Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19309 del 18/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/07/2019, (ud. 26/11/2018, dep. 18/07/2019), n.19309

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27727-2013 proposto da:

INMACO SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA FRANCESCO CRISPI 36, presso lo

studio dell’avvocato RICCARDO LOMBARDI, rappresentato e difeso dagli

avvocati FRANCESCO ROMANELLO POMES, FRANCESCO CONVERTI giusta delega

a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO PROVINCIALE DI MATERA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 253/2013 della COMM. TRIB. REG. di POTENZA,

depositata il 05/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/11/2018 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito. il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato ROMANELLO POMES che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato FARACI che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La s.r.l. INMACO ha proposto ricorso per cassazione contro l’Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale e contro: l’Agenzia delle Entrate Ufficio Provinciale di Matera avverso la sentenza del 5 luglio 2013 con cui la Commissione Tributaria Regionale di Potenza, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio ha riformato la sentenza, resa in primo grado dalla Commissione Tributaria Provinciale di Matera nel 2011, nella parte in cui, dopo avere rigettato per il resto le altre doglianze proposte dalla società avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) emesso dalla Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Matera per importi dovuti a titolo di IRES, IRAP ed IVA, aveva ritenuto legittima la deduzione fiscale del corrispettivo di un atto stipulato fra la contribuente e la Di.Vi.An Trading s.r.l. in data 2 maggio 2006.

1.1. Con tale atto la contribuente trasferiva – previo pagamento del corrispettivo di Euro 2.304.500,00 oltre i.v.a. – l’onere di gestione e manutenzione delle parti comuni di un complesso edilizio che la contribuente aveva realizzato in forza di convenzione stipulata nel dicembre del 2003 con il Comune di Matera, con la quale le era stato concesso il diritto di costruire e mantenere edifici su un’area per 99 anni, con impegno a realizzare le costruzioni entro 36 mesi e pattuizione di attribuzione in proprietà, con facoltà di alienazione e locazione, salvo un manufatto da intendersi ceduto al Comune. Il detto onere di gestione e manutenzione veniva stabilito a carico della contribuente.

L’Ufficio procedeva all’accertamento in relazione all’operazione contabilizzata sulla base di tale scrittura.

2. Al ricorso per cassazione, che propone due motivi, ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “insufficiente e/o omessa motivazione della sentenza di secondo grado”.

Il motivo è inammissibile, in quanto deduce il paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione non più vigente, anzichè in quella di cui al testo sostituito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito in L. n. 134 del 2012. Tale testo è applicabile al ricorso in esame ai sensi dell’art. 54, comma 3, essendo stata la sentenza impugnata pubblicata successivamente all’entrata in vigore della citata legge di conversione. Detta applicabilità concerne anche i ricorsi avverso le sentenze delle commissioni tributarie regionali, come hanno precisato le Sezioni Unite nelle sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014, statuendo che: “Le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed i limiti d’impugnazione della “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del D.Lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3-bis, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546″, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito.”.

1.1. Il Collegio rileva, altresì, che la lettura dell’illustrazione del motivo, se anche esso si apprezzasse alla stregua del nuovo paradigma del n. 5, paleserebbe comunque la sua inammissibilità, in quanto detta illustrazione non contiene l’esposizione di censure individuatrici di un omesso esame di fatti controversi, atteso che non li individua in modo chiaro (come esigono le citate sentenze delle Sezioni Unite), evocando, invece, come emerge già a pagina 22 nella premessa espositiva e, quindi a pagina 24, il concetto di “travisamento” delle “doglianze che l’Ufficio appellante riassunte (sic) nei motivi di appello”.

1.2. Qualora, poi, sempre all’esito della lettura dell’illustrazione si ipotizzasse – alla stregua di quanto consentito a questa Corte da Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013 – una “riconversione” del motivo in sostanziale deduzione del vizio di violazione della norma del procedimento di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e, dunque, di un vizio di mancanza di una motivazione riconoscibile come tale, la verifica di questa ipotesi – giustificata in thesi dall’assunto a pagina 23 che “in definitiva il Giudice d’Appello non ha fornito giustificazioni idonee a far individuare l’iter logico seguito e le rationes fondanti il contenuto della sentenza de qua: dalla sentenza della CTR non si evince, infatti, alcun serio esame critico dal quale sia possibile desumere elementi idonei a smentire quanto deciso dal primo giudice si concluderebbe in modo negativo.

La ragione è che l’illustrazione del motivo, in limine evoca quella che definisce “striminzita motivazione (della CTR) a sostegno delle sue conclusioni” e riproduce quella che meriterebbe tale considerazione, ma la riproduzione, una volta confrontata con il tenore della decisione qui impugnata risulta in primo luogo del tutto parziale, con la conseguenza che la valutazione della sua idoneità ad assolvere l’onere motivazionale risulta priva di corrispondenza con la sua formale effettività.

