Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19320 del 10/09/2010

Cassazione civile sez. I, 10/09/2010, (ud. 25/05/2010, dep. 10/09/2010), n.19320

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28800/2008 proposto da:

G.S. (c.f. (OMISSIS)), domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARRA Alfonso Luigi,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

10/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/05/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso come da verbale di udienza.

 

Fatto

FATTO E MOTIVI

Ritenuto che la Corte di appello di Napoli, con decreto del 10 aprile 2008, ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri a corrispondere a G.S. un indennizzo di Euro 6.400,00, oltre agli interessi legali per l’irragionevole durata di un procedimento in materia di indennità di fine rapporto ed accessori iniziato davanti al TAR Campania con ricorso del 22 giugno 1996, definito con sentenza del 31 maggio 2007, osservando: a) che il giudizio non avrebbe dovuto durare più circa tre anni; b) che la sua durata aveva quindi ecceduto di altri 8 anni quella ritenuta dalla CEDU; per cui doveva essere liquidato il danno non patrimoniale in misura equitativa corrispondente ad Euro 800,00 per anno.

Che la G. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso affidato a 13 motivi, con i quali, deducendo violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 6 e 13 della Convenzione CEDU, degli artt. 1223 e 1226 cod. civ., nonchè insufficienza e contraddittorietà della motivazione, ha censurato la decisione: sia nel calcolo della durata ragionevole del processo, che nella liquidazione del quantum, sia infine in ordine alla compensazione delle spese processuali, osserva:

A) Che il collegio ritiene, anzitutto di dichiarare inammissibile il primo motivo di ricorso perchè si risolve nella trascrizione di parte del contenuto di alcune decisioni della CEDU, ed in particolar modo della sentenza 29 marzo 2006 della Grande Chambre della Corte in causa Scordino c/Italia, nonchè in un generico addebito alla sentenza impugnata di non averne applicato i principi;

B) Che è infondata la censura relativa alla durata del processo, secondo i ricorrenti pari alla intera durata del giudizio, avendo questa Corte ripetutamente tratto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, la regola che nel giudizio di equa riparazione in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, rileva solamente il periodo eccedente il suddetto termine, essendo sul punto vincolante il criterio chiaramente stabilito dall’art. 2, comma 3 di detta legge; e che questo parametro di calcolo, che non tiene conto del periodo di durata “ordinario” e “ragionevole”, valorizzato invece dalla Corte di Strasburgo, al principio enunciato dall’art. 111 Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza, non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte Europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97 (Cass. 3716/2008;8603/2005; 8568/2005).

C) Che devono invece essere parzialmente accolte le altre censure in quanto questa Corte ha ripetutamente affermato anche a sezioni unite:

1) che il giudice nazionale “può allontanarsi da un’applicazione rigorosa e formale dei criteri adottati dalla Corte Europea”, ma pure conservando un margine di valutazione, non può liquidare somme che non siano in “relazioni ragionevoli con la somma accordata dalla Corte negli affari simili”, restando quindi fermo il suo dovere di “conformarsi alla giurisprudenza della Corte, così accordando somme conseguenti”; 2) che i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte Europea non possono, in conclusione, essere ignorati dal giudice nazionale anche se questi può discostarsi in misura ragionevole dalle liquidazioni effettuate a Strasburgo in casi simili: con conseguente dovere di ufficio del giudice di merito di accertare i casi simili e le eque riparazioni del danno non patrimoniale in essi operate dalla Corte di Strasburgo, avvalendosi al riguardo della collaborazione delle parti, ed in particolare dell’attore, che ha interesse a fornirgli ogni elemento utile alla determinazione del danno nella misura da lui richiesta (come del resto in altra materia consente la L. n. 218 del 1995 nell’accertamento della legge straniera).

Ritenuto che nel caso concreto il provvedimento impugnato non sì è attenuto a questi principi avendo liquidato come danno non patrimoniale causato da un giudizio durato circa 11 anni, in cui ha ravvisato, per quanto interessa il ricorrente, un ritardo pari ad anni 8, un indennizzo di Euro 6.400,00 per l’entità dell’oggetto;

per la modestia della posta in gioco, e per il ritardo con cui è stata presentata l’istanza di prelievo.

Questa Corte, infatti, considera che gli elementi suddetti giustifichino uno scostamento rispetto al parametro di mille Euro per anno di non ragionevole durata del processo, ma non al di sotto della soglia di 750,00 Euro, che appare invece alla Corte generalmente adeguato in particolare nei casi – come quello in considerazione – in cui la domanda di giustizia risulti accolta in modo definitivo in un ulteriore periodo che non superi quello di altri tre anni, oltre il quale sia invece giustificato ritenere che l’irragionevole durata del processo abbia comunque provocato un pregiudizio risarcibile come danno non patrimoniale nella misura di almeno mille per ogni anno di irragionevole protrazione del processo.

D) Infondata è infine anche la censura che verte sul punto del mancato riconoscimento del c.d. bonus, in quanto nella determinazione del risarcimento dovuto, mentre la durata della ingiustificata protrazione del processo è un elemento obiettivo che si presta a misurare e riparare un pregiudizio non patrimoniale tendenzialmente sempre presente ed eguale, l’attribuzione di una somma ulteriore postula che nel caso concreto quel pregiudizio, a causa di particolari circostanze specifiche, sia stato maggiore. Sicchè, quando il giudice non attribuisce il c.d. bonus e perciò nega che quello specifico pregiudizio ulteriore sia stato sopportato, la critica del punto della decisione non può essere affidata alla sola contraria postulazione che il bonus spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere specifico riguardo alle concrete allegazioni e se del caso alle prove delle allegazioni addotte nel giudizio di merito.

Il decreto impugnato va, pertanto, cassato in relazione alle censure accolte; e poichè non necessitano ulteriori accertamenti il Collegio deve decidere nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., liquidando alla G. un indennizzo che tuttavia dati gli elementi avanti evidenziati, dalla Corte di appello, viene determinato in misura inferiore allo standard minimo indicato dalla Corte Edu di Euro 1000,00 per anno in base al parametro minimo di Euro 750,00, per i primi tre anni di ritardo: ed in Euro 1000,00 per ciascuno di quelli residui: e perciò nella misura complessiva di Euro 7.250,00, con gli interessi legali dalla data della domanda giudiziale; nonchè a rifondere al ricorrente le spese processuali. Attesa la sproporzione tra la somma richiesta e quella effettivamente liquidata, il Collegio ritiene di compensare tra le parti, la metà di quelle del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri a corrispondere a G.S. la somma di Euro 7.250,00 con gli interessi dalla data della domanda; la condanna inoltre al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito in complessivi Euro 1140,00, di cui Euro 600,00 per diritti e Euro 490,00 per onorari, e di metà delle spese del giudizio di cassazione liquidate nell’intero in Euro 525,00, di cui Euro 425,00 per onorari, unitamente al rimborso forfetario delle spese generali ed agli accessori di legge: da distrarre in favore dell’avv. antistatario Luigi Marra. Dichiara interamente compensata tra le parti la restante metà.

Manda alla cancelleria per le comunicazioni di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2010

 

 

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