Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19321 del 22/09/2011

Cassazione civile sez. trib., 22/09/2011, (ud. 11/05/2011, dep. 22/09/2011), n.19321

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SEGGIOVIE DI CHIOMONTE SRL, in persona del Presidente e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G.

FERRARI 11 presso lo studio dell’avvocato VALENZA DINO, che lo

rappresenta e difende giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

sul ricorso 91-2007 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

empore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente inc.le –

contro

SEGGIOVIE DI CHIOMONTE SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1316/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 13/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato VALENZA DINO, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale, il rigetto dell’incidentale;

udito per il resistente l’Avvocato PISANA CARLO MARIA, che ha chiesto

il rigetto del ricorso principale, in subordine l’accoglimento

dell’incidentale.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, assorbito quello incidentale.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. La società Seggiovie di Chiomonte s.r.l. propone ricorso per cassazione nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze (che resiste con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale, successivamente illustrato da memoria) e avverso la sentenza con la quale, in controversia introdotta dalla società al fine di sentirsi dichiarare esente dall’imposta erariale sull’energia elettrica e dalle imposte addizionali, con diritto alla ripetizione di tutte le somme corrisposte a tale titolo fin dal 1989, la C.T.R. Piemonte dichiarava non dovuto il rimborso richiesto.

In particolare, per quel che in questa sede ancora rileva, i giudici d’appello rigettavano il primo motivo d’appello del Ministero, ritenendo di poter ricomprendere nel genus funivie anche gli impianti di sciovie e seggiovie e quindi confermando la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva riconosciuto l’esenzione della società dall’imposta sul consumo dell’energia elettrica, ed escludevano inoltre che la “denuncia d’officina” fosse configurabile come requisito inderogabile per l’applicazione dell’esenzione in discorso, tuttavia affermavano che nella specie non era stata fornita la prova del quantum del rimborso richiesto, essendosi all’uopo fatto esclusivo riferimento alla somma indicata dal c.t.u. senza considerare tra l’altro che lo stesso consulente aveva chiarito che la cifra indicata derivava da “conteggi di ripiego, che certo non hanno la caratteristica della certezza ma rivestono un carattere di pura presunzione”.

2. Deve innanzitutto essere disposta la riunione dei due ricorsi siccome proposti avverso la medesima sentenza.

Col primo motivo del ricorso principale, deducendo insufficienza e contraddittorietà della motivazione, la società ricorrente si duole che i giudici d’appello, pur avendo riconosciuto che l’attività esercitata dalla società era ricompres tra quelle non soggette all’imposta sul consumo dell’energia elettrica, avevano ritenuto che la società non avesse provato la quantità di energia impiegata negli usi non soggetti imposizione nell’ambito di quella consumata in totale, senza però fornire adeguata motivazione in proposito, in particolare senza considerare il metodo di calcolo utilizzato dal c.t.u. per determinare detti consumi e senza considerare che, avendo gli stessi giudici d’appello escluso la necessità della denuncia d’officina e dei contatori separati -che avrebbero potuto fornire la prova diretta dell’ammontare dei consumi-, e non escludendo la legge la prova presuntiva in materia, tale prova avrebbe dovuto in ogni caso essere valutata.

Inoltre, secondo la ricorrente i giudici d’appello non avrebbero potuto rigettare totalmente la domanda di rimborso, posto che l’amministrazione, pur contestando la pretesa avanzata dalla società, aveva comunque elaborato dei conteggi affermando di dovere una somma molto minore di quella richiesta. Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727 c.c., la ricorrente principale si duole che i giudici d’appello abbiano rigettato la domanda della società escludendo che la stessa potesse dare per presunzioni la prova dell’ammontare del rimborso richiesto, e ciò in contrasto col principio di libertà della prova.

I motivi sopra esposti, da esaminare congiuntamente perchè logicamente connessi, sono infondati.

Giova innanzitutto evidenziare che nella specie non e ravvisabile la denunciata violazione degli artt. 2697 e 2727 c.c., posto che i giudici d’appello non hanno in diritto escluso che la prova in esame potesse essere data per presunzioni ma hanno affermato che nelle specie la prova della quantum del rimborso richiesto non era stata fornita. I suddetti giudici non hanno pertanto affermato un erroneo principio di diritto, ma hanno compiuto un accertamento in fatto e una valutazione in concreto del materiale probatorio in atti.

