Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19298 del 02/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 02/08/2017, (ud. 16/06/2017, dep.02/08/2017),  n. 19298

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16954-2016 proposto da:

COMUNE di COMO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’Avvocato ANDREA MANZI,

rappresentato e difeso dagli avvocati CHIARA PIATTI e MARIA

ANTONIETTA MARCIANO;

– ricorrente –

contro

B.R. e A.C.U.S. – ASSOCIAZIONE UTENTI STRADA,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MERULANA 234, presso lo

studio dell’Avvocato GIULIANO BOLOGNA, rappresentati e difesi dagli

Avvocati MARIO LAVATELLI e VINCENZO LATORRACA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 43/2016 del TRIBUNALE di COMO, depositata il

14/01/2016;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/06/2017 dal Consigliere ALBERTO GIUSTI.

Fatto

RITENUTO

che accogliendo il ricorso in opposizione di B.R. presentato il 27 febbraio 2014, con intervento di A.C.U.S. -Associazione utenti della strada, il Giudice di pace di Como, con sentenza depositata in data 27 novembre 2014, ha annullato il verbale di accertamento di violazione alle norme del codice della strada n. (OMISSIS), elevato dalla Polizia locale;

che il Tribunale di Como, con sentenza pubblicata il 14 gennaio 2016, ha dichiarato inammissibile l’appello del Comune, per tardività;

che il Tribunale ha rilevato: (a) che, in difetto di notifica della sentenza, il tennine di impugnazione era quello di sei mesi, ex art. 327 c.p.c.; (b) che il termine di impugnazione scadeva il 27 maggio 2015; (c) che applicandosi il rito del lavoro anche in appello, ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, artt. 6 e 7 l’appello doveva essere proposto nella forgia del ricorso; (d) che nel caso di specie la citazione in appello è stata notificata ai convenuti il 28 maggio 2015 e depositata in cancelleria soltanto il 29 maggio 2015; (e) che nel caso in cui la parte scelga erroneamente, come nella specie, la via dell’atto di citazione per proporre appello, la tempestività dell’impugnazione deve essere valutata con riferimento al deposito dell’atto in cancelleria, e non in relazione al momento della notifica della citazione;

che per la cassazione della sentenza del Tribunale il Comune di Como ha proposto ricorso, con atto notificato l’8 luglio 2016, sulla base di un motivo;

che gli intimati B. e A.C.U.S. hanno resistito con un unico atto di controricorso;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico motivo il Comune ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, commi 1 e 5, e art. 327 c.p.c., censurando che il Tribunale di Como abbia dichiarato inammissibile l’appello perchè tardivo;

che ad avviso del ricorrente, il gravame doveva essere ritenuto tempestivo perchè l’impugnazione è stata proposta, sebbene irritualmente con citazione anzichè con ricorso, con atto avviato alla notifica in data 22 maggio 2015, perciò entro il termine decadenziale del 27 maggio 2015, dovendosi applicare il principio della scissione soggettiva del momento di perfezionamento della notificazione;

che in ogni caso – prosegue il ricorrente – il Tribunale avrebbe dovuto disporre il mutamento del rito, con salvezza degli effetti processuali della domanda secondo le norme del rito seguito prima del mutamento;

che il motivo è infondato, essendo la statuizione del Tribunale conforme alla giurisprudenza di questa Corte;

che infatti è stato affermato il principio secondo cui il giudizio di opposizione a verbale di accertamento di violazione di norme del codice della strada, instaurato successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011, è soggetto al rito del lavoro, sicchè l’appello avverso la sentenza di primo grado, da proporsi con ricorso, è inammissibile ove l’atto sia stato depositato in cancelleria (oltre il termine di decadenza di trenta giorni dalla notifica della sentenza o, in caso di mancata notifica) oltre il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., senza che incida a tal fine che l’appello sia stato irritualmente proposto con citazione, assumendo comunque rilievo solo la data di deposito di quest’ultima (Cass., Sez. 6-3, 11 dicembre 2015, n. 25061);

che pertanto, è irrilevante la data in cui l’atto di citazione in appello è stato avviato alla notifica, occorrendo avere riguardo, esclusivamente, alla data di deposito di tale atto, nella specie avvenuto il 29 maggio 2015, una volta scaduto il termine lungo di sei mesi decorrente dal 27 novembre 2014;

che si tratta di un orientamento costante nella giurisprudenza di questa Corte, essendosi affermato: (a) per un verso, che nelle controversie soggette al rito del lavoro, l’inammissibilità dell’impugnazione, perchè depositata in cancelleria oltre il termine di decadenza, non trova deroga nell’ipotesi in cui l’appello sia stato irritualmente proposto con citazione anzichè con ricorso, laddove l’atto, pur suscettibile di sanatoria ai sensi dell’art. 156 c.p.c., u.c., non venga depositato entro il termine per proporre impugnazione (Cass., Sez. lav., 10 luglio 2015, n. 14401); (b) per l’altro verso, che, in forza del D.Lgs. n. 150 del 2011, ai giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione e a quelli di opposizione a verbali di accertamento di violazioni del codice della strada, introdotti dopo il 6 ottobre 2011, si applica il rito del lavoro, e in particolare l’art. 434 c.p.c., sicchè, in detti giudizi, l’appello deve essere proposto in forma di ricorso, con le modalità e nei termini ivi previsti, e ai fini della tempestività del gravame vale la data di deposito dell’atto introduttivo (Cass., Sez. 6-2, 7 novembre 2016, n. 22564);

che d’altra parte la decadenza maturata a carico dell’appellante non può essere superata disponendo la conversione del rito, introdotto con citazione invece che con ricorso, e facendo conseguentemente applicazione, in grado di appello, del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, comma 5, che per il caso di mutamento del rito prevede che “gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento”;

che tale norma non può trovare qui applicazione, essendo riferita -secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. 6-1, 6 luglio 2016, n. 13815; Cass., Sez. 6-1, 16 febbraio 2017, n. 4103; Cass., Sez. 6-1, 12 maggio 2017, n. 11937; Cass., Sez. 6-1, 16 maggio 2017, n. 12133) – al solo mutamento del rito disposto in primo grado, non già in grado di appello;

che infatti – come già è stato chiarito da Cass., Sez. 6-1, 18 agosto 2016, n. 17192 – l’art. 4 dispone la salvezza degli effetti processuali della domanda secondo le norme del rito seguito prima del mutamento nel contesto di una disposizione che prevede, al comma 2, che la conversione del rito venga pronunciata “non oltre la prima udienza di comparizione delle parti”: la norma in esame riguarda il solo caso in cui il giudizio sia stato erroneamente instaurato in primo grado secondo un rito difforme da quello previsto dalla legge, e non può quindi essere estesa all’ipotesi in cui l’errore sia caduto sulle modalità di proposizione dell’appello, essendosi correttamente svolto il primo grado nelle forme prescritte;

che il ricorso è rigettato;

che le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza;

che ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 600, di cui Euro 500 per compensi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge;

dichiara – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 16 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2017

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