Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1931 del 28/01/2020

Cassazione civile sez. III, 28/01/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 28/01/2020), n.1931

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10499-2018 proposto da:

TGN DI M.F.T. & CO SAS, in persona del legale

rappresentante M.F.G.P., domiciliata ex lege in ROMA,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANTONIO BERTOLI;

– ricorrente –

contro

FGF INDUSTRY SPA, in persona del legale rappresentante

F.V., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE

DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato SIMONETTA

PASQUALINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 170/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 25/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/11/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Venezia con sentenza 25.1.2018 n. 170, confermava integralmente la decisione di prime cure – che aveva accolto la opposizione proposta da FGF Industry s.p.a. revocando il decreto ingiuntivo per Euro 491.041,19 emesso a favore di TGN di M.F.T. & C. s.a.s. e relativo a corrispettivi contrattuali -, rigettando l’appello proposto dal creditore monitorio.

La Corte territoriale rilevava che in data 1.9.2005 era stato stipulato tra FGF e la ditta Active Way di T.N. (non T.A., come erroneamente riportato in sentenza) un contratto (sottoscritto da M.F.G.) avente ad oggetto attività di consulenza – relativa a controllo di qualità di capi di abbigliamento – per l’anno 2006; che nel 2007 la medesima FGF aveva stipulato analogo contratto verbale con Trousers s.r.l. (di cui era rapp.te legale M.F.G.) e quindi altro accordo sottoscritto nel 2008; che le “fatture a percentuale su tutti i costi” oggetto dell’importo ingiunto con il decreto erano state emesse dalla società TGN (di cui era rapp.te legale M.F.T.).

Tanto premesso, il Giudice di appello accertava che FGF aveva versato il corrispettivo dovuto a M.F.G.; che nulla era invece dovuto a TGN in quanto:

a) la stessa società nell’atto di appello aveva ammesso di non avere svolto alcuna prestazione essendosi limitata a tenere a disposizione la propria struttura organizzativa, fatto che l’istruttoria di primo grado aveva smentito, non essendo dimostrata la esistenza di alcuna struttura organizzativa;

b) TGN non aveva fornito alcuna prova del titolo della cessione o successione nel contratto stipulato nel 2005 da Active Way, contratto quest’ultimo da ritenere comunque inefficace “inter partes” essendo stato sottoscritto da M.F.G. in assenza di conferimento di poteri rappresentativi;

c) generico era il motivo di appello con il quale si contestavano le risultanze della c.t.u. contabile espletata in primo grado.

La Corte territoriale condannava altresì TGN al risarcimento del danno da lite temeraria ex art. 96 c.p.c., liquidato in Euro 10.000,00.

Avverso la sentenza di appello, notificata a mezzo PEC in data 26.1.2018, ha proposto ricorso per cassazione TGN di M.F.T. & C. s.a.s. deducendo quattro motivi, al quale ha resistito con controricorso FGF Industry s.p.a.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con i primi due motivi TGN impugna la sentenza di appello nella parte in cui ha accertato la inefficacia inter partes del contratto di consulenza stipulato tra FGF e Active Way di T.N. in quanto sottoscritto da M.F.G. che non aveva fornito dimostrazione della titolarità dei poteri di rappresentanza negoziale della ditta.

Deduce la società ricorrente: a) il vizio di violazione degli artt. 1398 e 1399 c.c. in quanto la Corte d’appello erroneamente aveva richiamato il precedente di Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 11377 del 03/06/2015 che si riferiva alla diversa ipotesi di contestazione della rappresentanza da parte del (falsamente) rappresentato, mentre nella specie si sarebbe dovuto rilevare la ratifica tacita dell’operato del falsus procurator (avendo FGF anche ammesso – nella comparsa di risposta in grado di appello – che M.F.G. aveva agito spedendo il nome di Active Way); FGF non aveva peraltro mai contestato il subentro di TGN nel rapporto avendo dato esecuzione al contratto nell’anno 2006; b) che la Corte territoriale non avrebbe potuto rilevare ex officio il difetto di potere rappresentativo, essendo incorsa in violazione dell’art. 112 c.p.c. per ultrapetizione.

Le censure, in astratta ipotesi fondate, devono tuttavia essere dichiarate inammissibili, in quanto non investono una delle autonome “rationes decidendi” su cui si fonda la sentenza impugnata.

Ed infatti, se è condivisibile l’affermazione secondo cui la contestazione del potere rappresentativo spetta a colui che lo invoca in funzione della affermazione della propria pretesa, e se la legittimazione rappresentativa si inserisce quale elemento costitutivo della fattispecie del diritto, in quanto gli effetti giuridici che si intendono produrre nella sfera giuridica del rappresentato, in relazione alla attività negoziale svolta con il rappresentante, implicano la esistenza e la non eccedenza del potere esercitato da quest’ultimo (sicchè la contestazione si risolve in una mera difesa, avendo ad oggetto fatti che – se emergono dalle risultanze processuali – sono sempre rilevabili di ufficio dal Giudice), tuttavia la disciplina sostanziale della rappresentanza -che attribuisce al (falsamente) rappresentato il potere di fera propri gli effetti del negozio stipulato dal falso rappresentante- pone un chiaro limite alla rilevabilità di ufficio, laddove sia il (falsamente) rappresentato ad agire in giudizio per far valere i diritti derivanti dal rapporto concluso.

