Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1931 del 25/01/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 1931 Anno 2018
Presidente: D’ASCOLA PASQUALE
Relatore: PICARONI ELISA

ORDINANZA
sul ricorso 23283-2016 proposto da:
VALENTINI FERRUCCIO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA GIOSUE’ BORSI 4, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA
SCAFARELLI, che lo rappresenta e difende unitamente agli
avvocati MASSIMILIANO DEBIASI, ANDREA DEBIASI;
– ricorrente contro
PAT PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO;
– intimata avverso la sentenza n. 56/2016 della CORTE D’APPELLO di
TRENTO depositata il 26/04/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
non partecipata del 26/10/2017 dal Consigliere Dott. ELISA
PICARONI.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Data pubblicazione: 25/01/2018

Ritenuto che Ferruccio Valentini ricorre per la cassazione
della sentenza della Corte d’appello di Trento, depositata in
data 26 aprile 2016, che ha rigettato l’appello proposto dal
medesimo Valentini avverso la sentenza del Tribunale di Trento
n. 256 del 2015, e nei confronti della provincia Autonoma di

foreste della stessa Provincia Autonoma;
che il Tribunale aveva rigettato l’opposizione a ordinanzaingiunzione con la quale la Provincia Autonoma di Trento aveva
irrogato al sig. Valentini la sanzione di euro 138,00 per
violazione della L.P. n. 11 del 2007 in materia ambientale, in
quanto il predetto aveva circolato con veicolo a motore al di
fuori delle strade segnate in area ricompresa nel Parco
Naturale Provinciale Adannello Brenta, e, nella stessa area,
aveva prelevato materiale minerale e fossile;
che la Corte d’appello ha rigettato il gravame rilevando,
nell’ordine: a) che non era contestata la materialità del fatto;
b) che il rapporto di collaborazione scientifica del Valentini con
il MUSE non era sfociato nel rilascio di autorizzazione all’attività
di ricerca; c) che non ricorreva la buona fede, né poteva
configurarsi l’errore scusabile sulla legittimità della condotta,
difettando in ogni caso la prova della inevitabilità del
comportamento tenuto; d) che la circostanza che l’appellante
fosse un cultore dei beni naturalistici militava, piuttosto, nel
senso della consapevolezza del Valentini di trovarsi in zona
protetta; e) che la sanzione in oggetto non era riproduttiva di
precedenti provvedimenti, annullati a seguito di opposizione o
in autotutela, che riguardavano altre condotte poste in essere
dal medesimo Valentini;
che il ricorso è articolato in due motivi;

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Ric. 2016 n. 23283 sez. M2 – ud. 26-10-2017

Trento e del Dipartimento territorio-agricoltura-ambiente e

che la Provincia Autonoma di Trento non ha svolto difese
in questa sede;
che il relatore ha formulato proposta di decisione, ai
sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., di manifesta infondatezza
del ricorso;

applicazione degli artt. 115 cod. proc. civ., 2697, 2727, 2729
cod. civ. con riferimento alla documentazione versata in atti,
dalla quale emergevano circostanze idonee a comprovare che il
Valentini era convinto di agire nella qualità di collaboratore del
MUSE, e che pertanto doveva essergli riconosciuta la buona
fede;
che, nella premessa ai motivi di ricorso, il ricorrente
invoca il principio del giusto processo sancito dall’art. 111 Cost.
e l’esigenza di garantire, per quanto possibile, l’aderenza del
risultato del processo alla verità sostanziale e al diritto
oggettivo sostanziale (è richiamato Cons. Stato, sentenza n.
3378 del 2010);
che la doglianza è inammissibile nella parte in cui
sollecita la rivalutazione dell’accertamento in fatto compiuto
dalla Corte d’appello, ed è infondata con riferimento alla
denunciata violazione delle norme in tema di prova;
che il principio del giusto processo e l’esigenza di
garantire, per quanto possibile, l’aderenza del risultato del
processo alla verità sostanziale non comporta, diversamente da
quanto sembra prospettare il ricorrente, la trasformazione del
giudizio di legittimità in giudizio di merito;
che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle
prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad
alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non
essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, comma 1, n.
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Ric. 2016 n. 23283 sez. M2 – ud. 26-10-2017

che con il primo motivo è denunciata violazione e falsa

5, cod. proc. civ. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di
un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti
dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito
oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo
per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione

rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in
violazione di legge costituzionalmente rilevante (ex plurimis,
Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053);
che, invece, è sindacabile per violazione dell’art. 115 cod.
proc. civ., la decisione basata su prove reputate dal giudice
esistenti ma, in realtà, mai offerte

(ex plurimis,

Cass.

