Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19293 del 22/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 22/09/2011, (ud. 30/06/2011, dep. 22/09/2011), n.19293

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26170-2008 proposto da:

G.A.C., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ZEZZA LUIGI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio

all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE & PARTNERS,/ che la

rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1180/2007 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 20/12/2007 r.g.n. 687/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/06/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Milano, confermando la sentenza impugnata, ha ritenuto la legittimità della sanzione disciplinare irrogata dalla società Poste Italiane spa ad G.A.C. per essersi rifiutato di svolgere la prestazione lavorativa secondo il sistema cosiddetto “ad areola”, in base al quale il singolo operatore è tenuto alla consegna non solo della corrispondenza della zona di sua competenza, ma anche, prò quota, di quella di altra zona ricompresa nella medesima area di recapito (cd. areola), in caso di assenza del dipendente assegnato a quest’ultima zona. A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta osservando che, nell’ambito del procedimento disciplinare, non si era verificata alcuna violazione del diritto di difesa del lavoratore, non esistendo un diritto del lavoratore di essere ascoltato sul posto e nell’orario di lavoro, e ritenendo che il rifiuto di effettuare la sostituzione del collega assente nell’ambito del medesimo raggruppamento di zone è un rifiuto di eseguire una prestazione che poteva essere legittimamente richiesta al lavoratore durante l’orario normale di lavoro – che, per gli addetti al recapito, è di 36 ore settimanali – rifiuto che costituiva quindi un inadempimento contrattuale, che non poteva farsi ricadere nell’ambito dell’esercizio del diritto di sciopero e ben poteva essere sanzionato a livello disciplinare.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione G.A.C. affidandosi a cinque motivi di ricorso cui resiste con controricorso la società Poste Italiane spa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2106, 1175 e 1375 c.c,, L. n. 330 del 1970, art. 7 per avere la Corte di merito denegato l’esistenza di un diritto del lavoratore di essere ascoltato a difesa sul posto e nell’orario di lavoro, chiedendo a questa Corte di stabilire se costituisce lesione del diritto di difesa disporre l’audizione in sede disciplinare, richiesta dal dipendente con l’assistenza del rappresentante sindacale, in luogo diverso da quello della prestazione lavorativa e al di fuori dell’orario contrattuale, si da rendere gravoso l’esercizio del diritto stesso, violando al contempo i principi generali, essendo il potere disciplinare interno al rapporto di lavoro.

2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 40 Cost., L. n. 146 del 1990, artt. 1, 2, 4, 12, 13 e 14 per avere la Corte di merito escluso che l’astensione del lavoratore dalla prestazione lavorativa costituisse legittimo esercizio del diritto di sciopero e che, in conseguenza, l’esercizio del potere disciplinare relativo all’astensione dal lavoro collettiva fosse di esclusiva competenza della Commissione di garanzia, chiedendo a questa Corte di stabilire se “in tema di sciopero nei servizi pubblici essenziali, ex L. n. 146 del 1990, ed in particolare in quello dei dipendenti di Poste Italiane, attinente alla libertà di comunicazione, assoggettato alla normativa di regolamentazione, per sciopero … deve intendersi ogni forma di azione sindacale comportante una riduzione del servizio tale da determinare un pregiudizio per i diritti degli utenti, ciò valendo anche in caso di astensione collettiva dal lavoro straordinario o considerato aggiuntivo e, in ogni caso, l’esercizio del potere disciplinare relativo all’astensione dal lavoro collettiva è di esclusiva competenza della Commissione di Garanzia che eventualmente delibera … e prescrive al datore di lavoro la sanzione, con la conseguenza che, nel caso di specie, in cui non solo è disattesa dalla società la normativa della disciplina dello sciopero nei servizi pubblici essenziali ma è esercitato il potere senza previa decisione della Commissione di Garanzia, sussiste l’abuso del potere disciplinare da parte di Poste Italiane …”.

3.- Con il terzo motivo si denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c. in relazione all’accordo collettivo del 29 luglio 2004, nonchè all’art. 28 ccnl Poste Italiane del 2003, chiedendo a questa Corte di stabilire che “secondo l’accordo 29.7.2004 tra OO.SS. firmatarie del ccnl e Poste Italiane ed in relazione all’orario di lavoro del portalettere (6 ore giornaliere per 36 ore settimanali) pur esistendo la possibilità, in via sperimentale, con disposizione aziendale, di un modulazione giornaliera di mezz’ora (in più o in meno), non vi è rapporto tra questa previsione e la previsione di un obbligo aggiuntivo di sostituzione di lavoratore assente nell’ambito dell’area territoriale di riferimento (con un limite mensile di 10 ore giornaliere e giornaliero di 2) rimanendo la prestazione del portalettere resa sempre ratione temporis secondo l’art. 28 del ccnl vigente richiamato dal predetto accordo (6 ore giornaliere 36 ore settimanali), per cui essendo questa, appunto, un prestazione aggiunta espressa in quota oraria e stabilente una deroga al regime economico corrispettivo del lavoro straordinario, non può esser la stessa definita solo una differente modalità della prestazione in orario, legittima comunque essendo l’astensione da essa proclamata come sciopero”.