A pagina 22, infatti, si assume come motivazione resa dalla CTR la seguente proposizione, che, peraltro risulta troncata in chiusura: “La Commissione ritiene, contrariamente a quanto stabilito dal Collegio di 1 grado, che il costo di gestione per la manutenzione di Euro 2.304.500,00 è stato correttamente ripartito nell’importo di Euro 2.019.616,24 quale costo non deducibile, pari a Euro 2.033.496,76 al netto della somma di Euro 13.880,52 determinata con la tecnica del “risconto passivo” contabilizzato dalla cessionaria Divian trading srl in conseguenza del ribaltamento dell’onere per la durata “residua” di a. 97 e 8 mesi e nell’importo di Euro 271.003,24 quale costo non inerente, pari alla differenza tra l’entità delle superfici di manutenzione”. Senonchè, di seguito risulta che la sentenza impugnata ha così continuato: “… dichiarata dalla parte di mq. 18.600 circa corrispondente al costo complessivo di Euro 2.304.500,00, e quella di fatto riconosciuta di mq. 16.415 con riferimento agli elaborati planimetrici depositati presso il catasto fabbricati di Matera; pari al costo di Euro 2.033.496,76 (cfr. pagg. 7- 8-9 e 10 delle controdeduzioni: all’appello proposto). Pertanto, la Commissione è dell’avviso che la contribuente nella sua qualità di cedente del servizio di manutenzione alla soc. Divian trading srl, non poteva portare in deduzione l’ammontare complessivo del costo di manutenzione, avendo trasferito l’onere di gestione alla società cessionaria Divian trading srl per la durata residua di anni 97 e mesi 8 della determina comunale…”.

Poichè il motivo assume la motivazione della sentenza in modo incompleto, omettendo di considerare completamente ciò che si è riportato, è palese che la pur ipotizzata valutazione alla stregua dell’art. 132, comma 2, citato n. 4, è preclusa in radice alla stregua del principio di diritto consolidato di cui a Cass. n. 359 del 2005, che è stato ribadito e condiviso da Cass., Sez. Un., nn. 16598 e 22226 del 2016, e n. 7074 del 2017 nelle motivazioni (non massimate sul punto), nel senso che: “Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4″.

In secondo luogo, la pur carente prospettazione della ricorrente risulta ancora più tale là dove ignora la proposizione precedente a quella che riproduce, la quale, evidentemente, costituisce la premessa delle affermazioni successive.

1.3. Il primo motivo è, conclusivamente, dichiarato inammissibile per le esposte plurime ragioni.

E ciò non senza doversi rilevare che anche per esso sarebbe rilevante i% via gradata quanto si verrà affermando a proposito del motivo successivo in punto di violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che la doglianza prospettata con il motivo si fonda su atti dei quali – come si dirà – non si fornice l’indicazione specifica.

2. Con il secondo motivo si prospetta “violazione e/o falsa applicazione del T.U. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, commi 1 e 5 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

L’illustrazione del motivo critica la correttezza della pretesa dell’Ufficio di non riconoscere legittima la deduzione da parte della ricorrente del costo del trasferimento alla DI.VI.An. s.r.l. dell’onere di manutenzione, già assunto per 99 anni, quanto alle parti comuni del complesso edilizio realizzato in concessione.

La critica viene svolta con riferimenti sia alla convenzione stipulata per atto notarile il 17 dicembre 2003 con il Comune di Matera sia alla scrittura privata del 2 maggio 2006 stipulata con la DI.VI.An., avente ad oggetto il trasferimento dell’onere di manutenzione a fronte del corrispettivo di Euro 2.304.500 oltre i.v.a. e, nella prospettazione esplicitata nell’esposizione del fatto, avente ad oggetto l’acquisto da parte della Di.Vi.An. Trading della “proprietà superficiaria delle parti comuni e dei parcheggi seminterrati” del complesso edilizio.

2.1. Il motivo si fonda, dunque, sul contenuto di detti atti, postulando che essi avrebbero avuto un certo significato e che la CTR lo avrebbe disconosciuto e mal valutato.

Senonchè, di tali atti non si fornisce l’indicazione specifica nei termini richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 6, in primo luogo sotto il profilo della riproduzione diretta del contenuto: tale contenuto non viene riprodotto nè nell’illustrazione nè nell’esposizione del fatto.

In quest’ultima e in parte nella stessa illustrazione del motivo viene riprodotto invece in via indiretta un preteso contenuto della convenzione, sicchè sotto tale profilo l’onere di indicazione specifica si potrebbe dire assolto, potendo esserlo, sotto il profilo della riproduzione del contenuto dell’atto fondante il motivo, anche in via indiretta, con la precisazione della parte dell’atto cui l’indiretta riproduzione fa riferimento: nella specie tale precisazione è espressa con il riferimento agli articoli della convenzione.

