Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19296 del 18/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/07/2019, (ud. 14/02/2019, dep. 18/07/2019), n.19296

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7471-2018 proposto da:

VENEZIANA ENERGIA RISORSE IDRICHE TERRITORIO AMBIENTE SERVIZI –

VERITAS SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 34-B, presso

lo studio dell’avvocato MAURIZIO CECCONI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ANDREA PASQUALIN;

– ricorrente –

contro

S.P., in proprio e quale socio accomandatario di CAFE’ LE

BARCHE SAS, elettivamente domiciliato in ROMA VIA OTRANTO 36 presso

lo studio dell’avvocato MARIO MASSANO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ENRICO CORNELIO;

– controricorrente –

e

CAFE’ LE BARCHE S.r.l., quale socio accomandante di CAFE’ LE BARCHE

SAS, cancellata in data 7 ottobre 2016;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1797/2017 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata

in data 1/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA

SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con d.i. n. 208/2013 il Giudice di Pace di Venezia ingiunse alla Veneziana Energia Risorse Idriche Territorio Ambiente Servizi – V.E.R.I.T.A.S. S.p.a. (in seguito indicata, per brevità, VERITAS) di pagare a Cafè Le Barche s.a.s. la somma di Euro 3.903,77, oltre interessi legali e spese, a titolo di restituzione dell’importo dell’IVA indebitamente applicata nelle fatture relative alla TIA1 e, a partire dal 2011, alla TIA2.

La società VERITAS si oppose al d.i. contestando quanto dedotto e chiesto dalla controparte.

Il Giudice di Pace, con sentenza n. 60/2016, rigettò l’opposizione, confermò il d.i. opposto e condannò VERITAS al pagamento delle spese in favore dell’opposta.

Avverso tale decisione VERITAS propose appello dinanzi al Tribunale di Venezia, sostenendo che: 1) il versamento da parte di Cafè Le Barche s.a.s., dell’IVA sulla TIA non costituiva pagamento ai sensi dell’art. 2033 c.c., essendo stata tale IVA portata in detrazione; 2) la TIA2 era assoggettabile ad IVA; 3) il diritto vantato dall’appellata era prescritto; 4) la sentenza impugnata andava censurata anche per non aver il primo Giudice compensato, almeno in parte, le spese di lite.

La società appellata si costituì chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

Il Tribunale di Venezia, con la sentenza n. 1797/2017, rigettò l’appello e condannò l’appellante alle spese di quel grado.

Avverso tale pronuncia la VERITAS ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi e illustrato da memoria.

S.P., quale socio accomandatario di Cafè Le Barche s.a.s., cancellata in data 7 ottobre 2016, ha resistito con controricorso pure illustrato da memoria.

L’intimata Cafè le Barche S.r.l., quale socio accomandante di Cafè Le Barche s.a.s., come già detto cancellata in data 7 ottobre 2016, non ha svolto attività difensiva in questa sede.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata in controricorso, e basata sull’affermazione che nel ricorso la VERITAS non avrebbe “distinto le bollette oggetto dell’originario decreto ingiuntivo facenti riferimento alla TIA1 rispetto a quelle facenti riferimento alla TIA2”.

Tale eccezione è infondata, atteso che a p. 11-12 del ricorso è stato precisato espressamente che l’impugnazione ora all’esame (ed in particolare il secondo motivo del ricorso) riguarda la TIA2 con riferimento, in particolare, alle “somme di cui alle fatture indicate ai numeri da 32) a 39) nella tabella di cui alle pp. 8-9 del ricorso per ingiunzione (che si depositerà quale doc. 4), esponenti IVA per Euro 1.036,95”.

Così formulato, il petitum risulta adeguatamente specificato per relationem, evidenziandosi che tale atto è stato depositato unitamente al ricorso per cassazione (doc. n. 4).

2. Va poi rilevato che la questione sollevata dal controricorrente a p. 17 e seguenti del controricorso e secondo cui le fatture di cui si discute in causa sarebbero state emesse in relazione alla TIA1 e non, quindi, con riferimento alla TIA2, è inammissibile per novità, non avendo detta parte rappresentato se, quando e in quali termini tale questione sia stata proposta nel giudizio di merito.

3. Con il primo motivo si deduce “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19,e comunque della normativa concernente la detrazione dell’IVA, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la sentenza impugnata erroneamente escluso che la detrazione dell’IVA pagata sulla tariffa di igiene ambientale di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, faccia venir meno la natura di pagamento rilevante ai sensi dell’art. 2033 c.c. del pagamento di tale IVA e/o comunque precluda la ripetibilità della stessa IVA”.

