Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19303 del 29/09/2016


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Cassazione civile sez. lav., 29/09/2016, (ud. 06/04/2016, dep. 29/09/2016), n.19303

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 693-2015 proposto da:

CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DI RAGIONIERI E

PERITI COMMERCIALI, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ANTONIO BERTOLONI 44/46, presso lo studio degli avvocati MATTIA

PERSIANI, GIOVANNI BERETTA che la rappresentano e difendono, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.A., C.F. (OMISSIS);

– intimato –

Nonchè da:

P.A. C.F. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA RICASOLI 1, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE RICCI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANNA CAMPILII, giusta delega in

atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DI RAGIONIERI E

PERITI COMMERPCIALI C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ANTONIO BERTOLONI 44/46, presso lo studio degli avvocati MATTIA

PERSIANI, GIOVANNI BERETTA che la rappresentano e difendono, giusta

delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 396/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 10/10/2014 R.G.N. 229/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/04/2016 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato BERETTA GIOVANNI;

udito l’Avvocato CAMPILII ANNA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 25/9 – 10/10/2014 la Corte d’appello di Brescia, decidendo in sede di rinvio da Cassazione, ha rigettato l’impugnazione proposta dalla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti commerciali avverso la sentenza n. 629/10 del Tribunale di Bergamo e, per l’effetto, ha accertato il diritto di P.A. alla riliquidazione della pensione nell’importo annuo lordo di Euro 46.123,67 ed ha condannato la predetta Cassa Nazionale a pagare le relative differenze.

La Corte territoriale, dopo aver dato atto di essersi adeguata al principio di diritto contenuto nella sentenza rescindente in merito alla statuizione di condanna della Cassa a corrispondere le differenze retributive risultanti dall’applicazione dei criteri di calcolo anteriori alle modifiche introdotte nel periodo 2002 – 2003, ha proceduto alla contabilizzazione delle stesse rilevando che il calcolo prospettato dal P. era, tuttavia, errato. Invero, quest’ultimo comportava che il sistema retributivo di computo della pensione veniva ad essere adottato anche per i periodi successivi al dicembre del 2003, mentre con la sentenza rescindente si era accertato che l’applicazione delle Delib. del periodo 2002-2003 aveva determinato una illegittima riduzione della quota retributiva maturata sino al 31.12.2003. Pertanto, ciò che doveva essere nuovamente computato, in base ai previgenti e più favorevoli criteri di calcolo, era la quota di pensione retributiva (c.d. quota A) maturata sino al 31.12.2003, con la conseguenza che risultava corretto il conteggio elaborato al riguardo dalla stessa Cassa, coincidente con quello elaborato dal P. in primo grado.

Per la cassazione della sentenza ricorre con tre motivi la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti commerciali.

Resiste con controricorso P.A. il quale propone, a sua volta, ricorso incidentale affidato a due motivi, al cui accoglimento si oppone la ricorrente principale. Le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo la ricorrente principale deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, come modificato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, in relazione alla norma di interpretazione autentica di cui alla L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 488, assumendo che tale violazione è consistita nel fatto che la Corte di merito, nel ritenere che della Legge Finanziaria del 2007, art. 1, comma 763, non era applicabile al presente giudizio, ha escluso la sanatoria prevista dalla stessa disposizione della predetta legge finanziaria, così come interpretata in maniera autentica dalla norma di cui alla L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 488, sulla base dell’erroneo rilievo che alla norma contemplante la sanatoria non potesse attribuirsi natura retroattiva.

In pratica, secondo la ricorrente principale, la norma di cui alla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, modificatrice della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, ha previsto, alla luce della norma di interpretazione autentica di cui alla L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 488, la sanatoria in via retroattiva delle delibere adottate dalle forme di previdenza sostitutiva dell’assicurazione generale obbligatoria e, quindi, anche della Cassa Nazionale in favore dei Ragionieri e dei Periti commerciali, che non hanno applicato rigorosamente il principio del “pro-rata”, conservandone, pertanto, la piena legittimità ed efficacia.

