Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1932 del 28/01/2020

Cassazione civile sez. III, 28/01/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 28/01/2020), n.1932

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15100/2018 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BOEZIO N.

92, presso lo studio dell’avvocato MONICA SCONGIAFORNO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ELISABETTA ORICOLI;

– ricorrente –

contro

F.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VITTORIO EMANUELE

II 18, presso lo studio dell’avvocato GIAN MARCO GREZ, rappresentata

e difesa dall’avvocato TEOBALDO TASSOTTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2579/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 13/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/11/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Vicenza, con sentenza n. 478/2010, condannava F.W. a rimborsare, nella misura di 1/6 – corrispondente alla quota gravante sulla coerede: Euro 1.680,30 – della intera somma pari all’importo di Euro 9.843,13 anticipato all’Erario, in data 23.12.2005 dalla sorella F.G., a titolo di pagamento delle tasse di registrazione della sentenza n. 416/2002 resa dal Tribunale di Bassano del Grappa che, definendo la divisione del compendio ereditario, aveva accertato la lesione della quota della legittimaria F.W. – alla quale veniva attribuito un bene immobile ricadente nell’asse e la somma di Euro 5.134,23 a titolo di conguaglio-, e dunque a titolo di pagamento della imposta di registro oltre alle altre imposte di bollo, ipotecaria e catastale, ed alle soprattasse, sanzioni pecuniarie e interessi di mora.

La Corte di appello di Venezia, adita da F.G., confermava la decisione di prime cure rilevando che la sentenza di divisione era stata resa nell’interesse di tutti i coeredi condividenti e dunque gli oneri di registrazione non potevano che gravare pro quota su ciascun erede.

La sentenza, non notificata, è stata impugnata da F.G. con ricorso per cassazione affidato a due motivi ed illustrato da memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Resiste con controricorso F.W..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Primo motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 1298,1299 e 1475 c.c.; degli artt. 112 e 115 c.p.c., e dell’art. 91 c.p.c., e ss.; nonchè omessa insufficiente motivazione circa un fatto controverso ed omessa considerazione delle prove su un fatto decisivo ()art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Assume la ricorrente che operando esclusivamente a favore della legittimaria le statuizioni della sentenza n. 416/2002 del Tribunale di Bassano del Grappa, avendo la stessa ricevuto la proprietà del bene immobile e l’attribuzione della somma dovuta a conguaglio, ne seguiva che, ferma la responsabilità solidale dei coeredi verso il Fisco D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 57, nei rapporti interni doveva applicarsi la regola generale della ripartizione delle quote tra i coobbligati solidali salvo che l’obbligazione sia stata contratta nell’interesse esclusivo di uno di essi, come nella specie sarebbe accaduto, con conseguente diritto della ricorrente ad esercitare il diritto di regresso per l’intera somma versata all’Erario.

La tesi difensiva della controricorrente si fonda sull’assunto che, poichè la sentenza provvedeva in materia di reintegrazione della quota ereditaria del legittimario e dichiarava lo scioglimento della comunione tra i coeredi, ove fosse stata correttamente applicata la imposta di registro, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 34, l’aliquota sarebbe stata solo dell’1% (art. 8, comma 1, lett. c della Tariffa, Parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986) e non del 15%, con la conseguenza che non vi era ragione per riformare la decisione adottata dai Giudice di merito.

Tale assunto, peraltro inadeguatamente argomentato (non è dato comprendere perchè, infatti, la ripartizione dell’onere pro quota di 1/6 della imposta liquidata in base all’aliquota del 15%, debba ritenersi equivalente alla ipotesi prospettata della applicazione del medesimo onere pro capite ma su una imposta calcolata invece sull’aliquota del 1%), non può però condividersi perchè viene a mettere in discussione ciò che avrebbe dovuto essere fatto valere con apposito motivo di impugnazione, atteso che i Giudici di merito hanno esaminato la questione sollevata da F.W. secondo cui non potevano essere alla stessa addebitate anche i maggiori importi dovuti alla errata liquidazione della imposta, agli interessi ed alle sanzioni per il ritardo, posto che neppure la legittimaria aveva provveduto tempestivamente a pagare la imposta “di guisa che sanzioni e interessi per il ritardo dovevano imputarsi a tutti i coeredi”. Tale statuizione non è stata investita con rituale appello incidentale, come puntualmente rilevato dalla Corte territoriale che ha rilevato la decadenza di cui all’art. 343 c.p.c., comma 1, (sentenza appello, in motivazione pag. 5), e dunque non può più essere fatta valere in sede di legittimità.

