Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19302 del 19/07/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 19302 Anno 2018
Presidente: SCHIRO’ STEFANO
Relatore: TRICOMI LAURA

sul ricorso 9/2015 proposto da:
D’Ascanio

Giuseppina,

Diracca

Mario,

entrambi

già

soci

illimitatamente responsabili della estinta Italfil di D’Ascanio
Giuseppina & C. S.n.c., elettivamente domiciliati in Roma, Corso
Vittorio Emanuele II n. 209, presso lo studio dell’avvocato Casini
Luca Antonio, rappresentati e difesi dagli avvocati Lorenzi Alberto,
Rossi Giulia, giusta procura a margine del ricorso;
-ricorrenti contro
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R.G.N. 9/2015
Cons. est. Laura Tricorni

oeb

Data pubblicazione: 19/07/2018

Banca dell’Adriatico S.p.a., in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Largo di Torre
Argentina n. 11, presso lo studio dell’avvocato Martella Dario, che
la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Referza Pietro,
giusta procura a margine del controricorso;

avverso la sentenza n. 893/2014 della CORTE D’APPELLO di
L’AQUILA, depositata il 12/09/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
10/05/2018 dal cons. TRICOMI LAURA;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto
Procuratore Generale CAPASSO LUCIO che ha chiesto il rigetto del
ricorso.

RITENUTO CHE:

Giuseppina D’Ascanio e Diracca Mario, quali soci illimitatamente
responsabili della società ITALFIN di D’Ascanio Giuseppina & C. SNC,
estinta e cancellata dal Registro delle Imprese il 17/12/2000 (fol.3
sent.), in epoca anteriore alla notificazione dell’atto di citazione
avvenuta il 16/12/2003, avevano agito nei confronti della Banca
Popolare dell’Adriatico SPA per sentir dichiarare la nullità delle
clausole applicate dalla banca al contratto di conto corrente già in
essere con la società, relative al calcolo degli interessi debitori, alla
capitalizzazione trimestrale, all’applicazione della commissione di
massimo scoperto ed alle modalità calcolo della valuta, con condanna

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Cons. est. Laura Tricorni

-controricorrente –

della convenuta alla restituzione delle somme indebitamente
percepite ed al risarcimento di tutti i danni.
La domanda concerneva il rapporto bancario intrattenuto dalla
società, consistente in una apertura di credito su c/corr. n. 12604,
iniziato il 06/04/1987 e chiuso senza esposizione debitoria per la

In primo grado, rigettata l’eccezione di difetto di legittimazione
attiva degli attori, previo espletamento di CTU la banca veniva
condannata al pagamento a favore degli attori di €.238.375,05, oltre
interessi e spese.
L’appello proposto dalla banca veniva accolto dalla Corte di
appello dell’Aquila con la sentenza impugnata.
La Corte di appello ha dato atto che la società era stata sciolta
senza essere messa in liquidazione, con atto del 3/12/2000
(indicando 2002 per errore materiale) per notar Albergo in cui si
leggeva che la liquidazione era stata omessa perché tutte le passività
erano state estinte, venendo la D’Ascanio delegata a riscuotere
eventuali sopravvenienze attive – con l’indicazione di due crediti
diversi da quello azionato – ed a pagare eventuali passività che
fossero sopravvenute.
Quindi, stante l’inapplicabilità ratione temporis dell’art.4 del d.lgs.
17/01/2003, n.6 che ha attribuito efficacia costitutiva alla
cancellazione delle società a decorrere dal 1/01/2004 (Cass. Sez. U.
n.4060 del 22/02/2010), la Corte di appello ha affermato che, al
momento della notificazione dell’atto di citazione, la società non era
estinta e era l’unico soggetto legittimato ad agire in giudizio per la
ripetizione dell’indebito. Ha quindi soggiunto che non ricorreva
nemmeno una legittimazione sopravvenuta in corso di causa dei soci,
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Cons. est. Lauro Tricorni

società.

