Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19315 del 18/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/07/2019, (ud. 04/04/2019, dep. 18/07/2019), n.19315

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. BILLI Stefania – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 926-2013 proposto da:

P.L., con domicilio eletto in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’Avvocato FABIO

PACE, giusta procura a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE COLOGNE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA G.G. BELLI 27, presso lo studio

dell’avvocato GIACOMO MEREU, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MASSIMILIANO BATTAGLIOLA, giusta procura in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 178/2012 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

BRESCIA, depositata il 29/08/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIOVANNI GIACALONE, che ha concluso per il rigetto;

udito per il ricorrente l’Avvocato De SANTIS per delega dell’Avvocato

PACE che si riporta.

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.L. impugnava, con separati ricorsi, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Brescia, cinque avvisi di accertamento per ICI, relativi agli anni di imposta 2003, 2004, 2005, 2006,2007, con cui veniva contestata una maggiore imposta, oltre interessi e sanzioni, assumendo il difetto di motivazione ed il mancato riconoscimento del carattere rurale dei fabbricati strumentali all’esercizio dell’attività agricola. L’ente comunale contestava la sussistenza dei presupposti per il regime agevolativo, ritenendo la mancanza di prova dell’utilizzo degli immobili da parte dell’imprenditore agricolo. La contribuente deduceva, invece, l’irrilevanza del titolo, assumendo che i fabbricati erano strumentali all’attività agricola esercitata dalla società semplice esistente tra i coniugi P.L. e B.E.. L’adita Commissione, con sentenza n. 93/10/11, accoglieva i ricorsi riuniti, atteso che emergeva la destinazione dell’immobile all’attività svolta “dal sodalizio impressa dal socio”. La sentenza veniva appellata dall’ente comunale innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, e dalla contribuente, con appello incidentale, in ordine alla compensazione delle spese di lite. I giudici di appello accoglievano il gravame con sentenza n. 178/63/12, rigettando il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente. P.L. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi, illustrati con memorie. Il Comune di Cologne si è costituito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata denunciando omessa motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sul punto controverso decisivo per il giudizio consistente nella violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, per non avere l’Ufficio individuato in maniera chiara ed intellegibile i fabbricati oggetto di accertamento. La contribuente lamenta di avere eccepito con l’appello incidentale la “mancata risposta al petitum del ricorso introduttivo nei punti: a) nullità dell’avviso di accertamento perchè sfornito di adeguata motivazione per indeterminatezza e intellegibilità (rilievi 1 e 2 del ricorso introduttivo)”, mentre i giudici di secondo grado non avrebbero preso in esame detta doglianza, omettendo qualsiasi pronuncia sul punto.

1.1. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, oltre che per difetto di autosufficienza. Si legge nella motivazione della sentenza impugnata che l’appello incidentale è stato proposto esclusivamente “in ordine alla compensazione delle spese statuita dai primi giudici”, nessun riferimento viene riportato nella motivazione della pronuncia impugnata ad altri motivi di gravame. Questa Corte ha precisato, con indirizzo condiviso, che in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, e riportarne nel ricorso il completo contenuto, non essendo sufficienti stralci dell’atto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, “essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili d’ufficio” (Cass. n. 20694 del 2018, Cass. n. 15430 del 2018); dovendosi rilevare, altresì, che, contravvenendo al dovere di autosufficienza, parte ricorrente ha omesso di riportare nel ricorso il contenuto dell’atto impugnato, al fine di consentire alla Corte di valutare la decisività delle dedotte doglianze, secondo l’indirizzo espresso da questa Corte, a cui si intende dare continuità: “In tema di contenzioso tributario, è inammissibile, per difetto di autosufficienza, il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avverso la sentenza che abbia ritenuto correttamente motivato l’atto impositivo, qualora non sia trascritta la motivazione di quest’ultimo, precludendo, pertanto, al giudice di legittimità ogni valutazione” (Cass. n. 2928 del 2015, Cass. n. 16147 del 2017).