In proposito, è sufficiente rilevare che, secondo la univoca giurisprudenza di questo giudice di legittimità, la valutazione delle prove, unitamente al controllo sulla loro attendibilità e concludenza, e alla scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, è rimessa al giudice del merito ed è sindacabile in cassazione solo sotto il profilo della adeguatezza e congruità della motivazione (v. tra numerose altre cass. n. 14972 del 2006) ed inoltre che spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (v. tra le altre cass. n. 10847 del 2007).

Tanto premesso, occorre innanzitutto evidenziare che nella specie la censura di contraddittorietà della motivazione è infondata, posto che i giudici d’appello hanno escluso che la mancata ottemperanza alle prescrizioni di cui al d.lgs. n. 504 del 1995, artt. 53 e 55, comma 8 – riguardanti, rispettivamente, la preventiva denuncia di officina elettrica e l’applicazione degli speciali congegni di sicurezza o di apparecchi atti ad impedire l’impiego di energia elettrica a scopo diverso da quello dichiarato – produca effetti preclusivi del diritto alle esenzioni o alle agevolazioni previste dallo stesso d.lgs., tuttavia non contraddittoriamente hanno ribadito che tale diritto può essere esercitato solo ove il richiedente il rimborso dimostri la quantità di energia impiegata per usi esenti, ciò peraltro in sintonia con la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, secondo la quale l’adempimento degli oneri suddetti non costituisce “condicio sine qua non” per il sorgere del diritto, che può comunque essere utilmente esercitato ove si dia la dimostrazione, con gli altri mezzi istruttori predisposti dalla legge -diversi, quindi, dagli accorgimenti tecnici previsti dal detto testo unico-, delle quantità di energia impiegata, rispettivamente, per usi soggetti ad imposta e per usi esenti (v. casa. n. 12431 del 2007 e n. 12589 del 2004).

Quanto alla censura di insufficienza della motivazione, essa è inammissibile – prima che infondata- per genericità e difetto di autosufficienza, posto che non vengono specificamente individuati, tantomeno in maniera autosufficiente, fatti decisivi asserìtamente trascurati dai giudici d’appello nella valutazione delle prove e neppure singoli elementi indiziari la cui mancata considerazione (singolarmente e complessivamente) sia stata tale da determinare l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio.

Quanto infine al rilievo (contenuto nel primo motivo) secondo il quale la domanda di rimborso non poteva essere rigettata perchè il consulente dell’amministrazione aveva quantificato in L. 1.006.600 i versamenti rimborsabili, occorre rilevare che dalla sentenza impugnata risulta che l’amministrazione sia in primo grado che in appello contestò integralmente, sotto vari profili, la debenza del rimborso richiesto, laddove il ct. dell’amministrazione nella sua consulenza affermò che per il presunto consumo di energia elettrica negli usi esenti l’importo rimborsabile sarebbe ammontato a complessive L. 1.006.600, pari a Euro 519,87. Non vi è stato pertanto alcun riconoscimento parziale da parte dell’amministrazione delle ragioni della contribuente, ma solo una ipotesi di calcolo presuntivo proposta dal consulente di parte. Peraltro, la mancata considerazione di una parziale accettazione della domanda e/o riduzione dell’ambito controverso avrebbe dovuto essere denunciata come error in procedendo e non come vizio di motivazione.

Ove invece il rilievo in esame sia stato inteso ad evidenziare un vizio di motivazione in relazione alla mancata considerazione delle conclusioni del ctp del Ministero, è appena il caso di sottolineare che, prescindendo da ogni altra considerazione, per consentire di valutare la decisività di un elemento del quale si lamenta l’omessa considerazione, occorre che questo elemento sia dedotto in maniera autosufficiente nella sua integrità e nel suo contesto, posto che, secondo la costante giurisprudenza di questo giudice di legittimità, il controllo della congruità e logicità della motivazione, al fine del sindacato di legittimità su un apprezzamento di fatto del giudice di merito, postula la specificazione da parte del ricorrente -se necessario, attraverso la trascrizione integrale nel ricorso- della risultanza che egli assume decisiva e non valutata o insufficientemente valutata dal giudice, perchè solo tale specificazione consente al giudice di legittimità – cui è precluso, salva la denuncia di “errar in procedendo”, l’esame diretto dei fatti di causa – di deliberare la decisività della risultanza non valutata (v. tra le altre cass. n. 6679 del 2006).

3. Il ricorso principale deve essere pertanto rigettato, con assorbimento del ricorso incidentale. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito l’incidentale e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2011

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