Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19322 del 10/09/2010

Cassazione civile sez. I, 10/09/2010, (ud. 25/05/2010, dep. 10/09/2010), n.19322

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29470/2009 proposto da:

D.M.G. (C.F. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA Alfonso Luigi,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

15/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/05/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso come da verbale di udienza.

 

Fatto

FATTO E MOTIVI

Ritenuto che la Corte di appello di Napoli, con decreto del 15 marzo 2008, ha condannato il Ministero della Economia e delle Finanze a corrispondere a D.M.G. un indennizzo di Euro 3.248, oltre agli interessi legali per l’irragionevole durata di un procedimento in materia di indennità di lavoro notturno iniziato davanti al TAR Campania con ricorso del 12 ottobre 2000, e tuttora pendente, osservando:

a) che il giudizio non avrebbe dovuto durare tre anni; b) che la sua durata aveva quindi ecceduto di altri 4 anni e 4 mesi quella ritenuta dalla CEDU; per cui doveva essere liquidato il danno non patrimoniale in misura equitativa corrispondente a circa Euro 750,00 per anno.

Che il D.M. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso affidato a 10 motivi, con i quali,deducendo violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 6 e 13 della Convenzione CEDU, degli artt. 1223 e 1226 cod. civ., nonchè insufficienza e contraddittorietà della motivazione, ha censurato la decisione: sia durata del processo,sia nella liquidazione del quantum dell’indennizzo, sia infine in ordine alla liquidazione delle processuali,osserva:

A) Che il collegio ritiene, anzitutto di dichiarare inammissibile il primo motivo di ricorso perchè si risolve nella trascrizione di parte del contenuto di alcune decisioni della CEDU, ed in particolar modo della sentenza 29 marzo 2006 della Grande Chambre della Corte in causa Scordino c/Italia, nonchè in un generico addebito alla sentenza impugnata di non averne applicato i principi;

B) Che è infondata la censura relativa alla durata del processo, secondo il ricorrente pari alla intera durata del giudizio, avendo questa Corte ripetutamente tratto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, la regola che nel giudizio di equa riparazione in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, rileva solamente il periodo eccedente il suddetto termine (nel caso stabilito in anni due e mezzo con motivazione congrua dal decreto impugnato), essendo sul punto vincolante il criterio chiaramente stabilito dall’art. 2, comma 3 di detta legge; e che questo parametro di calcolo, che non tiene conto del periodo di durata “ordinario” e “ragionevole”, valorizzato invece dalla Corte di Strasburgo, al principio enunciato dall’art. 111 Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza,non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89, a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sui ricorso n. 36813/97 (Cass. 3716/2008; 8603/2005; 8568/2005).

C) Infondate sono le altre censure in quanto questa Corte ha ripetutamente affermato anche a sezioni unite: 1) che il giudice nazionale “può allontanarsi da un’applicazione rigorosa e formale dei criteri adottati dalla Corte europea”, ma pure conservando un margine di valutazione, non può liquidare somme che non siano in “relazioni ragionevoli con la somma accordata dalla Corte negli affari simili”, restando quindi fermo il suo dovere di “conformarsi alla giurisprudenza della Corte,così accordando somme conseguenti”;

2) che i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea non possono, in conclusione, essere ignorati dal giudice nazionale anche se questi può discostarsi in misura ragionevole dalle liquidazioni effettuate a Strasburgo in casi simili: con conseguente dovere di ufficio del giudice di merito di accertare i casi simili e le eque riparazioni del danno non patrimoniale in essi operate dalla Corte di Strasburgo, avvalendosi al riguardo della collaborazione delle parti, ed in particolare dell’attore, che ha interesse a fornirgli ogni elemento utile alla determinazione del danno nella misura da lui richiesta (come del resto in altra materia consente la L. n. 218 del 1995, nell’accertamento della legge straniera).

Ritenuto che nel caso concreto il provvedimento impugnato non si è attenuto a questi principi avendo liquidato come danno non patrimoniale causato da un giudizio durato oltre 8 anni, in cui ha ravvisato, per quanto interessa il ricorrente, un ritardo di 4 anni, mesi 4, un indennizzo di Euro 3248,00 per l’entità dell’oggetto; e soprattutto per la modestia della posta in gioco.

Questa Corte, infatti, considera che gli elementi suddetti giustifichino uno scostamento rispetto al parametro di mille Euro per anno di non ragionevole durata del processo, ma non al di sotto della soglia di 750,00 Euro, che appare invece alla Corte generalmente adeguato in particolare nei casi in cui la domanda di giustizia risulti accolta in modo definitivo in un ulteriore periodo che non superi quello di altri tre anni, oltre il quale sia invece giustificato ritenere che l’irragionevole durata del processo abbia comunque provocato un pregiudizio risarcibile come danno non patrimoniale nella misura di almeno mille per ogni anno di irragionevole protrazione del processo. Per cui il decreto impugnato si è adeguato a questi parametri poichè per la durata irragionevole del procedimento davanti al TAR (4 anni e 4 mesi) ha liquidato una somma complessiva di Euro 3.248,00.

C) Infondata è anche la censura che verte sul punto del mancato riconoscimento del c.d. bonus, in quanto nella determinazione del risarcimento dovuto, mentre la durata della ingiustificata protrazione del processo è un elemento obiettivo che si presta a misurare e riparare un pregiudizio non patrimoniale tendenzialmente sempre presente ed eguale, l’attribuzione di una somma ulteriore postula che nel caso concreto quel pregiudizio, a causa di particolari circostanze specifiche, sia stato maggiore.

Sicchè, quando il giudice non attribuisce il c.d. bonus e perciò nega che quello specifico pregiudizio ulteriore sia stato sopportato, la critica del punto della decisione non può essere affidata alla sola contraria postulazione che il bonus spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere specifico riguardo alle concrete allegazioni e se del caso alle prove delle allegazioni addotte nel giudizio di merito.

D) La Corte, infine ha già esaminato e dichiarato infondati i dubbi di legittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 2, oggi riproposti dal P.G. (Cfr. Cass. 1354/2008).

Il decreto impugnato va,pertanto, cassato con riguardo alla statuizione in esame; ed assorbiti gli altri motivi relativi alla liquidazione delle spese processuali, poichè non necessitano ulteriori accertamenti, il Collegio deve decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., liquidando al D.M. le spese processuali del giudizio di merito come da dispositivo, in ragione di metà; nonchè quelle del giudizio di legittimità in ragione di 1/3 da distrarre in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra che ha dichiarato di averle anticipate.

L’accoglimento solo in minima parte della originaria richiesta del D.M., pari ad Euro 11375,00 giustifica la compensazione di metà delle spese del giudizio di merito; ed il rigetto dei motivi principali del ricorso induce il Collegio a dichiarare interamente compensati tra le parti i restanti 2/3 di quelli del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., condanna il Ministero della Giustizia a corrispondere a D.M.G. metà delle spese del giudizio di merito liquidate nell’intero in complessivi 775,00, di cui Euro 380,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, ed un terzo delle spese del giudizio di cassazione liquidate nell’intero in Euro 330,00, di cui Euro 230,00 per onorari, unitamente al rimborso forfetario delle spese generali ed agli accessori di legge: da distrarre in favore dell’avv. antistatario Luigi Marra. Dichiara interamente compensata tra le parti la restante metà del giudizio di merito ed i restanti due terzi di quello di legittimità.

Manda alla cancelleria per le comunicazioni di cui alla L. L. n. 89 del 2001, art. 5.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2010

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