2.Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata denunciando violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 bis, nella parte in cui la sentenza impugnata afferma che “il sistema normativo e segnatamente il D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, è nel senso che l’esenzione attiene ad immobili con le caratteristiche della ruralità in quanto posseduti dal proprietario o da terzi, in tal caso in forza di un titolo che, come si desume dall’art. citato, comma 7, va registrato e, quindi, necessariamente deve avere la forma scritta”, atteso che l’esenzione ICI ai fabbricati per i quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui al D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 bis, non richiede la sussistenza di un particolare titolo di utilizzo nè richiede che ci sia una coincidenza soggettiva tra chi esercita e chi è proprietario delle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola. Ai fini fiscali sarebbe richiesto unicamente l’utilizzo delle costruzioni strumentali per lo svolgimento dell’attività agricola risultando del tutto irrilevante la valutazione circa la forma del conferimento in capo al soggetto utilizzatore.

2.2. Il motivo è infondato.

Ai sensi della L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 bis, “Ai fini fiscali deve riconoscersi carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola di cui all’art. 2135 c.c.”, si dispone ai sensi dell’art. 3 ter che “Le porzioni di immobili di cui al comma 3 bis, destinate ad abitazione, sono censite in catasto, autonomamente, in una delle categorie del gruppo A”. Ai sensi del comma 7 “I contratti di cui al comma 3, lett. b), già in atto alla data in vigore del presente decreto, sono registrati entro il 30 aprile 1994. Tale registrazione è esente da imposta di registro”. Il comma 3, lett. b) (abrogata dal D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito con modificazioni dalla L. 29 novembre 2007, n. 222), ratione temporis applicabile (anni di imposta dal 2003 al 2007) sul riconoscimento della ruralità degli immobili agli effetti fiscali disponeva: ” L’immobile deve essere utilizzato, quale abitazione o per funzioni strumentali all’attività agricola, dai soggetti di cui alla lett. a), sulla base di un titolo idoneo, ovvero da dipendenti esercitanti attività agricole nella azienda a tempo indeterminato o a tempo determinato per un numero annuo di giornate lavorative superiore a cento, assunti nel rispetto della normativa in materia di collocamento”.

Con riferimento agli immobili strumentali, questa Corte ha affermato il principio, a cui si intende dare continuità, secondo cui: “In tema di ICI, ai fini del trattamento esonerativo rileva l’oggettiva classificazione catastale del cespite, per cui l’immobile iscritto come “rurale”, con attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), non è soggetto all’imposta, ai sensi del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 – bis, (conv. con modif., dalla L. n. 14 del 2009) e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), mentre, ove esso sia iscritto in una diversa categoria catastale, è onere del contribuente, che pretenda l’esenzione, impugnare l’atto di classamento per la ruralità del fabbricato, restandovi, altrimenti, quest’ultimo assoggettato” (Cass. n. 16737 del 2015, Cass., n. 11588 del 2017). Specificamente, in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI) le Sezioni Unite, sentenza n. 18565 del 2009 hanno statuito che: “l’immobile che sia stato iscritto nel catasto fabbricati come rurale, con l’attrizione della relativa categoria (A/6 e D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, conv. con L. n. 133 del 1994 e successive modificazioni, non è soggetto all’imposta ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 14 del 2009 e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a)… l’attribuzione all’immobile di una diversa categoria catastale deve essere impugnata specificamente dal contribuente che pretenda la non soggezione all’imposta per la ritenuta ruralità del fabbricato, restando altrimenti quest’ultimo assoggettato ad ICI: allo stesso modo il Comune dovrà impugnare l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10 al fine di potere legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta… tra i predetti requisiti, per gli immobili strumentali, non rileva l’identità tra titolare del fabbricato e titolare del fondo, potendo la ruralità essere riconosciuta anche agli immobili delle cooperative che svolgono attività di manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli conferiti ai soci”.

Ai fini del riconoscimento della ruralità ai fini fiscali delle costruzioni dopo la prima catalogazione della L. n. 557 del 1993 che differenzia i requisiti tra abitazioni ed immobili strumentali per uso diverso, nell’ambito delle unità immobiliari a destinazione abitativa, una secondd macroclassificazione può essere fatta tra requisiti soggettivi e requisiti oggettivi. Tra i requisiti soggettivi, va precisato che utilizzatore, tra cui il proprietario o il titolare di un diritto reale sul terreno, o l’affittuario che conduca il fondo, o il soggetto che altro titolo conduca il terreno cui l’immobile è asservito, familiari conviventi ecc. deve risultare da un titolo idoneo, di cui la legge dispone l’obbligo di registrazione entro il 30 aprile 1994.