12/04/2017, n. 9356), ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei
casi in cui sia riconosciuto al giudice un potere officioso;
che, nel caso di specie, non ricorre nessuna di tali
evenienze;
che la Corte d’appello, dopo avere esaminato e valutato
le deduzioni della parte appellante e la documentazione
prodotta a supporto, è pervenuta alla conclusione che non
sussistevano i presupposti per riconoscere la scriminante della
buona fede, non essendo provata l’inevitabilità della condotta,
ed era pertanto inutilmente invocata l’ignoranza delle norme da
parte del trasgressore – nel ricorso anche declinata come
«totale estraneità» del ricorrente al «mondo della burocrazia»,
in quanto non aveva dato luogo all’errore scusabile;
che la decisione è conforme al principio ripetutamente
affermato da questa Corte regolatrice, secondo cui, in tema di
violazioni amministrative, ai sensi dell’art. 3 della legge 24
novembre 1981, n. 689 è sufficiente la semplice colpa per
integrare l’elemento soggettivo dell’illecito, sicché l’errore sulla
liceità della condotta, può rilevare in termini di esclusione della
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Ric. 2016 n. 23283 sez. M2 – ud. 26-10-2017

che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. – dà

responsabilità amministrativa, al pari di quanto avviene per la
responsabilità penale in materia di contravvenzioni, solo
quando esso risulti inevitabile, occorrendo a tal fine un
elemento positivo, estraneo all’autore dell’infrazione, idoneo ad
ingenerare in lui la convinzione della liceità, oltre alla

possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero possa
essergli mosso, così che l’errore sia stato incolpevole, non
suscettibile cioè di essere impedito dall’interessato con
l’ordinaria diligenza (ex plurimis, Cass. 02/10/2015, n. 19759);
che non risulta violata la regola di riparto dell’onere della
prova, in quanto indubitabilmente incombeva sul trasgressore
dimostrare le circostanze a supporto dell’invocata scriminante;
che, diversamente da quanto lamentato in ricorso, la
Corte d’appello ha tenuto conto della circostanza che il sig.
Valentini è un cultore della materia dei beni naturalistici, ed ha
ritenuto plausibilmente che tale circostanza militava nella
direzione della consapevolezza del predetto di essersi
introdotto in zona destinata a parco naturale, là dove il fatto
che il Valentini aveva consegnato il materiale raccolto al Muse
era rilevante ai soli fini della quantificazione della sanzione, in
effetti applicata nel minimo edittale;
che con il secondo motivo è denunciata violazione o falsa
applicazione degli artt. 324 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ. e si
lamenta la violazione del principio del ne bis in idem e conflitto
tra giudicati, sul rilievo che, per gli stessi fatti, erano già stati
emessi provvedimenti sanzionatori, poi annullati o rimossi
dall’Amministrazione provinciale in autotutela, e la Corte
d’appello aveva deciso in maniera difforme dalle pronunce
passate in giudicato;

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Ric. 2016 n. 23283 sez. M2 – ud. 26-10-2017

condizione che da parte dell’autore sia stato fatto tutto il

che la doglianza è inammissibile per carenza di
specificità, in quanto il ricorso non contiene elementi sufficienti
a dimostrare l’identità tra i fatti oggetto di precedenti
procedimenti sanzionatori e quelli giudicati nella sentenza
impugnata e ciò a fronte dell’affermazione della Corte d’appello

riguardavano «altre condotte»;
che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa
Corte, l’interpretazione di un giudicato esterno può essere
effettuata anche direttamente in sede di legittimità, nei limiti,
però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per
cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo
mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora
l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta
scorretta, il predetto ricorso deve riportare il testo del giudicato
che si assume erroneamente interpretato, con richiamo
congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo
dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del
comando giudiziale (ex plurimis, Cass. 13/12/2006, n. 26627);
che il ricorso è rigettato senza pronuncia sulle spese, in
mancanza di attività difensiva della parte intimata;
che sussistono i presupposti per il raddoppio del
contributo unificato.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115
del 2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso,
a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

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Ric. 2016 n. 23283 sez. M2 – ud. 26-10-2017

secondo cui i pregressi procedimenti indicati dall’appellante

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-II
Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 26 ottobre

2017.

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