Rimane, allora, da verificare in che modo debba essere applicata la ripartizione tra i coeredi del debito tributario e di registrazione della sentenza n. 416/2002, tenuto conto, che la ricorrente intende traslare l’intero carico della imposta sulla legittimaria, prospettando la applicazione analogica della disposizione dell’art. 1475 c.c., dettata in tema di contratto di vendita, in quanto alla stregua di tale atto traslativo è stato considerato – pure se erroneamente, ma con avviso di liquidazione ormai definitivo – dall’Ufficio del Registro, l’effetto attributivo dell’immobile prodotto dalla sentenza del Tribunale, richiamando all’uopo il precedente di questa Corte Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 473 del 11/01/2017 secondo cui “Qualora la parte, in favore della quale sia stato giudizialmente pronunciato l’acquisto della proprietà di un bene immobile per usucapione, abbia provveduto a pagare l’imposta di registro afferente al conseguente trasferimento immobiliare, la stessa non può agire in regresso nei confronti delle altre parti processuali, condebitrici solidali nei confronti dell’amministrazione finanziaria, D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 57, a ciò ostando la previsione contenuta nell’art. 1298 c.c., norma applicabile anche alle obbligazioni solidali sorte “ex lege”, versandosi in presenza di obbligazione tributaria assunta nell’esclusivo interesse di chi ha usucapito. Nè rileva, in senso contrario, l’eventuale compensazione giudiziale delle spese di lite, che non riguarda gli esborsi ancora da erogare, come quelle di registrazione della sentenza”.

Osserva il Collegio che la questione se la legittimaria sia onerato pro quota o per l’intero del carico fiscale, derivi evidentemente dall’inquadramento della fattispecie di diritto sostanziale che la sentenza n. 416/2002 è intervenuta a regolare, non assumendo a tal fine rilievo vincolante per il Giudice la qualificazione operata dall’Ufficio del Registro esclusivamente ai fini della individuazione dell’aliquota applicabile per la liquidazione dell’ammontare della imposta.

Nella specie la Corte d’appello ha ritenuto che dalla sentenza 19.6.2002 del Tribunale di Bassano del Grappa risultava il coinvolgimento di tutti i coeredi e che con la assegnazione del terreno agricolo alla legittimaria pretermessa, quel Giudice aveva “definito una divisione ereditaria” in quanto aveva dovuto riconsiderare il valore dell’intero asse ereditario e rideterminare le quote di ciascun erede.

Orbene tala accertamento in fatto non è oggetto di specifica critica da parte della ricorrente che ha omesso, in violazione della prescrizione dettata dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, di riportare il contenuto motivazionale della sentenza in questione, essendo a tal fine del tutto inidonee le brevi proposizioni estratte dalla sentenza (cfr. pag. 6 ed 8 ricorso), impedendo in tal modo a questa Corte di compiere il sindacato di legittimità volto a verificare l’asserito errore commesso dal Giudice di appello nel definire il “thema controversum” deciso dal Tribunale di Bassano del Grappa.

Il primo motivo non può accedere, pertanto, al sindacato di legittimità, in quanto non rispetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che è volto a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio e può ritenersi soddisfatto, senza necessità che esso dia luogo ad una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi, soltanto laddove il contenuto del ricorso consenta al Giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 11653 del 18/05/2006; id. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 16103 del 02/08/2016).

Secondo motivo: violazione art. 112 c.p.c., vizio di ultrapetizione ed extra petizione; errata qualificazione come alternativa della domanda subordinata; nullità della sentenza per vizio di ultrapetizione od extrapetizione.

Il motivo è inammissibile.

La ricorrente censura l’uso della locuzione “domanda alternativa” che la Corte d’appello ha riportato nella motivazione della sentenza laddove viene riferito che “accogliendo la domanda alternativa il tribunale ha implicitamente escluso che l’intera imposta….dovesse essere interamente imputata a F.W…..”.

Viene quindi impugnato un passaggio motivazionale privo di qualsiasi natura ed efficacia decisoria, non costituendo all’evidenza un capo autonomo della sentenza, nè essendo stato utilizzato quale “ratio decidendi” posta a fondamento della sentenza impugnata. Tutta l’argomentazione (in gran parte, peraltro, limitata alla riproduzione di massime giurisprudenziali) svolta nella esposizione del motivo di ricorso al fine di distinguere l’ambito strutturale -e gli effetti processuali- delle domande subordinate e delle domande formulate in via alternativa, è dunque inidonea ad evidenziare un vizio processuale della sentenza impugnata, poichè non la Corte d’appello non ha deciso in base alle conseguenze processuali da attribuire in caso di accoglimento in primo grado della domanda “alternativa” (in tal caso infatti avrebbe dovuto concludere per la inammissibilità dell’appello), ma ha invece deciso nel merito la domanda di regresso per l’intero, proposta in via principale da F.G., insussistendo dunque la dedotta eccedenza od estraneità della pronuncia dai limiti imposti dalla “res judicanda”.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, e la parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2020

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