Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19304 del 21/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19304 Anno 2013
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA

SENTENZA

sul ricorso 26742-2007 proposto da:
DI GIOIA MARCELLO CLAUDIO LEUCIO, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA OTTAVIANO 66, presso lo
studio
CARRIERO),

dell’avvocato

BARILE

ANTONIO

(STUDIO

rappresentato e difeso dall’avvocato

GUARINO LUIGI giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
1160

contro

LEONE ANNA LUISA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA ANASTASIO II 130, presso lo studio dell’avvocato
BARLETTA LAURA, rappresentata e difesa dall’avvocato

Data pubblicazione: 21/08/2013

FRANZESE NICOLA giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 2657/2006 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 01/09/2006 R.G.N.
162/2003;

udienza del 24/05/2013 dal Consigliere Dott.
FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato LUIGI GUARINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

2

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.

Con decreto del 14 ottobre 1999 il Tribunale di

Benevento, Sezione distaccata di Guardia Sanframondi, ingiungeva
a Marcello Claudio Di Gioia il pagamento della somma di lire
20.000.000, oltre interessi, in favore di Anna Luisa Leone. Il

privata del 30 settembre 1994 nella quale il Di Gioia – premesso
di aver ricevuto dal proprio coniuge Anna Luisa Leone la
predetta somma – si era impegnato a restituirla in caso di
eventuale separazione. Successivamente alla omologazione della
separazione consensuale tra i due, avvenuta con provvedimento
del Tribunale di Benevento in data 29 giugno 1999, il Di Gioia
si era invece rifiutato di procedere al pagamento della somma
indicata.
Avverso il decreto ingiuntivo proponeva opposizione il Di
Gioia e il Tribunale, con sentenza del 2 dicembre 2002,
rigettava l’opposizione, confermava il decreto e condannava il
Di Gioia al pagamento delle spese di lite.
2. La sentenza di primo grado veniva confermata dalla Corte
d’appello di Napoli la quale, con pronuncia del l ° settembre
2006, rigettava l’appello proposto dal soccombente, che veniva
condannato al pagamento delle ulteriori spese del grado.
Osservava la Corte territoriale che il Di Gioia aveva
chiesto soltanto in sede di conclusioni, nel giudizio di primo
grado, di dichiararsi la nullità della scrittura privata del 30
settembre 1994, sicché la relativa domanda era da ritenere

provvedimento trovava il proprio fondamento nella scrittura

tardiva; in ogni caso tale nullità, asseritamente da ricondurre
a contrarietà della pattuizione rispetto all’ordine pubblico,
era infondata, perché dalla scrittura privata emergeva che il Di
Gioia si era impegnato a restituire la somma di lire 20.000.000
alla moglie in caso di separazione, ma non era stato in alcun

l’appellante un vincolo idoneo a limitare la sfera della sua
libertà personale in ordine alla separazione. E, d’altra parte,
non c’era dubbio sul fatto che la somma in questione fosse di
proprietà esclusiva della Leone.
Quanto, infine, all’attestazione bancaria dalla quale
risultava che la Leone aveva incassato, in data 22 settembre
1995, tre buoni postali a termine, per un valore complessivo di
lire 21.000.000, la Corte osservava che si trattava di titoli
emessi in epoca antecedente rispetto al matrimonio e, comunque,
intestati alla Leone e ad altra persona diversa dal Di Gioia;
sicché la decisione del Tribunale era da ritenere anche sotto
questo profilo del tutto condivisibile.
3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli
propone ricorso il Di Gioia, con atto affidato a tre motivi.
Resiste Anna Luisa Leone con controricorso.
Il ricorrente ha presentato memoria.

moTrvI

DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa
applicazione dell’art. 1421 cod. civ., rilevando che
erroneamente la Corte d’appello ha considerato tardiva
4

modo dimostrato che tale accordo avesse costituito per

l’eccezione di nullità

relativa alla scrittura privata

intercorsa tra le parti in data 30 settembre 1994; la nullità
assoluta, infatti, è circostanza rilevabile anche d’ufficio dal
giudice in ogni stato e grado del processo, sicché la questione
ben poteva essere proposta anche in sede di comparsa

2.

Col secondo motivo di ricorso si lamenta omessa,

insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio.
Osserva il ricorrente che la sentenza avrebbe omesso di
pronunciarsi in ordine alla natura ed alla liceità della
condizione apposta alla citata scrittura privata. In
considerazione della natura del rapporto coniugale, infatti,
condizionare la restituzione di una somma di denaro all’ipotesi
della separazione coniugale è evidentemente contrario all’ordine
pubblico ed al buon costume, perché equivale a porre delle
limitazioni alle altrui fondamentali libertà. Il diritto a
separarsi dal coniuge, infatti, è diritto “personalissimo” che
non tollera alcuna forma di limitazione.
3. I primi due motivi di ricorso possono essere trattati
congiuntamente e sono entrambi privi di fondamento.
3.1. Occorre innanzitutto rilevare che la Corte d’appello di
Napoli, pur dichiarando tardiva la domanda di nullità della
scrittura privata avanzata dal Di Gioia solo nella comparsa
conclusionale del giudizio di primo grado, l’ha poi
sostanzialmente scrutinata nel merito, escludendo che vi fosse
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conclusionale.