2. Col secondo motivo del ricorso principale è denunziata la violazione e falsa applicazione, sotto il profilo dell’applicazione del c.d. principio del pro rata, della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, assumendosi che non si è tenuto conto del fatto che tale norma impone di liquidare il trattamento pensionistico di vecchiaia sulla base di ogni singolo criterio di calcolo via via modificato nel tempo per effetto di successivi provvedimenti normativi, con esclusione del diritto del pensionando di salvaguardare periodi di anzianità contributiva per i quali non è maturato alcun diritto a pensione e di conservare nell’ambito dello stesso sistema il criterio quantitativo di determinazione della pensione a sè più favorevole.

3. Col terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, in relazione al c.d. “coefficiente di neutralizzazione”. Assume la difesa della ricorrente principale, una volta premesso che in sede rescindente nulla era stato espressamente statuito in ordine al coefficiente di neutralizzazione introdotto con la Delib. 7 giugno 2003, che contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte bresciana, deve trovare applicazione, anche nel caso in esame, l’orientamento giurisprudenziale a mente del quale il predetto coefficiente non è una prestazione patrimoniale aggiuntiva imposta dalla Cassa convenuta ai propri assicurati, equiparabile ad un prelievo forzoso, ma una graduazione del trattamento con finalità dissuasive, per scoraggiare scelte ritenute non più coerenti con le prospettive di vita e con la possibile durata di una proficua e non logorante vita lavorativa.

I tre motivi del ricorso principale, che possono essere trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.

Anzitutto, va rilevato che la Corte territoriale si è attenuta correttamente al principio di diritto fissato da questa Corte in sede rescindente, attraverso la sentenza n. 18479/2012 secondo cui, in applicazione del criterio del pro rata, la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali era tenuta a corrispondere al ricorrente principale la quota retributiva della pensione di anzianità nella misura risultante dall’applicazione della normativa previgente alle modifiche regolamentari adottate con le Delib. 22 giugno 2002, Delib. 7 giugno 2003 e Delib. 20 dicembre 2003 e, perciò, secondo il più favorevole criterio di calcolo della media dei 15 redditi professionali annuali più elevati nell’arco di 20 anni di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione; conseguentemente la Cassa doveva corrispondere al ricorrente le differenze spettanti sui ratei di pensione già corrisposti, oltre agli interessi legali dalla maturazione di ogni singolo rateo fino al saldo. Inoltre, con la stessa sentenza rescindente, si è precisato che, avendo il ricorrente principale richiesto la condanna specifica della Cassa al pagamento delle differenze pensionistiche ed essendo, quindi, necessario l’accertamento fattuale del relativo importo (nonchè, quale presupposto necessario, dell’importo complessivo della quota retributiva della pensione di anzianità spettante in applicazione del pro rata), il giudice del rinvio doveva decidere conformandosi all’indicato principio.

Alla luce del suddetto principio di diritto perde, pertanto, consistenza il rilievo della ricorrente secondo la quale la specifica questione della c.d. neutralizzazione era da ritenere assorbita per non essere stata oggetto di disamina nella sentenza rescindente. Invero, il fatto stesso che in sede rescindente questa Corte aveva chiaramente stabilito che, in applicazione del criterio del pro rata, la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali era tenuta a corrispondere al ricorrente la quota retributiva della pensione di anzianità nella misura risultante dall’applicazione della normativa previgente alle modifiche regolamentari adottate con le Delib. 22 giugno 2002, Delib. 7 giugno 2003 e Delib. 20 dicembre 2003, comportava che in sede rescissoria la Corte territoriale non poteva tener conto del coefficiente di neutralizzazione introdotto con la Delib. 7 giugno 2003 che era successiva alla normativa previgente alla quale la Corte d’appello doveva attenersi, secondo la precisa indicazione dei giudici di legittimità, nel calcolo delle somme spettanti al P.. Infatti, la Corte d’appello di Brescia ha giustamente osservato che, avendo la Suprema Corte esaminato la pretesa al ricalcolo della pensione con riferimento a tutte le modifiche intervenute nel periodo 2002 – 2003, era illegittima, per violazione del principio del pro rata, l’applicazione alla quota “A” delle altre modifiche nel complesso introdotte dalle Delib. 2002 – 2003, con la conseguenza che la quota A di pensione doveva essere calcolata secondo tutti i previgenti parametri più favorevoli per l’assicurato.

