Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19297 del 07/07/2021

Cassazione civile sez. I, 07/07/2021, (ud. 16/04/2021, dep. 07/07/2021), n.19297

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorsi 6730/2019 proposti da:

O.D.E., e V.E.O., elettivamente

domiciliati in Roma, Via Alberto Caroncini, 4, presso lo studio

dell’Avvocato Carlo Izzo, e rappresentati e difesi dall’Avvocato

Attilio Lo Murno; per procure speciali in calce ai ricorsi

introduttivi;

– ricorrenti –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato per legge presso l’Avvocatura Generale dello Stato in

Roma, Via dei Portoghesi, 12;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Potenza, Sezione specializzata in

materia di immigrazione, protezione internazionale e libera

circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, n. 164/2019,

depositato il 22/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/04/2021 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con il decreto in epigrafe indicato il Tribunale di Potenza, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, ha rigettato i ricorsi proposti da O.D.E. e V.E.O., entrambi cittadini dell’Edo State, in Nigeria, avverso i provvedimenti in data 7 luglio 2017 di diniego della protezione sussidiaria e del riconoscimento del diritto a quella umanitaria adottati dalla competente Commissione territoriale, nella ritenuta non attendibilità dei racconto reso dai richiedenti e l’insussistenza, nei fatti narrati, dei presupposti per la richiesta protezione, dopo aver riunito i due ricorsi proposti.

2. Nelle dichiarazioni rese in fase amministrativa e successivamente davanti al giudice dai due ricorrenti, la donna ha riferito di essere stata portata nel (OMISSIS) dai familiari in Italia per prostituirsi ed inviare il denaro in casa e che dopo avere denunciato il fatto alla polizia italiana e aver fatto rientro nel Paese di origine per convivere con il proprio compagno, V.E.O., dal (OMISSIS) di aver subito dai familiari, che avevano appreso del suo rientro, per ritorsione, l’incendio del negozio di parrucchiera ivi aperto ed il procurato arresto del fidanzato con l’accusa di averla sottratta alla famiglia.

La richiedente ha ancora dichiarato di essere stata costretta a seguire i familiari con cui aveva vissuto fino al (OMISSIS) quando venne dai primi promessa in sposa ad un uomo molto più anziano che abusò di lei per sette giorni e di aver quindi deciso di tornare dal compagno, partendo con lui per il Marocco nell'(OMISSIS) per poi giungere di nuovo in Italia nel 2016 e di temere, in caso di rientro in patria, di essere uccisa dai suoi familiari o dall’uomo cui era stata promessa in moglie; evidenze confermate nelle dichiarazioni rese da V.E.O..

3. O.D.E. e V.E.O. ricorrono con distinti mezzi, iscritti al medesimo numero di ruolo, per la cassazione dell’indicato decreto con tre motivi.

Il Ministero dell’interno si è costituito tardivamente al dichiarato fine di partecipare all’udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 274 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per inosservanza del principio di autonomia dei giudizi e difetto di motivazione. Il Tribunale aveva riunito i due giudizi introdotti da O.D.E. e V.E.O. e li aveva rigettati con un solo provvedimento, così “confondendo” in unica motivazione i distinti racconti e le dedotte circostanze temporali che avrebbero meritato distinte pronunzie.

La motivazione adottata era confusa e non consentiva di individuare le ragioni per le quali le domande dei ricorrenti erano state rigettate. Quanto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il tribunale aveva motivato con riguardo alla sola situazione del Paese di provenienza senza valutare le condizioni personali dei ricorrenti e gli elementi raccolti, vicendevolmente, nell’altro procedimento riunito.

Il motivo si presta ad una valutazione di inammissibilità per genericità, mancanza di autosufficienza e infondatezza.

La dedotta violazione dell’art. 274 c.p.c., è infondata là dove il ricorso richiama a sostegno della prima la mancata osservanza dell’autonomia ed individualità dei giudizi in cui sarebbe incorso il tribunale nell’adozione dell’impugnato decreto.

Fermo il principio per il quale la riunione di cause connesse lascia inalterata l’autonomia dei giudizi per tutto quanto concerne la posizione assunta dalle parti in ciascuno di essi, con la conseguenza che le statuizioni e gli atti riferiti ad un processo non si ripercuotono sull’altro processo sol perchè questo è stato riunito al primo (Cass. 26/02/2021 n. 5434), i proposti mezzi non denunciano quale impropria estensione – quanto a domande, eccezioni ed esiti di prova – vi sarebbe stata nell’impugnato decreto tra le posizioni fatte valere in giudizio dai ricorrenti mancando in tal modo di specificità ed autosufficienza.

La violazione della regola del processo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), peraltro erroneamente dedotta come violazione sostanziale di norma (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), manca di segnalare il pregiudizio sofferto dalla parte e che insorto nel processo deve tradursi in una lesione del diritto di difesa.