in quanto non si era verificato un fenomeno successorio giacché il
preteso credito non era nemmeno menzionato nell’atto di
scioglimento (fol. 12).
Giuseppina D’Ascanio e Diracca Mario ricorrono per cassazione
con due mezzi. La Banca dell’Adriatico SPA, già Banca Popolare

art.378 cod. proc. civ.
Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai
sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ.
Il sostituto procuratore generale ha concluso chiedendo il rigetto
del ricorso.
CONSIDERATO CHE:
1. Primo motivo – Violazione o falsa applicazione degli artt. 2312
e 2495 cod. civ. in tema di estinzione della società a seguito di sua
cancellazione dal R.I.

e di rapporti non definiti nella fase di

liquidazione che necessitano di essere regolati (art.360, primo
comma, n.3, cod. proc. civ.).
I ricorrenti sostengono che con la cancellazione della società dal
R.I. e la sua estinzione immediata ed automatica, ogni pretesa attiva
e passiva eventualmente sopravvenuta dopo la cancellazione si
sarebbe trasmessa in capo ai soci, secondo il fenomeno successorio.
2. Secondo motivo – Omesso esame di un fatto decisivo oggetto
di discussione tra le parti (art.360, primo comma, n.5, cod. proc. civ.)
e, comunque, nullità della decisione per assenza della motivazione in
violazione dell’art.111 Cost. (art.360, primo comma, n.4, cod. proc.
civ.). Rimarcano che nel caso non vi era un credito rinunciabile da
parte della società, ma una pretesa che doveva essere azionata in
giudizio e lamentano l’omesso esame del fatto che la D’Ascanio era
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Cons. est. Laura Tricorni

dell’Adriatico SPA replica con controricorso corredato da memoria ex

stata delegata a riscuotere anche “ogni eventuale sopravvenienza
attiva” da intendersi omnicomprensiva anche di situazioni attive di cui
non si era ancora a conoscenza al momento dello scioglimento.
3. I motivi sono entrambi inammissibili e vanno respinti.
4. La prima censura reiterando l’affermazione che la cancellazione
comporta la estinzione della società, non critica specificamente le

appello che risultano conformi ai principi affermati dalle Sezioni unite.
Invero «Dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. n.
6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di
capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese,
non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo
alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in
virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che
sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si
trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a
seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, “pendente
societate”, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i
debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di
liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di
contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese,
ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o
illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività
ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da
parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia
rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento
estintivo.» (Cass. Sez. U. 12/03/2013, n.6070).

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puntuali contrarie argomentazioni in diritto sostenute dalla Corte di

La Corte di appello, dando corretta applicazione a detti principi,
ha escluso la rilevanza del fenomeno successorio sulla prevalente e
dirimente osservazione che l’oggetto della controversia non
riguardava un diritto di credito compreso nel bilancio di liquidazione,
ma mere pretese per le quali, in totale assenza della fase di

favore della conclusione del procedimento estintivo (cfr. su fattispecie
analoga, Cass. n. 23269 del 15/11/2016) e tale ratio decidendi non
risulta colpita dalla doglianza.
5. Anche il secondo motivo è inammissibile, in quanto pecca sul
piano della specificità, ai sensi dell’art.366, comma 1, n.6, cod. proc.
civ.: invocando la rilevanza e l’interpretazione del contenuto, prima
ricordato, della delega conferita alla D’Ascanio – che non sarebbe
stato valutato adeguatamente dalla Corte territoriale -, non viene
precisato quando detta questione sia stata dedotta e discussa nella
fase del merito; va altresì rimarcato che il fatto asseritamente
omesso non è decisivo alla luce della giurisprudenza della Cassazione
richiamata in relazione al primo motivo.
6. In conclusione il ricorso va rigettato per inammissibilità dei
motivi. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza
nella misura liquidata in dispositivo.
Si dà atto, – ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del d.P.R. del
30.05.2002 n.115, della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del
comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso;
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liquidazione, si doveva ritenere che la società vi avesse rinunciato a

-

Condannrrenti alla rifusione delle spese del giudizio di

legittimità che liquida in C. 7.000,00=, oltre C.200,00= per esborsi,
spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed
accessori di legge;

Dà atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del d.P.R. del

versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del
comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il giorno 10 maggio 201
Il President

30.05.2002 n.115, della sussistenza dei presupposti per il

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