli propri, gli argomenti già offerti dal Tribunale, secondo cui la congerie istruttoria disponibile, nella sua complessità, offriva un “contraddittorio contesto” in merito al momento di scoperta dell’adulterio (intesa come acquisizione della certa conoscenza di un fatto rilevante a tal fine).

Simili considerazioni prestano tuttavia il fianco alle contestazioni del ricorrente – da ricondursi all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in tema di errata applicazione della disciplina che, a mente dell’art. 244 c.c., regola la dimostrazione della tempestività dell’azione di disconoscimento della paternità.

La fattispecie in esame riguarda il caso di un minore nato (il 29 maggio 2007) a distanza di poco più di due mesi dalla celebrazione del matrimonio (risalente all’8 marzo 2007) e quindi concepito in un periodo in cui la madre non era tenuta al rispetto dei doveri coniugali previsti dall’art. 143 c.c..

Circostanza, questa, che non influisce sull’onere di dimostrare la tempestività dell’azione di disconoscimento della paternità gravante sull’attore (Cass. 13436/2016), dato che tale onere non assume una consistenza diversa per il figlio soltanto nato ma non concepito durante il matrimonio (“reputato legittimo” secondo la terminologia utilizzata dall’abrogato art. 233 c.c.).

Anche in questo caso infatti la scoperta del concepimento ad opera di un soggetto diverso da chi poi ha contratto matrimonio con la donna che già si trovava in stato di gravidanza – alla quale si collega il decorso del termine annuale di decadenza fissato dall’art. 244 c.c. – va intesa come acquisizione certa della conoscenza (e non come mero sospetto) di un fatto – non riducibile, perciò, a mera infatuazione, o a mera relazione sentimentale, o a mera frequentazione della moglie con un altro uomo – rappresentato o da una vera e propria relazione, o da un incontro, comunque sessuale, idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole disconoscere (si vedano in questo senso Cass. 3263/2018, Cass. 14556/2014, Cass. 6477/2003).

Il legislatore delegato, con l’introduzione del nuovo testo dell’art. 244 c.c. ad opera del D.Lgs. n. 154 del 2013, art. 18 ha conservato l’indicazione della scoperta dell’adulterio (o del concepimento ad opera di altri nel caso di figlio nato ma non concepito durante il matrimonio) come dies a quo per la decorrenza del termine di esperibilità dell’azione, con una scelta che si riverbera sulla disciplina della prova, nel senso che l’attore deve assolvere l’onere a cui è tenuto fornendo la dimostrazione del momento in cui ha conosciuto, in termini di certezza, l’esistenza di una condotta della moglie idonea al concepimento per opera di altri.

In questa materia il profilo della tempestività dell’azione rimane dunque regolato dal principio secondo cui la scoperta dell’adulterio deve essere intesa come acquisizione certa della conoscenza di un fatto idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole disconoscere, mentre non assumono rilievo nè il sospetto dell’esistenza di una vera e propria relazione, nè la dimostrazione di una condotta che tale capacità non abbia.

Un simile principio assume portata generale, di modo che ad esso devono ispirarsi sia l’attore, nell’assolvere l’onere che su di lui grava di comprovare la tempestività dell’iniziativa processuale assunta, sia le altre parti processuali, nel caso in cui intendano effettuare allegazioni difformi dagli assunti avversari al fine di retrodatare l’epoca indicata dall’attore, sia, di conseguenza, il giudicante nel vagliare i risultati dell’istruttoria espletata.

Più precisamente il convenuto, nel caso in cui abbia intenzione di confutare la concludenza delle circostanze addotte e dimostrate dall’attore adducendo una pregressa conoscenza di un fatto rilevante, dovrà provare che la consapevolezza della condotta idonea a determinare il concepimento, in termini altrettanto certi, risaliva ad epoca precedente.

In altri termini il convenuto, qualora si proponga non di criticare la pregnanza della prova offerta dall’attore, ma di addurre l’anteriorità della condizione di consapevolezza, deve contrapporre all’attestazione di una condizione di certezza la dimostrazione di una identica situazione di certezza in epoca anteriore e non può limitarsi a prospettare il mero sospetto di una precedente conoscenza di una relazione idonea a determinare il concepimento o a dimostrare una mera frequentazione che non abbia una simile idoneità.