Il principio dell’autonomia della cause, d’altra parte, si traduce nella autonoma impugnabilità delle decisioni riunite, soggette come tali a distinti termini di impugnazione e differenti decorsi degli stessi (Vd. Cass. 08/10/2019 n. 25083; Cass. 27/06/2019 n. 17236), profilo che non solo non risulta neppure dedotto per i proposti mezzi, ma che comunque, proprio in ragione delle proposte impugnazioni, resta infondatamente fatto valere.

Nel resto quanto residua nella proposta critica è una mancanza di motivazione per difetto dell’iter logico che non consentirebbe di cogliere le distinte rationes decidendi dell’assunta decisione.

Il motivo però non prospetta e allega quali passaggi motivatori integrerebbero la denunciata confusione di posizioni, fermo il rilievo che la mancanza di motivazione, tale da non consentire di ricostruire la ratio decidendi dell’impugnata decisione, non figura nel decreto in esame in cui il tribunale dà conto, nel rigetto delle domande dei ricorrenti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), della risalenza dei fatti narrati e del difetto di collegamento fattuale e cronologico con il più recente approdo in Italia ed i timori nel rientro nel Paese di origine.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti fanno valere la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 14, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e l’omessa e contraddittoria motivazione in ordine al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria.

La vicenda narrata dalla ricorrente doveva qualificarsi come violenza domestica, giusta Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (artt. 60 e 61), ratificata e resa esecutiva in Italia con la L. n. 77 del 2013 e doveva pertanto legittimare il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 2 e art. 14, lett. b). In siffatto quadro il ricorrente V.E.O. era stato egli stesso minacciato di morte dalla famiglia della compagna.

Il motivo è inammissibile là dove non si confronta con il provvedimento impugnato nella parte in cui i giudici di merito valorizzano la risalenza nel tempo delle violente vicende narrate e quindi l’insussistenza del rischio, all’attualità, che il rientro nel Paese di origine esponga la richiedente ed il suo compagno al pericolo di vita o sopraffazioni.

La valutazione cui è chiamato il giudice del merito nell’apprezzare la sussistenza o meno del rischio del richiedente protezione di subire trattamenti inumani e degradanti, condizione del riconoscimento della protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b)), è destinata a prevenire quanto nel futuro, e con carattere di probabilità, potrà realizzarsi in caso di rientro del primo nel Paese di origine atteso che la misura di protezione vale a scongiurare il verificarsi o il ripetersi di determinate situazioni lesive e non a rimediare a quanto nel passato avvenuto.

Il tribunale ha escluso con il formulato giudizio di fatto che, per le prove assunte, quegli avvenimenti di sfruttamento potessero valere anche per il futuro ed i motivi contrapponendo a siffatto giudizio contraria conclusione, sortiscono l’effetto di reiterare le iniziali deduzioni senza confrontarsi con la decisione impugnata (Cass. 24/09/2018 n. 22478) e, comunque, di proporre una alternativa lettura dei fatti.

Nel resto il pure dedotto vizio di motivazione è inammissibile perchè propositivo di un modello di censura (omessa e contraddittoria motivazione) che non si coniuga con la vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il profilo del motivo poi con cui si denuncia la mancata indagine ufficiosa D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8, comma 3, da parte dei giudici di merito circa le condizioni del Paese di origine e la capacità delle autorità locali di offrire protezione rispetto alle minacce subite dalla ricorrente ed il compagno diviene non rilevante nel formulato giudizio di insussistenza del pericolo di reiterazione di quelle stesse condotte.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, sulla protezione umanitaria. Il Tribunale di Potenza aveva omesso di condurre una “valutazione individuale delle condizioni di vulnerabilità mancando di comparare la situazione personale dei due istanti prima della fuga dalla Nigeria e dopo l’arrivo in Italia”.

Il motivo è manifestamente infondato e non si confronta con l’impugnata decisione.

Il Tribunale ha apprezzato la condizione personale dei richiedenti ed ha ritenuto che costoro avessero abbandonato la Nigeria sin dal (OMISSIS) per ragioni personali legate ad un timore – quello di essere uccisi dall’uomo a cui la donna era stata promessa in moglie o dalla famiglia di lei – non provato nella risalenza dei fatti, in tal modo escludendo in capo ai primi una situazione di vulnerabilità.

A fronte di siffatto giudizio i ricorrenti non deducono situazioni individualizzanti integrative dei gravi motivi che depongono per il riconoscimento della protezione umanitaria, ma fanno valere le situazioni già dedotte nel giudizio di merito come portatici di tale riconoscimento senza, in modo concludente, superare il giudizio del Tribunale sulla incapacità delle denunciate condotte ad integrare un’offesa al nucleo minimo dei diritti della persona in difetto della loro attualità.

I ricorrenti neppure offrono elementi per lo svolgimento del giudizio di comparazione tra la situazione di rischio nel Paese di provenienza e la condizione goduta in Italia, rispetto alla quale gli stessi – che anche lamentano la mancata stima da parte del Tribunale del contratto di lavoro stabile di cui godevano – neppure allegano la tempestiva deduzione nel giudizio di merito.

4. I ricorsi sono in via conclusiva inammissibili.

Nulla sulle spese nella tardività della costituzione del Ministero. Sussistono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo per entrambi i ricorrenti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 16 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2021

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