la prospettata ragione di nullità. Ne consegue che il ricorrente
non ha un effettivo interesse, in questa sede, all’esame del
primo motivo di ricorso, in quanto ogni questione circa la
correttezza o meno del rilievo processuale compiuto dalla Corte
di merito è superato dal fatto che alla presunta tardività della

carico del Di Gioia.
3.2. Ci si deve soffermare, invece, sul secondo motivo di
ricorso nel quale si censura, sia pure in termini di vizio di
motivazione, il fatto che la Corte napoletana non abbia
considerato nulla la scrittura privata con la quale il
ricorrente, dichiarando di aver ricevuto dalla moglie la somma
di lire 20 milioni, si impegnava a restituirla in caso di
separazione. Tale nullità sarebbe da ricondurre
nell’oscillante prospettazione di cui al ricorso alla
violazione di norme imperative, nella specie costituite
dall’impossibilità di “negoziare” i diritti e i doveri che
scaturiscono dal matrimonio e dal carattere di diritto
“personalissimo” alla separazione coniugale, ovvero alla
contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume del menzionato
accordo, in relazione al quale si arriva a richiamare anche
l’art. 2035 cod. civ. ed il noto principio romanistico secondo
cui in pari causa turpitudinis melior est condicio possidentis.
In verità la sentenza impugnata, con una valutazione di
merito correttamente argomentata e priva di vizi logici, è
pervenuta alla conclusione per cui la prospettiva di dover
6

domanda non ha fatto poi seguito alcun effettivo pregiudizio a

1A)L

restituire alla Leone, in caso di separazione, la somma
menzionata non ha comportato per il Di Gioia «una coercizione e
limitazione della sua sfera di libertà». Partendo da tale
ricostruzione – che non può più essere posta in discussione
nell’odierna sede di legittimità – risulta evidente che il patto

riconoscimento dell’esistenza di un debito conseguente ad un
mutuo

(«il Di Gioia dichiara di aver ricevuto la somma di lire

20 milioni a titolo di prestito»);

e, dall’altro, sottopone a

condizione sospensiva l’obbligo di restituzione. Il ricorso,
inoltre, non contiene alcuna contestazione in ordine
all’esistenza del debito, ma solo prospetta le censure di
nullità sopra riportate.
Com’è noto, a norma dell’art. 1354, primo comma, cod. civ.,
è nullo il contratto al quale è apposta una condizione,
sospensiva o risolutiva, contraria a norme imperative,
all’ordine pubblico o al buon costume. A giudizio di questa
Corte, però, tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, nel
quale la condizione sospensiva è lecita. Pur essendo pacifico
che «la consegna o un prestito di denaro tra coniugi avviene
generalmente nella riservatezza della vita familiare» (sentenza
28 maggio 2009, n. 12551), non c’è nessuna norma imperativa che
impedisca ai coniugi, prima o durante il matrimonio, di
riconoscere l’esistenza di un debito verso l’altro e di
subordinarne la restituzione all’evento,

futuro ed incerto,

della separazione coniugale (v., sia pure in relazione ad una
7

di cui si discute contiene da un lato un esplicito

diversa fattispecie, la sentenza 21 dicembre 2012, n. 23713).
Non si tratta neppure, nel caso in esame, di un contratto
atipico – rispetto al quale sorgerebbe l’obbligo di verificare
la sussistenza di un interesse meritevole di tutela ai sensi
dell’art. 1322, secondo comma, cod. civ. – perché la condizione

Appare fuor di luogo, pertanto, sia il richiamo all’art.
2035 cod. civ., del tutto estraneo alla presente fattispecie,
sia quello agli artt. 143 e 160 cod. civ. riguardanti
l’inderogabilità dei diritti e dei doveri che scaturiscono dal
matrimonio, perché l’inderogabilità non viene meno per il fatto

è stata apposta, come si è detto, ad un contratto di mutuo.

che uno dei coniugi, avendo ricevuto un prestito dall’altro, si)11
impegni a restituirlo per il caso della separazione.
Che poi l’esistenza di un simile accordo si possa tradurre
in una pressione psicologica sul coniuge debitore al fine di
scoraggiarne la libertà di scelta per la separazione è questione
che nel caso specifico non ha trovato alcun riscontro
probatorio; e che comunque, ove pure sussistesse, non si
tradurrebbe di per sé nella nullità di un contratto come quello
in esame.
Ne consegue che il primo e il secondo motivo devono essere
respinti.
4.1. Col terzo motivo di ricorso si lamenta violazione e
falsa applicazione delle norme che disciplinano la comunione
legale tra coniugi.

8

Secondo il ricorrente, infatti, la somma di lire 21.000.000
riscossa dalla Leone era da ritenere, in via presuntiva, come
appartenente alla medesima nella sola misura della metà, perché
la presunzione legale tra coniugi non può essere in alcun modo
superata. La Corte d’appello, quindi, avrebbe errato nel

integrale alla Leone.
4.2. Il motivo è infondato.
Anche volendo prescindere dall’assoluta inidoneità del
quesito di diritto formulato a sostegno del motivo – del tutto
generico e privo di riferimenti concreti alla fattispecie – è
decisivo il fatto che con tale censura si tenta di sollecitare
questa Corte, attraverso il richiamo ai documenti attestanti
presunti passaggi di denaro tra i due ex coniugi, ad un nuovo
esame del merito, al fine di ottenere un esito processuale
diverso e più favorevole.
5. Il ricorso, quindi, è rigettato.
A tale esito segue la condanna della parte ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in
conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale
20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto a disciplinare i compensi
professionali.
PER QUESTI MOTIVI

La Corte

rigetta

il ricorso e

condanna

il ricorrente al

pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in

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ritenere che la medesima appartenesse in via esclusiva ed

complessivi euro 1.700, di cui euro 200 per spese, oltre
accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza

Sezione Civile, il 24 maggio 2013.

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