4.- Con il quarto motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sulle questioni di cui al precedente motivo, indicando come fatto controverso e decisivo per il giudizio lo sciopero così come proclamato e il contenuto della prestazione richiesta secondo il sistema letterale dell’accordo del 29.8.2004.

5.- Con il quinto motivo si denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 2104, 2105 e 2106 c.c., nonchè omessa o insufficiente motivazione, relativamente alla questione relativa alla valutazione dell’elemento soggettivo o colposo della pretesa infrazione disciplinare, chiedendo a questa Corte di stabilire che “l’astensione dalla prestazione lavorativa ritenuta dallo stesso datore di lavoro sciopero e come tale comunicata pubblicamente, senza alcuna riserva, non può fondare una responsabilità disciplinare da inadempimento, per assenza di qualsivoglia elemento colposo a carico del dipendente …”.

6.- Il primo motivo è infondato. Come già ritenuto da questa Corte in una controversia che presentava questioni pressochè identiche a quelle che formano oggetto del presente giudizio – cfr. Cass. n. 9714/2011 – nessuna fonte normativa prevede che l’audizione del lavoratore debba aver luogo nell’orario e nella sede di lavoro, nè è contemplato un diritto del lavoratore di essere sentito a difesa con modalità che siano strettamente correlate al tempo e al luogo della prestazione lavorativa, con ciò onerando il datore di lavoro di consentire l’esercizio di tale diritto alle condizioni richieste dal lavoratore, pena la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 2.

Il denunciato profilo non rileva, dunque, agli effetti della validità della sanzione disciplinare, nè può ritenersi che la discrasia denunziata tra tempi e modalità dell’audizione (fissata alle ore 15, dopo la fine del turno di lavoro delle ore 13, presso la sede di (OMISSIS)) e tempi e luogo della prestazione lavorativa (che veniva svolta presso la sede di Monza) possa assumere rilevanza tale da rendere censurabile la condotta del datore di lavoro sotto il profilo del mancato rispetto dei principi di correttezza e buona fede.

Il primo motivo deve essere pertanto respinto.

7.- Anche le censure svolte con gli altri motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondate.

Questa Corte ha già affermato, sulla scorta di autorevole dottrina, che non può essere definita sciopero ogni manifestazione di lotta che i soggetti agenti designino come tale (cfr. ex multis Cass. n. 548/20011). Lo sciopero si risolve, nei fatti, nella mancata esecuzione in forma collettiva della prestazione lavorativa, con corrispondente perdita della relativa retribuzione. La mancata esecuzione si estende per una determinata unità di tempo: una giornata di lavoro, più giornate, oppure periodi di tempo inferiori alla giornata, sempre che non si vada oltre quella che viene definita “minima unità tecnico temporale”, al di sotto della quale l’attività lavorativa non ha significato esaurendosi in una erogazione di energie senza scopo. Il tale logicala giurisprudenza, dopo alcune oscillazioni, ha riportato entro la nozione di sciopero anche la mancata prestazione del lavoro straordinario (Cass. n. 2480/76). L’astensione anche in questo caso ha una precisa delimitazione temporale e concerne tutte le attività richieste al lavoratore. Al contrario, ci si colloca al di fuori dell’esercizio del diritto di sciopero quando il rifiuto di rendere la prestazione per una data unità di tempo non sia integrale, ma riguardi solo uno o più tra i compiti che il lavoratore è tenuto a svolgere. E’ il caso del cd. sciopero delle mansioni, comportamento costantemente ritenuto estraneo al concetto di sciopero e pertanto dichiarato illegittimo dalla giurisprudenza (Cass. n. 2214/86).

8.- Nel caso in esame, la Corte territoriale ha accertato, con motivazione adeguata e coerente sul piano logico, che l’astensione non ha avuto ad oggetto prestazioni di lavoro straordinario o una “prestazione aggiuntiva”, suscettibile di essere rifiutata in via autonoma rispetto alla prestazione ordinaria del portalettere.