In ogni caso va registrato, da ultimo, l’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte che, con la sentenza n. 18136 del 16.9.2015, hanno fissato i seguenti principi:

“A) Nel regime dettato dalla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 1, comma 12 (di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), prima delle modifiche apportare dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge Finanziaria 2007), art. 1, comma 763, alla disposizione dell’art. 3, comma 12 Legge di riforma, e quindi con riferimento alle prestazioni pensionistiche maturate prima del gennaio 2007, la garanzia costituita dal principio cd. del pro rata – il cui rispetto è prescritto per gli enti previdenziali privatizzati ex D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, quale è la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali, nei provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico, in termini peggiorativi per gli assicurati, in modo che siano salvaguardate le anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti – ha carattere generale e trova applicazione anche in riferimento alle modifiche in peius dei criteri di calcolo della quota retributiva della pensione e non già unicamente con riguardo alla salvaguardia, ratione temporis, del criterio retributivo rispetto al criterio contributivo introdotto dalla normativa regolamentare degli enti suddetti. Pertanto con riferimento alle modifiche regolamentari adottate dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali (Delib. 22 giugno 2002, Delib. 7 giugno 2003 e Delib. 20 dicembre 2003), che, nel complesso, hanno introdotto il criterio contributivo distinguendo, per gli assicurati al momento della modifica regolamentare, la quota A di pensione, calcolata con il criterio retributivo, e la quota B, calcolata con il criterio contributivo, opera – per il calcolo della quota A dei trattamenti pensionistici liquidati fino al 31 dicembre 2006 – il principio del pro rata e quindi trova applicazione il previdente più favorevole criterio di calcolo della pensione.

B) Invece per i trattamenti pensionistici maturati a partire dal 1 gennaio 2007 trova applicazione il medesimo L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, ma nella formulazione introdotta dal citato L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, che prevede che gli enti previdenziali suddetti emettano i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, “avendo presente” – e non più rispettando in modo assoluto – il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenendo conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni, con espressa salvezza degli atti e delle deliberazioni in materia previdenziale già adottati dagli enti medesimi ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della L. n. 296 del 2006. Tali atti e deliberazioni, in ragione della disposizione qualificata di interpretazione autentica recata dalla L. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 488 (disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2014), si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziano di lungo termine. Consegue che è legittima la liquidazione dei trattamenti pensionistici fatta dalla Cassa con decorrenza del 1 gennaio 2007 nel rispetto della citata normativa regolamentare interna (Delib. 22 giugno 2002, Delib. 7 giugno 2003 e Delib. 20 novembre 2003)”.

Le Sezioni Unite hanno ribadito (Cass. sez. un. n. 17742 dell’8/9/2015) che “in materia di prestazioni pensionistiche erogate dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del D.Lgs. n. 509 del 1994 (quale la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali), per i trattamenti maturati prima del 1 gennaio 2007 il parametro di riferimento è costituito dal regime originario della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, sicchè non trovano applicazione le modifiche “in peius” per gli assicurati introdotte da atti e provvedimenti adottati dagli enti prima dell’attenuazione del principio del “pro rata” per effetto della riformulazione disposta dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, come interpretata dalla L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 488″, aggiungendo che “gli enti previdenziali privatizzati (quale l’Associazione Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e dei periti commerciali) non possono adottare – in funzione dell’obiettivo, di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, di assicurare equilibrio di bilancio e stabilità delle rispettive gestioni – provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongono un massimale allo stesso trattamento (quale, nella specie, la Delib. 28 giugno 1997 del Comitato dei delegati della Cassa, approvata con D.M. Ministro del lavoro e della previdenza sociale, 31 luglio 1997) e, come tali, risultino incompatibili con il rispetto del principio del “pro ratà’, in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dagli stessi provvedimenti.”