Al riguardo occorre rilevare che nel caso in cui sia il terzo ad azionare la pretesa nei confronti del (falsamente) rappresentato “…il mero difetto di contestazione specifica, ove rilevante, non impone in ogni caso al giudice un vincolo assoluto (per così dire, di piena conformazione), obbligandolo a considerare definitivamente come provata (e quindi come positivamente accertata in giudizio) la legittimazione rappresentativa non contestata, in quanto il giudice può sempre rilevare l’inesistenza del fatto allegato da una parte anche se non contestato dall’altra, ove tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto (cfr. Sez. lav., 6 dicembre 2004, n. 22829; Sez. lav., 8 agosto 2006, n. 17947; Sez. lav., 10 luglio 2009, n. 16201; Sez. lav., 4 aprile 2012, n. 5363);…..allorchè la mancanza del potere rappresentativo sia acquisita agli atti, di essa il giudice può tenere conto anche in assenza di una specifica deduzione della parte interessata, giacchè la sussistenza dei fatti costitutivi della domanda deve essere esaminata e verificata dal giudice anche d’ufficio (cfr. Sez. 1, 5 agosto 1948, n. 1390; Sez. 2, 15 febbraio 2002, n. 2214; Sez..3, 28 giugno 2010, n. 15375)…”.

Quando invece “sia lo pseudo rappresentato ad agire in giudizio con una domanda che presuppone l’efficacia del contratto concluso in suo nome dal rappresentante senza poteri (ad esempio, al fine di ottenere la condanna del terzo ad adempiere o la risoluzione del contratto per inadempimento della controparte), certamente nè il terzo potrà difendersi opponendo la carenza del potere di rappresentanza, nè vi sarà spazio per un rilievo officioso di quella carenza di legittimazione, questo dipende dal fatto che il comportamento tenuto nel processo dal dominus opera anche sul terreno del diritto sostanziale, facendo venir meno, con la ratifica (pur se tacita), l’originaria carenza dei poteri di rappresentanza e, con essa, la non vincolatività, per la sfera giuridica della persona il cui nome è stato speso, del contratto stipulato dal falsus procurator”. (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 11377 del 03/06/2015, in motivazione).

Tanto porterebbe in astratto a riconoscere fondati i motivi di ricorso in esame, se non dovesse rilevarsi, in concreto, che anche affermando la piena validità ed efficacia del contratto stipulato in data 1.9.2005 tra FGF e Active Way di T.N., tuttavia nella specie tale accertamento risulta del tutto irrilevante in quanto: a) in giudizio non ha agito, neppure nel procedimento monitorio, la parte contraente Active Way ma un soggetto giuridico diverso, rimasto estraneo al predetto contratto (TGN di M.F.T. & C. s.a.s.); b) l’accertamento della efficacia “inter partes” del contratto del 2005 non è idoneo ex se a superare l’altra ragione decisa posta a fondamento della sentenza di appello secondo cui la parte che ha agito nel processo (TGN) non aveva fornito alcuna prova di essere subentrata nel contratto in questione.

Al riguardo risulta del tutto irrilevante che FGF abbia ammesso che M.F.G. aveva fatto spendita del nome di Active Way, e che “nel corso del 2005” FGF non aveva formulato eccezioni sulla esecuzione del contratto, trattandosi di circostanza, la prima, conducente al solo fine di dimostrare che titolare dei diritti (tra cui quello al corrispettivo) scaturenti dal contratto era esclusivamente la società rappresentata Active Way, e non anche a fornire prova della asserita cessione/successione di TGN nel rapporto contrattuale; la seconda del tutto estranea alla controversia, nella quale TGN vanta compensi contrattuali per gli anni 2006 e 2007.

Con il terzo e quarto motivo la ricorrente TGN deduce vizi di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5:

Non avendo la Corte d’appello fatto corretta amministrazione del materiale probatorio (mancata risposta all’interrogatorio formale da parte del rapp.te legale di FGF; prova orale con il teste A.), dal quale emergeva che la società si avvaleva di collaboratori esterni e dunque di una struttura organizzativa.

Non avendo la Corte d’appello considerato che la prova della cessione del contratto stipulato da Active Way, era fornita dal riferimento alla data 1.9.2005 di stipula del contratto nelle fatture emesse da TGN, relative al 2006, dovendosi quindi presumere la tacita accettazione della cessione da parte di FGF, la quale peraltro, come statuito dal Tribunale non aveva contestato che TGN fosse subentrata nell’originario contratto, essendosi limitata a criticare l’interpretazione del contratto in base alla quale TGN aveva liquidato la pretesa per corrispettivi.

Entrambi i motivi sono inammissibili, in relazione sia alla preclusione di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, (applicabile al presente giudizio, essendo stato proposto l’appello in data successiva all’11.9.2012: cfr. D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. in L. n. 134 del 2012), non avendo, peraltro, dimostrato la società ricorrente che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, erano tra loro diverse (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 19001 del 27/09/2016); sia in relazione ai limiti consentiti, nel giudizio di legittimità, alla censura del “vizio di motivazione”, circoscritto al solo “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, secondo la interpretazione che della norma – a seguito delle modifiche introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. L. n. 134 del 2012 è stata fornita da questa Corte (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016): nella specie i motivi sono volti a censurare – inammissibilmente – gli errori nella lettura e nella valutazione delle prove asseritamente commessi dal Giudice di appello.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la società ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2020

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