Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19293 del 19/07/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 19293 Anno 2018
Presidente: DORONZO ADRIANA
Relatore: DORONZO ADRIANA

ORDINANZA
sul ricorso 2256-2016 proposto da:
DE NICOLA LUCIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
DARDANELLI n.13, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE
TANGARI, che la rappresenta e difende;

– ricorrentecontro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE, C.F. 80078750587, in persona del legale rappresentante pro
tempore, domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARE\ 29, presso
la sede dell’AVVOCATURA CENTRALE dell’Istituto medesimo,
rappresentato e difeso unitamente e disgiuntamente dagli avvocati
EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULII, MAURO
RICCI;

– controricorrente –

Data pubblicazione: 19/07/2018

avverso la sentenza n. 6044/2015 della CORTE D’APPELLO di
ROMA, depositata il 22/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 06/06/2018 dal Presidente relatore Dott. ADRIANA
DORONZO.

con sentenza pubblicata il 22/7/2015, la Corte d’appello di Roma, in
parziale accoglimento dell’appello proposto da Lucia De Nicola, ha
riconosciuto alla ricorrente-appellante la condizione di handicap grave
ai sensi della legge n. 104 del 1992, dal settembre 2010; ha invece
rigettato la domanda volta ad ottenere l’indennità di
accompag,liamento, ritenendone insussistenti i presupposti;
contro la sentenza la De Nicola propone ricorso per cassazione sulla
base di due motivi, cui resiste con controricorso l’Inps;
la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata
comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza
in camera di consiglio.
Considerato:
con entrambi i motivi la parte denuncia la violazione dell’art. 360, n. 4
e 5 cod.proc.civ., lamentando l’erroneità della sentenza nella parte in
cui ha omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di
discussione tra le parti, costituito dalla consulenza tecnica di ufficio
disposta in grado d’appello, che aveva accertato la sussistenza delle
condizioni per l’accoglimento della domanda di indennità di
accompagnamento, ossia lo stato di non autosufficienza della
ricorrente nel compimento degli atti giornalieri della vita; censura
altresì la sentenza nella parte in cui, discostandosi radicalmente dalle
conclusioni del CTU, ha omesso di motivare sulle ragioni per
addivenire alla sua decisione;
Ric. 2016 n. 02256 sez. ML – ud. 06-06-2018
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Rilevato che:

i motivi che si affrontano congiuntamente per l’evidente connessione
che li lega sono manifestamente fondati;
la consulenza tecnica d’ufficio disposta in grado di appello, e
debitamente trascritta dalla ricorrente in ossequio al principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, ha accertato che la De

compiere gli atti quotidiani della vita (affanno nei passaggi posturali;
impossibilità di spogliarsi rivestirsi autonomamente; accovacciamento
non eseguibile; statica incerta; deambulazione con evidente zoppia,
necessitante di aiuto di terza persona, senza ausili);
il CTU ha concluso nei seguenti termini «La signora De Nicola Lucia
dal mese di gennaio 2013 si trova nelle condizioni previste dalla legge
18/80 per la concessione dell’indennità di accompagnamento,
prevalentemente per non autonomia nel compimento degli atti
quotidiani della vita»;
il giudice dell’appello, rigettando la domanda volta ad ottenere
quest’ultima prestazione, ha omesso di motivare le ragioni del dissenso
rispetto alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, che pure
richiama;
si è dunque in presenza di un vizio radicale della sentenza, che dà
luogo alla nullità della sentenza (Cass. n. 8053/2014), avendo, da un
lato, la Corte richiamato le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio
nominato nel giudizio di appello e, dall’altro, dissentito dalle stesse
senza alcuna motivazione;
non è qui in discussione il potere del giudice di merito di non recepire
le conclusioni del CTU, quanto piuttosto l’obbligo di motivare il suo
disaccordo, non potendo all’evidenza condividersi l’iter logico
scientifico del consulente e poi pervenire ad una soluzione diversa,

Ric. 2016 n. 02256 sez. ML – ud. 06-06-2018
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Nicola è affetta da un complesso morboso che non le consente di

senza dare adeguato riscontro del percorso logico seguito (Cass.
03/08/2004, n. 14849; Cass. 17/12/2010, n. 25569);
al riguardo, non appare condivisibile l’assunto dell’Inps, secondo cui si
sarebbe in presenza di un errore di fatto, denunciabile solo attraverso
lo specifico rimedio della revocazione: ricorre infatti questa ipotesi nel

fatti, risultante in modo incontrovertibile, sì che la valutazione sia
fondata sulla supposta inesistenza di un fatto, positivamente acquisito
nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito,
avrebbe determinato una diversa valutazione, sempre che dalla stessa
decisione non risulti che quello stesso fatto – denunciato come
erroneamente percepito – sia stato oggetto di giudizio;
tale presupposto appare carente nel caso in esame, atteso che ciò di cui
la ricorrente si duole è il mancato esame, da parte della corte
territoriale, delle ragioni medico legali illustrate nella consulenza
tecnica d’ufficio, che hanno formato oggetto di discussione tra le parti
e che, ove esaminate e correttamente valutate, avrebbero condotto ad
un risultato diverso: in altri termini si censura un giudizio fondato su
una costruzione logico-giuridica non compatibile con le risultanze
istruttorie;
deve infatti convenirsi con una recente pronuncia di questa Corte
secondo cui, di fronte ad un errore di percezione, solo se esso investe
un fatto incontroverso, è censurabile con la revocazione ordinaria, ai
sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.; quando, invece, investe una circostanza
che ha formato oggetto di discussione tra le parti, l’errore di
percezione è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 4,
c.p.c., per violazione dell’art. 115 c.p.c.;
tale norma, infatti, nell’imporre al giudice di porre a fondamento della
decisione le prove offerte dalle parti, implicitamente vieta di fondare la
Ric. 2016 n. 02256 sez. ML – ud. 06-06-2018
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caso in cui la valutazione del giudice sia inficiata da una percezione di

decisione su prove “immaginarie”, cioè reputate dal giudice esistenti,
ma in realtà mai offerte (Cass. 12/472017, n. 9356);
si è in presenza di un tipico error in judicando, sotto il profilo della
asserita erroneità del giudizio sul fatto (nel quale si estrinseca il vizio di
motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5), e non per l’affermazione, o

inesistente, o esistente, dalle risultanze processuali comprese nel
giudizio di legittimità), donde sia scaturita una determinata decisione
inficiata dalla erronea percezione (Cass. 11/02/2009, n. 3365; Cass.
Sez. Un., 30/10/2008, n. 26022);
tale orientamento è stato fatto proprio anche da recenti pronunce di
questa Corte, in cui si è affermato che “il mancato esame delle
risultanze della CTU integra un vizio della sentenza che può essere
fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1,
n. 5, c.p.c., risolvendosi nell’omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.” ( cfr. Cass.
13922/2016; Cass. 13.399/2018; 13770/2018);
il ricorso deve pertanto essere accolto, la sentenza cassata e rinviata alla
corte d’appello di Roma, in diversa composizione perché riesamini la
fattispecie alla luce dei principi di diritto su enunciati;
il giudice del rinvio provvederà anche le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata rinvia, anche per le
spese del presente giudizio, alla corte d’appello di Roma, in diversa
composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 giugno 2018

negazione, esplicita o implicita, di un fatto (invece risultante

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