Pertanto, la soluzione della fattispecie in esame, concernente la riliquidazione della quota retributiva “A” della pensione (decorrente dall’1.6.2006) fino al 31.12.2003, è in linea coi principi di diritto fissati nelle recenti pronunzie delle Sezioni Unite di questa Corte, per cui le odierne censure non scalfiscono la validità della relativa “ratio decidendi”.

Ne consegue che il ricorso principale va rigettato.

A) Col primo motivo del ricorso incidentale il P. si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.C., comma 2, e della L. n. 414 del 1991, art. 2, comma 2, in quanto sostiene che il giudice del rinvio si era pronunziato in maniera difforme da quanto stabilito dalla Suprema Corte in sede rescindente, dal momento che il medesimo aveva disposto che i 20 redditi annuali, costituenti i redditi di riferimento per la scelta dei migliori 15 redditi costituenti la base di calcolo, dovevano essere ricercati fra quelli assoggettati a contribuzione fino al 2003, anzichè includere quelli anteriori alla data del pensionamento, cioè quelli assoggettati a contribuzione fino al 31 dicembre 2005.

Il motivo è infondato.

Invero, la Corte d’appello ha spiegato, con motivazione immune da rilievi di ordine logico-giuridico, che ciò che doveva essere ricalcolato in base ai previgenti e più favorevoli criteri di computo, così come indicati nella sentenza rescindente, era la quota di pensione retributiva maturata sino al 31.12.2003, in quanto successivamente a tale data vi era solo la quota contributiva, denominata quota “8”. Ne conseguiva che il più favorevole criterio dei 15 migliori redditi degli ultimi 20 anni non poteva che essere applicato in relazione ai redditi maturati sino al 31.12.2003, ovvero con riferimento alla media dei migliori 15 anni degli ultimi 20 anteriori alla maturazione del diritto alla quota retributiva della pensione.

B) Col secondo motivo del ricorso incidentale il P. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e degli artt. 91 e 92 c.p.c., in quanto ritiene che il giudice del rinvio, anzichè liquidare le spese dei gradi pregressi e quelle del giudizio di rinvio in base al normale criterio della soccombenza, le ha compensate integralmente, avendo fatto discendere dai proprio discostamento dalla sentenza rescindente, nei termini sopra lamentati, la parziale soccombenza di esso ricorrente ed avendo fatto ricorso all’insufficiente criterio giustificativo della complessità della questione trattata.

Il motivo è infondato.

Invero, la doglianza non coglie nel segno per quel che concerne il supposto discostamento del giudice del rinvio dai dettami della sentenza rescindente per la ragione che tale discostamento non vi è stato, così come già chiarito nel corso della disamina del primo motivo del presente ricorso incidentale.

Ma la censura è infondata anche per quel che riguarda la lamentata insufficienza del criterio addotto a sostegno della disposta compensazione delle spese: invero, la circostanza per la quale le questioni sottese alla presente vicenda hanno registrato contrasti che sono stati risolti solo di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte rappresenta senz’altro una grave ed eccezionale ragione, unitamente al parziale accoglimento della domanda del pensionato, atta a legittimare la compensazione integrale delle spese di lite.

Pertanto, anche il ricorso incidentale va rigettato.

La reciproca soccombenza delle parti induce questa Corte a ritenere interamente compensate tra le stesse le spese del presente giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale. Dichiara compensate tra le parti le spese del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ed incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2016

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