Ad avviso della ricorrente, nella fattispecie, l’avvenuta detrazione dell’IVA corrisposta sulla TIA1 non consentirebbe la richiesta di restituzione, potendosi al più ritenere che solo in presenza dell’effettiva esclusione da parte dell’Erario, il che non sarebbe stato neppure sostenuto dalla controparte, potrebbe, se del caso, ipotizzarsi l’esistenza di un debito di cui chiedere la restituzione.

3.1. Il motivo è infondato.

3.2. In tema di IVA, questa Corte ha affermato che “ai sensi del D.P.R. 23 ottobre 1972, n. 633, art. 19, ed in conformità con la Dir. del Consiglio del 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, art. 17, nonchè con gli artt. 167 e 63 successiva Dir. del Consiglio del 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE, non è ammessa la detrazione dell’imposta pagata a monte per l’acquisto o l’importazione di beni o servizi – ovvero per conseguire la prestazione di servizi necessari all’impresa – per il solo fatto che tali operazioni attengano all’oggetto dell’impresa e siano fatturate, poichè è, invece, indispensabile che esse siano effettivamente assoggettabili all’IVA nella misura dovuta, sicchè, ove l’operazione sia stata erroneamente assoggettata all’IVA, restano privi di fondamento il pagamento dell’imposta da parte del cedente, la rivalsa da costui effettuata nei confronti del cessionario e la detrazione da quest’ultimo operata nella sua dichiarazione IVA, con la conseguenza che il cedente ha diritto di chiedere all’Amministrazione il rimborso dell’IVA, il cessionario ha diritto di chiedere al cedente la restituzione dell’IVA versata in via di rivalsa, e l’Amministrazione ha il potere-dovere di escludere la detrazione dell’IVA pagata in rivalsa dalla dichiarazione IVA presentata dal cessionario” (Cass. 13/06/2018, n. 15536; Cass., 15/05/2015, n. 9946; v. anche Cass. 30/07/2014, n. 17299, Cass. 2/12/2014, n. 25531).

3.3. Il Tribunale ha, in sostanza, fatto corretta applicazione del richiamato principio.

3.4. Alla luce di quanto sopra evidenziato, non rileva che l’amministrazione non abbia previamente proceduto a rettifica (rettifica che la ricorrente assume essere ormai impossibile), negando la detrazione, posto che: a) il pagamento indebito dev’essere come visto “neutralizzato” in modo circolare, coerentemente al regime dell’imposta in questione; b) nessuna rettifica potrebbe farsi a fronte di un pagamento del tributo effettuato in ragione della rivalsa, mentre è a seguito della pronuncia qui in scrutinio che dovrà viceversa procedersi alla richiamata neutralizzazione.

3.5. Si osserva che, nella specie, è ormai incontroverso tra le parti che l’IVA sulla TIA1 non dovesse essere affatto versata, trattandosi di una prestazione di natura tributaria (v., Cass., sez. un., 15/03/2016, n. 5078; Cass., sez. un., ord., 10/04/2018, n. 8822, v. anche Cass. 21/06/2018, n. 16332).

3.6. In memoria la società ricorrente osserva, in particolare (p. 6), che il rapporto in questione in questa sede è quello tra cedente e cessionario e non quello tra fisco e contribuente. Tale osservazione non è dirimente, poichè, come appena visto, l’erroneo assoggettamento ad IVA esclude la sussistenza di base legale per il relativo pagamento, per la rivalsa e per la detrazione, proprio in applicazione della circolarità correlata alla neutralità dell’imposta indiretta in parola, sicchè non vi è, all’evidenza, alcun dubbio anche sulla conformità della operata ricostruzione alla sopra richiamata normativa comunitaria.

Inoltre, nel caso in scrutinio non può neppure considerarsi pacifica la circostanza posta a base del motivo all’esame, ossia l’avvenuta detrazione, che parte istante indica in ricorso come incontroversa ma non è espressamente ammessa in controricorso e non risulta accertata in sentenza (che, a p. 3, ultimo capoverso, ne discorre in via eventuale), nè la società ricorrente ha riportato in ricorso in quali esatti termini essa abbia eventualmente affermato tale circostanza di fatto e in quali esatti termini si sia difesa la controparte al riguardo nel giudizio di merito, da cui poter desumere la dedotta non contestazione.

4. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la “violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 3, e art. 4, commi 2 e 3, del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, e D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, convertito, con modificazioni, nella L. 30 luglio 2010, n. 122, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la sentenza impugnata erroneamente accomunato la tariffa disciplinata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238 (c.d. TIA2) a quella disciplinata dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 (c.d. TIA1) e/o per averne escluso la natura corrispettiva e/o comunque il suo assoggettamento all’IVA”.

In particolare, premesso che il riportato motivo riguarda l’applicazione – negata dal Tribunale – dell’IVA alla TIA2, la ricorrente, nel censurare la decisione presa dal Giudice di appello (che ha ritenuto di assimilare la TIA2 alla TIA1, traendo anche per la prima, in tema di applicabilità dell’IVA, le conclusioni cui la giurisprudenza è pervenuta in ordine alla TIA1), mette in luce la differente natura di tale tariffa – che costituisce il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani – e la diversità del suo statuto normativo rispetto a quello della TIA1 e sostiene l’irrilevanza, ai fini che qui rilevano, della natura di società in house di VERITAS.

Dalla natura non tributaria e corrispettiva della TIA2 discenderebbe, dunque, ad avviso della ricorrente, la sua assoggettabilità ad IVA.

4.1. Il motivo è fondato.

4.2. Con l’ordinanza n. 16332 del 21 giugno 2018, questa Corte si è pronunciata in ordine al differente regime a cui soggiacciono le c.d. TIA1 e TIA2.

Nello specifico, è stato affermato che la tariffa di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, ha natura tributaria e, come tale, non può essere soggetta all’applicazione dell’IVA; viceversa, la tariffa di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, così come interpretata dal D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, conv. dalla L. n. 122 del 2010, ha la natura di un corrispettivo privatistico che, di conseguenza, può essere assoggettato ad IVA ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1,3, e art. 4,commi 2 e 3.

4.3. Ritiene il Collegio che il principio affermato con l’ordinanza n. 16332/18, ampiamente motivata sul punto in questione e in cui si ripercorre tutta l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in tema di c.d. TIA 2, vada ribadito in questa sede.

4.4. In particolare, come chiarito nell’arresto in parola, con cui è stato deciso analogo ricorso della Veritas S.p.a., la disciplina della c.d. TIA 2 quale delineata nel citato art. 238, differenziandosi significativamente dal regime della c.d. TIA 1, da un lato individua il fatto generatore dell’obbligo del pagamento nella produzione di rifiuti, ancorando dunque il debito all’effettiva fruizione del servizio, nonchè commisurando l’entità del dovuto alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti, e, dall’altro, afferma, in modo netto e innovativo insieme, la natura di “corrispettivo” della tariffa in parola (v. ordinanza richiamata p. 8).

Nè rileva, in contrario, la circostanza che il pagamento della c.d. TIA 2 (come quello della c.d. TIA 1) sia obbligatorio per legge, atteso che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, prevede che “le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere” costituiscono prestazioni di servizi (ai fini della assoggettabilità all’IVA ex art. 1 medesimo decreto) “quale ne sia la fonte” (v. p. 8 del precedente di questa Corte appena richiamato).

La natura privatistica della c.d. TIA 2, e, quindi, la sua portata innovativa e ontologicamente diversa rispetto alla precedente c.d. TIA 1, già desumibile dal tenore della norma istitutiva, è stata poi definitivamente confermata dal D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, come convertito, che ha previsto che “le disposizioni di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, si interpretano nel senso che la natura della tariffa ivi prevista non è tributaria. Le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria”, sicchè, a fronte del chiaro disposto di tale norma, è evidente che, a seguito della sua emanazione, non è più dato neppure interrogarsi sulla natura di corrispettivo, e non di tributo, della c.d. TIA 2, e sulla conseguente sua assoggettabilità ad IVA (v. p. 9 dell’arresto del 2018 già sopra richiamato).

Nella prospettiva dell’opzione legislativa è cioè chiaro che l’individuazione del costo con componenti predeterminate o accessorie è del tutto compatibile, trattandosi di contratti di massa, così come la loro redistribuzione con modalità che tengano conto anche di indici reddituali, per scelta agevolativa dell’erogatore del servizio.