9.- Il rifiuto di effettuare la consegna di una parte della corrispondenza di competenza di un collega assegnatario di altra zona della medesima area territoriale, in violazione dell’obbligo di sostituzione previsto dalla normativa collettiva, pertanto, non è astensione dal lavoro straordinario, nè astensione per un orario delimitato e predefinito, ma è rifiuto di effettuare una delle prestazioni dovute. Situazione, dunque, assimilabile a quella del cd.

sciopero delle mansioni, perchè, all’interno del complesso di attività che il lavoratore è tenuto a svolgere, l’omissione concerne solo un aspetto specifico di tali obblighi. L’astensione, pertanto, non può essere qualificata sciopero e resta un mero inadempimento parziale della prestazione dovuta, con conseguente legittimità della sanzione disciplinare (cfr. Cass. n. 548/2011 cit, Cass. n. 17995/2003, cui adde Cass. n. 547/2011, nonchè Cass. n. 9714/2011 cit.).

10.- Altra questione da affrontare concerne il rapporto con le determinazioni della Commissione di garanzia e la pretesa esclusiva competenza in materia disciplinare della predetta Commissione.

Anche sotto tale profilo il Collegio ritiene di uniformarsi ai recenti specifici precedenti, in particolare Cass. n. 548/2011 e Cass. n. 9714/2011. Si è già detto del perchè l’astensione in esame non costituisce esercizio del diritto di sciopero. Deve aggiungersi che la nozione di sciopero proposta dal ricorrente non è condivisibile, perchè non può definirsi sciopero ogni astensione sindacale che comporti una riduzione del servizio. Nè, invero, lo sciopero si caratterizza per il fatto che determina un danno per gli utenti, poichè tale conseguenza può costituire certamente un effetto collaterale dello sciopero, ma non ne è elemento costitutivo, ben potendo lo sciopero non danneggiare gli utenti.

La definizione di sciopero proposta dal ricorrente richiama, invero, le espressioni usate dalla Commissione di garanzia nel provvedimento del 7 marzo 2002 allegato al ricorso, che peraltro non si occupa delle astensioni che riguardano l’accordo sulle aree territoriali, che, del resto, è del 2004, ma in generale degli scioperi dei dipendenti della società Poste. In ogni caso, tale provvedimento non incide sulla soluzione delle questioni che formano oggetto della presente controversia. Nel delineare il suo campo di applicazione, la delibera precisa che “la presente disciplina si applica ad ogni forma di azione sindacale, comunque denominata, comportante una riduzione del servizio tale da determinare un pregiudizio per i diritti degli utenti”. Ed aggiunge che tale disciplina si applica anche al caso di astensione dalle prestazioni di lavoro straordinario.

La Commissione, con tali espressioni, si prefiggeva solo, nella sua ottica specifica, di limitare le conseguenze di azioni sindacali implicanti danni per l’utenza, sia che tali azioni fossero o che non fossero da qualificare come sciopero. E così, qualora si tratti di azioni qualificabili come sciopero, varranno le esenzioni dal diritto comune dei contratti derivanti dall’art. 40 Cost.. Al contrario, in caso di azioni estranee a tale ambito, l’esenzione non opererà e si applicheranno le regole civilistiche ordinarie in materia di inadempimento delle obbligazioni. L’intervento della Commissione di garanzia non incide su questo ordine di conseguenze, nè, in caso di inadempimento della prestazione non qualificabile come sciopero, incide sul potere disciplinare del datore di lavoro.

11 – Ultima questione da risolvere concerne la rilevanza scriminante dell’esercizio putativo del diritto di sciopero, al fine di ritenere incolpevole l’inadempimento parziale del lavoratore.

Deve osservarsi, al riguardo, che questa Corte ha già affermato che, in tema di obbligazioni, lo stato soggettivo di buona fede non è idoneo, per sè solo, ad escludere l’imputabilità dell’inadempimento, essendo a tal fine necessaria la prova da parte del debitore che l’inadempimento (o il ritardo) siano stati determinati da impossibilità della prestazione derivata da causa oggettivamente non imputabile all’obbligato, situazione, quest’ultima, non riconducibile alla mera condizione psicologica di buona fede del debitore, e rapportabile, invece, all’impegno di cooperazione che, tenuto conto della natura del rapporto e delle circostanze del caso concreto (nonchè delle qualità soggettive del debitore), l’obbligato stesso è tenuto ad esplicare (Cass. n. 9714/2011 cit; nello stesso senso Cass. n. 9278/99, nonchè Cass. n. 7729/2004).

Nella specie, deve escludersi la possibilità di invocare l’esimente putativa, essendo mancata, da parte del lavoratore, ogni forma di cooperazione; tanto più essendosi il lavoratore ingiustificatamente rifiutato di presentarsi all’audizione disposta dal datore di lavoro, dove avrebbe potuto rappresentare, ben prima della sede giudiziaria, la propria condizione soggettiva di incolpevole affidamento.

12.- Il ricorso va, dunque, rigettato con la conferma della sentenza impugnata, dovendosi ritenere assorbite in quanto sinora detto tutte le censure non espressamente esaminate.

13.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2011

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