Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19297 del 16/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 16/09/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 16/09/2020), n.19297

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FALASCHI Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11679-2018 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GOLAMETTO 4,

presso lo studio dell’avvocato FRANCO ANTONAZZO, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIOVANNI ORCIANI;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT SPA, in persona del Procuratore pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CARLO MIRABELLO 18, presso lo studio

dell’avvocato ALFONSO QUINTARELLI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1836 /2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 11/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA

MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – C.S. agiva in giudizio, insieme a D.D.L. e a L.L., domandando anzitutto la restituzione della somma di Euro 42.186,28, versata all’allora Banca di Roma per la liberazione dell’immobile su cui quest’ultima aveva iscritto ipoteca: ipoteca atta a garantire il credito da essa vantato – con riferimento a uno scoperto di conto corrente, a un effetto cambiario protestato e a otto ricevute bancarie insolute – il quale era portato da un decreto ingiuntivo che era stato oggetto di opposizione; tale decreto era stato poi revocato e la banca era stata condannata, con sentenza passata in giudicato, alla restituzione della somma complessiva di Lire 5.137.699. Gli attori assumevano di aver diritto alla ripetizione della somma predetta di Euro 42.186,28 reputando, in sintesi, che l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato non includesse il loro versamento che, quindi, doveva ritenersi indebito a fronte della constatata esistenza di un saldo attivo in loro favore. Al contempo gli attori domandavano il risarcimento dei danni subiti in ragione della procedura monitoria e all’iscrizione ipotecaria: danni quantificati in Euro 30.000,00.

Le proposte domande erano respinte.

2. – La Corte di appello di L’Aquila, investita del gravame contro la sentenza di primo grado, confermava quest’ultima osservando che l’accertamento compiuto nel primo giudizio aveva avuto ad oggetto un credito degli appellanti C., D.D. e L., nei confronti della banca, che doveva ritenersi limitato all’importo di Euro 2.653,38.

3. – Contro quest’ultima pronuncia ricorre per cassazione C. con un due motivi. Resiste con controricorso Unicredit s.p.a., già Banca di Roma.

Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo è lamentato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e, in particolare, l’omessa valutazione degli allegati alla consulenza tecnica eseguita nel primo procedimento. Il ricorrente rileva che la Corte di appello aveva considerato il pagamento da lui eseguito il 31 ottobre 2000 ricompreso nella decisione poi passata in giudicato, la quale aveva definito l’opposizione a decreto ingiuntivo. Nondimeno, ad avviso dell’istante, i giudici di merito avevano trascurato di considerare i predetti allegati all’elaborato peritale da cui si evinceva, in maniera incontrovertibile, che il CTU, nel determinare gli importi del conto corrente oggetto di indagine, aveva del tutto ignorato il versamento della somma di Lire 81.684.034 (Euro 42.186,28) che, quindi, non era mai affluita sul conto corrente.

Il mezzo è inammissibile per plurime ragioni.

Anzitutto il motivo di censura, nel denunciare l’omesso esame di un fatto decisivo, trascura di considerare che il giudicato va assimilato agli “elementi normativi”, cosicchè la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici, essendo sindacabili sotto il profilo della violazione di legge gli eventuali errori interpretativi (Cass. Sez. U. 28 novembre 2007, n. 24664; in senso conforme, di recente: Cass. 12 giugno 2018, n. 15339; Cass. 29 novembre 2018, n. 30838). La doglianza vertente sull’errata interpretazione del giudicato non può essere dunque veicolata dall’art. 360 c.p.c., n. 5, la quale concerne il giudizio di fatto, e non di diritto, avendo per l’appunto ad oggetto il mancato apprezzamento di un fatto storico, primario o secondario (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054): e cioè di un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo della pretesa, o di un fatto dedotto in funzione probatoria.

In secondo luogo il ricorrente ha mancato di riprodurre la sentenza, passata in giudicato, del Tribunale di Teramo che ha definito il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Va osservato che nel giudizio di legittimità, il principio della rilevabilità del giudicato esterno va coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso; pertanto, la parte ricorrente che deduca l’esistenza del giudicato deve, a pena d’inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione (Cass. 23 giugno 2017, n. 15737; Cass. 31 maggio 2018, n. 13988).

Da ultimo, il ricorrente non incentra le proprie deduzioni sul significato da attribuire alla sentenza su cui è caduto il giudicato esterno, ma si limita a menzionare alcuni brani della consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio cui ha messo capo la detta pronuncia, quasi a prospettare che quest’ultima non li avrebbe adeguatamente valorizzati. In tal modo la censura mostra di disinteressarsi dell’interpretazione che la sentenza impugnata avrebbe dovuto dare alla decisione coperta da giudicato. Emblematico, al riguardo, è il rilievo conferito dal ricorrente al fatto che, in base all’indagine peritale, il credito di Lire 5.137.669 risulterebbe essere maturato il 30 ottobre 2000, prima del versamento di Lire 81.684.034, eseguito il giorno successivo. Sul punto, infatti, l’istante manca di confrontarsi efficacemente con il brano della sentenza passata in giudicato, riprodotta nella pronuncia impugnata, in cui si dà atto che un credito di tale entità era esistente alla data del 19 settembre 2001: in un momento – cioè – ben posteriore a quello del pagamento (evenienza, quest’ultima, che appare coerente con l’assunto della Corte distrettuale, la quale ha ritenuto che la sentenza passata in giudicato avesse inteso escludere che il credito di C. dovesse essere maggiorato del nominato importo di lire 81.684.034).

2. – Col secondo motivo è lamentata la “violazione o falsa applicazione di una norma di diritto”. L’istante si limita a sostenere che la banca, nell’iscrivere ipoteca in forza del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, avrebbe agito senza la normale prudenza. Viene dedotto che i giudici di merito avrebbero mancato di applicare l’art. 96 c.p.c., comma 2, pur avendo accertato che Unicredit aveva agito in violazione di tale disposizione.

Il motivo è infondato.

Esso si basa su di un assunto (l’accertata responsabilità della banca nell’iscrizione ipotecaria) che non trova riscontro nella sentenza impugnata e che è, anzi, in essa implicitamente negato, avendo la Corte di merito escluso, sulla base del contenuto della pronuncia del Tribunale di Teramo, passata in giudicato, che il credito di Lire 81.684.034, onorato dal ricorrente, fosse inesistente. E’ qui appena il caso di ricordare che il vizio di omessa pronuncia non ricorre quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (per tutte: Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155).

3. – Il ricorso è respinto.

4. – Le spese del giudizìo di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600.00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in 100,00, ed agli

accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondersi per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 2 luglio 2020.

Depositato in cancelleria il 16 settembre 2020

 

 

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