4.5. La parte controricorrente sostiene che tale ricostruzione contrasterebbe con altra giurisprudenza di questa Corte, a Sezioni Unite, e in particolare con Cass., sez. un., 11/07/2017, n. 17113 e con Cass., sez. un., 15/03/2016, n. 5078 (v. in controricorso, nel quale, in particolare, i principi affermati dalla prima sentenza appena richiamata, sono riportati a p. 21).

Gli argomenti proposti dalla detta parte non possono essere condivisi (v., ex plurimis, Cass., ord., 13/02/2019, n. 4275).

Secondo il primo dei due arresti appena menzionati e richiamati pure dalla parte controricorrente, l’addizionale provinciale sulla cd. TIA2 ha natura tributaria, come si evince dalla stessa formulazione letterale della disposizione istitutiva, la quale prevede un sistema di reperimento, attraverso un tributo, della provvista necessaria all’esercizio, di utilità generale, di funzioni di interesse pubblico, mancando un rapporto di corrispondenza economica tra la prestazione dell’amministrazione e il vantaggio ricevuto dal privato (che condurrebbe a escluderne la natura di tassa).

La statuizione aggiunge che non è idoneo a snaturare la natura di tributo il collegamento quantitativo e percentuale con la c.d. TIA2, “di natura privatistica”, fungendo quest’ultima solo da parametro per la quantificazione di tale prestazione in favore delle province, sicchè la controversia sulla debenza di tale addizionale appartiene alla giurisdizione del giudice tributario.

La pronuncia in parola ha, quindi, un oggetto diverso da quello in discussione in questa sede, riguardando la giurisdizione in punto di addizionale provinciale connessa alla tariffa in questione.

E’ pur vero che nella pronuncia si accomunano, in relazione ai presupposti, la c.d. TIA1, la c.d. TIA2 e la TARI, sotto il profilo della “mancanza di nesso diretto tra prestazione e corrispettivo”, e sotto quello per cui “il compenso ricevuto dal prestatore dei servizi non è il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario” (v. p. 8), ma è altrettanto vero che (v. p. 9) della tariffa in parola, invece, secondo quanto anticipato, viene indicata la “natura privatistica”.

D’altra parte, l’attenuazione del “nesso” tra prestazione e corrispettivo, come di quello tra servizio e suo esatto “controvalore”, si spiega, secondo quanto sopra rilevato, con l’implicazione di un contratto di massa innervato da profili agevolativi, senza che necessariamente venga meno il superamento del regime tributario oggetto della scelta legislativa.

Con riferimento al secondo arresto richiamato, esso riguarda, diversamente, la c.d. TIA1.

Inoltre, in quella decisione, si ricorda la giurisprudenza comunitaria (Corte giust., 15/07/2009, causa 254/08), che ha chiarito come non esiste un vincolo, per gli Stati membri, a finanziare con una specifica modalità, in tesi tributaria, la gestione della raccolta dei rifiuti.

In questo senso, risulta irrilevante la circostanza che il gestore sia una società c.d. “in house”: infatti, l’attività commerciale di tali società nei confronti di terzi ben può restare privatistica, nonostante la rilevanza pubblicistica del regime dell’ente ad altri fini correlati al controllo della società stessa da parte dell’amministrazione che ne sia socia.

Per questa ragione non rileva la pregiudiziale comunitaria prospettata al riguardo da parte controricorrente (con riferimento, cioè, alla Dir. n. 112 del 2006 in tema di regime IVA).

Del resto solo conferme, in chiave di “acte claire”, giungono dalla successiva pronuncia della Corte di giustizia 22 febbraio 2018, in causa C- 182/17, che ha ribadito come la determinazione forfettaria (in quel caso, su base annua) di un simile compenso non spezza di per sè il nesso tra prestazione e corrispettivo (punto n. 37), e l’affidamento a una società di compiti pubblici, parimenti, non è logicamente decisivo per valutare lo svolgimento di prestazioni a titolo oneroso nella medesima cornice (punto n. 40).

4.6. Alla luce di quanto sopra evidenziato, consegue che è legittima l’imposizione e riscossione dell’IVA sulle fatture relative alle cd. TIA2 di cui si discute in causa a partire dall’anno di riferimento 2011 (v. ricorso p. 3).

5. In conclusione, va rigettato il primo motivo del ricorso mentre va accolto il secondo motivo; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Venezia, in persona di diverso magistrato.

6. Stante l’accoglimento del ricorso, va dato atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso; accoglie il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Venezia, in persona di diverso magistrato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 14 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

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