Allo stesso modo, a fronte di contrastanti allegazioni delle parti in merito al momento a cui debba essere fatta risalire la scoperta certa dell’adulterio, il giudice dovrà in primo luogo valutare se l’attore abbia adeguatamente assolto l’onere a cui era tenuto secondo il canone di certezza sopra richiamato.

Se poi taluna delle altre parti coinvolte nel processo abbia allegato e inteso provare che tale frangente debba essere retrodatato in ragione della conoscenza avuta dal presunto padre in epoca anteriore, il giudicante, nel vagliare la congerie istruttoria, dovrà acclarare la fondatezza di simili assunti in coerenza con il medesimo parametro, astenendosi da ogni valutazione che comporti la prevalenza del sospetto sulla certezza o valorizzi frequentazioni prive dell’idoneità a determinare il concepimento.

Risulta quindi erroneo il governo della congerie istruttoria compiuto dalla Corte di merito, la quale, piuttosto che compiere (a pag. 6) un esame promiscuo delle complessive allegazioni ed al fine di non far prevalere il sospetto sulla certezza, doveva individuare quali risultati in termini di acquisizione certa della conoscenza di una relazione idonea al concepimento potevano considerarsi raggiunti rispetto alle differenti allegazioni in fatto delle parti, stabilendo, innanzitutto, se l’onere della prova della tempestività dell’azione fosse stato assolto congruamente da parte attrice e se una simile dimostrazione, ove offerta, rimanesse poi minata dalla prova, in termini altrettanto certi, del raggiungimento della condizione in discorso in epoca antecedente.

Allo stesso modo contrasta con i principi sopra illustrati la valorizzazione (a pag. 7) di “frequentazioni della futura moglie con altri uomini”, poichè – come detto più sopra – il giudicante, ai fini dell’individuazione del momento di scoperta dell’adulterio, può apprezzare la conoscenza certa di relazioni idonee a determinare un concepimento ma non di frequentazioni che non abbiano simili caratteristiche.

Pertanto la datazione della scoperta dell’adulterio, il cui onere probatorio grava su chi abbia introdotto l’azione di disconoscimento della paternità, e la retrodatazione di tale data eventualmente allegata dai convenuti soggiacciono, entrambe, alla regola secondo cui vale a tal fine l’acquisizione certa della conoscenza (e non del mero sospetto) di un fatto rappresentato o da una vera e propria relazione, o da un incontro, comunque sessuale, idoneo a determinare il concepimento del figlio che si vuole disconoscere – fatto non riducibile, perciò, a mera infatuazione, o a mera relazione sentimentale, o a mera frequentazione della moglie con un altro uomo -.

Ne discende che il sospetto inidoneo a fondare la retrodatazione allegata dai convenuti non può inficiare la prova certa della datazione offerta dall’attore.

6. Rimane assorbito il terzo motivo (con cui il ricorrente, sotto la rubrica “vizio di omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 con riferimento alla mancata sanzione processuale dell’immotivato rifiuto della convenuta S.D. di sottoporre il figlio T.M. al test del D.N.A. sia prima sia durante il giudizio”, lamenta che la Corte distrettuale non abbia dato corso alla C.T.U. nè abbia tratto argomenti di prova, ai sensi dell’art. 116 c.p.c. ed al fine di accogliere la domanda attorea, dal rifiuto sistematico e ingiustificato della convenuta di sottoporre il figlio al test del D.N.A.), giacchè la prova della non paternità, seppur evincibile ex art. 116 c.p.c., comma 2, dal rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche (Cass. 6025/2015), viene in rilievo, sotto un profilo logico-giuridico, solo allorquando l’attore abbia dato compiuta dimostrazione della tempestività della sua iniziativa processuale ed al fine di accertare la fondatezza nel merito della stessa.

7. La sentenza impugnata andrà dunque cassata, con rinvio della causa alla corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 1 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2020

 

 

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