Viceversa, per quanto attiene alla scrittura privata l’onere di riproduzione non risulta assolto nè nell’esposizione del fatto nè nell’illustrazione del motivo: infatti, non si forniscono, per la scarna esposizione indiretta del contenuto della scrittura, le precisazioni sulla parte cui l’indiretta riproduzione corrisponderebbe e ciò a prescindere dalla genericità di essa soprattutto quanto al raccordo fra i suoi contenuti e quelli della convenzione.

L’onere di cui all’art. 366, n. 6, non viene assolto invece per entrambi i documenti sotto il profilo della localizzazione della sede di introduzione degli stessi nelle fasi di merito e, soprattutto, della localizzazione di essi in questo giudizio di legittimità.

Nell’esposizione del fatto si rinviene solo l’indicazione dell’allegazione della convenzione come documento n. 6 al processo verbale di contestazione (PVC) e di quella della scrittura privata come documento n. 14 al medesimo verbale.

Senonchè, nessuna indicazione si offre del come e dove il detto processo verbale ed i suoi allegati siano stati introdotti nel processo di merito e, soprattutto, del se siano stati prodotti e dove in questo giudizio di legittimità. D’altro canto, nemmeno si dichiara di voler fare riferimento per la localizzazione al fascicolo d’ufficio delle fasi di merito, specificando la sede ed il modo anche soggettivo di introduzione del verbale e degli allegati, con la conseguenza che è manifesta l’inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, sotto il profilo della detta esigenza di localizzazione, in quanto sarebbe stato necessario, per il caso di mancata disponibilità di detti documenti, eventualmente in copia, e, dunque, di una diretta produzione di essi, fare riferimento alla presenza nei fascicoli d’ufficio del giudizio di merito. Ciò, però, non si coglie nè nell’illustrazione del motivo nè nell’esposizione del fatto.

2.2. E’ poi appena il caso di avvertire che ad adempiere l’onere di localizzazione non potrebbe bastare l’indicazione – che si legge in chiusura del ricorso – “documentazione allegata come da indice”: essa non è riferibile in modo chiaro ai documenti di cui trattasi, atteso che l’espressione “documentazione allegata” è del tutto generica risolvendosi in un rinvio ad un “indice” non meglio individuato e descritto, che non è nemmeno parte del contenuto dei ricorso.

In ogni caso, se anche, in ipotesi denegata, l’onere di localizzazione potesse dirsi adempiuto con riferimento a detti atti, resterebbe l’assoluta e decisiva carenza dell’onere riproduttivo della scrittura nei termini indicati sopra.

2.3. In forza delle considerazioni svolte, risultano dunque violati i principi indicati da Cass. Sez. Un., n. 22726 del 2011, in via generale nel senso che: “In tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi.”; e, in particolare per il processo tributario di cassazione, nel senso che: “In tema di giudizio per cassazione, per i ricorsi avverso le sentenze delle commissioni tributarie, la indisponibilità dei fascicoli delle parti (i quali, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 25, comma 2, restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono restituiti solo al termine del processo) comporta la conseguenza che la parte ricorrente non è onerata, a pena di improcedibilità ed ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, della produzione del proprio fascicolo e per esso di copia autentica degli atti e documenti ivi contenuti, poichè detto fascicolo è già acquisito a quello d’ufficio di cui abbia domandato la trasmissione alla S.C. ex art. 369 c.p.c., comma 3, a meno che la predetta parte non abbia irritualmente ottenuto la restituzione del fascicolo di parte dalla segreteria della commissione tributaria; neppure è tenuta, per la stessa ragione, alla produzione di copia degli atti e dei documenti su cui il ricorso si fonda e che siano in ipotesi contenuti nel fascicolo della controparte.”.

I detti principi sono costantemente ribaditi dalla giurisprudenza di questa Sezione: ex multis, Cass. n. del 23575 del 2015e, recentemente, Cass. (ord.) n. 777 del 2019, depositata dopo la pubblica udienza.

2.4. Nella situazione descritta la Corte non è stata messa in grado d verificare il contenuto degli atti di cui si è detto, il che sarebbe stato essenziale per verificare la prospettazione della ricorrente circa soprattutto l’effettivo contenuto della scrittura privata e il rapporto con cui essa si è posta rispetto al contenuto della convenzione, particolarmente per stabilire, prima ancora di che cosa essa consentisse di trasferire, che cosa si era trasferito alla DI.VI.An. Trading.

Il motivo è, pertanto, inammissibile.

3. L’inammissibilità dei due motivi comporta quella del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto, in ragione del tenore della decisione, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione alla parte resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro diecimila, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto, in ragione del tenore della decisione, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria il 26 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

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