Ne consegue che occorre una prova documentale dalla quale si evinca con chiarezza il soggetto che utilizza il bene immobile, consentendo quindi il confronto con la categoria di soggetti ammessa.

2.3. Nella fattispecie si legge nella motivazione della sentenza impugnata che: “l’appellante non contesta l’effettivo esercizio dell’attività agricola da parte della società semplice P.L. e B.E., nè la qualità di coltivatore diretto di quest’ultimo, contesta, invece, come si è sopra detto, la validità formale del titolo mancando del conferimento la prova per iscritto, prova che sarebbe comunque richiesta anche per il solo utilizzo, quand’anche si ritenesse questo sufficiente per la fruizione del beneficio. ”

Orbene, in ragione dei rilievi sopra espressi, la Commissione Tributaria Regionale ha correttamente escluso nella fattispecie la sussistenza del beneficio, non essendo stato provato nel corso del giudizio l’esistenza di un titolo, regolarmente registrato ai sensi delle disposizioni vigenti, da quale desumere che gli immobili erano utilizzati dalla società semplice P.L. e B.E., di cui solo quest’ultimo, non è contestato, era imprenditore agricolo. Ciò al fine di consentire anche all’Amministrazione finanziaria la verifica della strumentalità dell’immobile all’attività agricola della società semplice, che ha assunto nel corso del giudizio di utilizzarli.

3. Con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sul punto controverso decisivo per il giudizio consistente nella violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2 e della L. 212 del 2000, art. 7, comma 1, per non avere l’Ufficio individuato in maniera chiara ed intellegibile i terreni agricoli oggetto d’accertamento.

4. Con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per omessa motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sull’applicazione alla fattispecie in esame del D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, comma 3 bis, atteso che i giudici di appello, pur richiamando genericamente l’applicazione del D.L. n. 557 del 1993, art. 9, di fatto, escluderebbero il beneficio fiscale in capo alla contribuente, invocando esclusivamente il contenuto dell’art. 9, comma 3 e non già quello del comma 3 bis dedotto dalla stessa, con la conseguenza che la sentenza sarebbe viziata per omessa motivazione circa l’applicazione di una norma in realtà non attinente alla fattispecie in esame.

5. Con il quinto motivo si denuncia omessa motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sul punto controverso decisivo per il giudizio consistente nella violazione della L. n. 383 del 2001, art. 15, comma 2, per avere il Comune sanzionato l’omessa dichiarazione degli immobili per i quali non vi era obbligo di dichiarazione. Parte ricorrente deduce che sia in sede di ricorso di primo grado che nell’appello incidentale, avrebbe eccepito la violazione della L. n. 383 del 2001, art. 15, comma 2, nella parte in cui dispone che per gli immobili inclusi nella dichiarazione di successione l’erede e i legatari non sono obbligati a presentare la dichiarazione ai fini dell’imposta comunale sugli immobili.

6. Con il sesto motivo si censura la sentenza impugnata, denunciando omessa motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sul punto controverso decisivo per il giudizio consistente nella errata applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a) e art. 10, comma 4, per avere il Comune assoggettato all’imposta comunale sugli immobili, i fabbricati rurali che il D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1, bis, considera non fabbricati nonchè per avere sanzionato l’omessa dichiarazione.

Parte ricorrente deduce che nell’appello incidentale avrebbe eccepito “la mancata risposta al petitum del ricorso introduttivo nei punti… nullità dell’avviso di accertamento perchè in esso viene sanzionata l’omessa dichiarazione di immobili per i quali non vi era obbligo di dichiarazione (rilievi 4 e 5 del ricorso introduttivo”, i giudici di secondo grado avrebbero omesso ogni pronuncia sul punto.

7. Il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo di ricorso sono inammissibili, per difetto di specificità, oltre che per difetto di autosufficienza, per le ragioni ampiamente illustrate al punto 1.1. della motivazione a cui si fa integrale riferimento.

8. In definitiva, il ricorso va rigettato. Nulla va disposto per le spese di lite, in ragione della inammissibilità del controricorso per tardività.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

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