Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19292 del 29/09/2016


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Cassazione civile sez. III, 29/09/2016, (ud. 13/07/2016, dep. 29/09/2016), n.19292

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3834-2014 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI

11, presso lo studio dell’avvocato PAOLO STELLA RICHTER, che lo

rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

SCHNALSTALER GLETSCHERBAHNEN SPA, in persona del legale

rappresentante pro tempore Dipl. Kfm. W.L.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati STEFAN THURIN, KARL ZELLER giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 759/2013 del TRIBUNALE di BOLZANO, depositata

il 16/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/07/2016 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito l’Avvocato STELLA RICHTER PAOLO;

udito l’Avvocato CALDERARA GIANLUCA per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Schnalstaler Gletscherbanhen s.p.a. convenne in giudizio S.G. per ottenere il risarcimento dei danni che questi aveva provocato, transitandovi con un fuoristrada, al manto erboso di un prato che l’attrice adibiva a pista sciistica durante la stagione invernale.

Il convenuto resistette alla domanda, che venne disattesa dal Giudice di Pace di Merano.

Il Tribunale di Bolzano ha accolto l’appello dell’attrice e ha condannato il convenuto al risarcimento del danno, quantificandolo in 847,34 Euro, oltre accessori.

Ricorre per cassazione lo S., affidandosi a due motivi (il primo dei quali articolato in cinque profili); resiste l’intimata a mezzo di controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente ha richiesto la “previa traduzione degli atti inseriti nel fascicolo d’ufficio… da parte dell’organo d’origine”, ai sensi del D.P.R. n. 574 del 1988, artt. 25 e 26.

La controricorrente ha dichiarato di associarsi alla richiesta di controparte, aggiungendo di contestare “la correttezza della traduzione dimessa da controparte”, sia per quanto riguarda il testo integrale della sentenza, che per gli estratti della medesima e della relazione di c.t.u. contenuti nel ricorso, assumendo che sussistono “notevolissimi errori che possono impedire una corretta valutazione del caso”.

Premesso che non si pone una questione di procedibilità del ricorso (in quanto il testo del D.P.R. n. 574 del 1988, art. 25 – come modificato dal D.Lgs. n. 283 del 2001, art. 12 – considera assolti gli “obblighi procedurali” mediante deposito della sentenza redatta in lingua tedesca), ritiene il Collegio che non sussista la necessità di richiedere la traduzione della sentenza e degli altri atti in quanto – attesa la genericità delle contestazioni della controricorrente – difettano elementi per ritenere che le traduzioni rimesse dal ricorrente non siano conformi agli originali in lingua tedesca.

2. Il Tribunale ha ritenuto ammissibile l’appello, rilevando che la domanda iniziale dell’attrice superava i 2.000,00 Euro e che anche il valore richiesto in sede di gravame – ridotto rispetto all’importo originario – era da considerare indeterminato in forza della clausola “o il danno maggiore o minore”.

Nel merito, ha osservato che:

-il primo giudice aveva errato nel non applicare il principio di non contestazione, ancorchè non fosse ancora entrato in vigore il testo novellato dell’art. 115 c.p.c.;

-la contestazione della domanda da parte del convenuto era stata “generica. relativamente alla guida ed al causare del danno”, ed equivaleva pertanto ad una non contestazione, “in quanto è irrilevante chi esattamente e su quale parte della pista ha guidato, se il convenuto non contesta immediatamente la paternità ma esprime semplicemente che tracce sulla pista non sono danni”: era pertanto da “darsi per accertato che il convenuto ha percorso le piste e causato tracce”;

-circa l’esistenza del danno, era “incontestato che il manto erboso è stato generalmente danneggiato come ramostrato in foto” e tale danno sussisteva a prescindere dalla circostanza che fosse stato o meno riparato;

-circa l’entità del danno, in difetto di promesse di pagamento concernenti un importo determinato o di una confessione o transazione sull’ammontare del risarcimento spettante, occorreva fare riferimento alla c.t.u. espletata in primo grado, pervenendosi alla quantificazione dell’importo di 847,34 Euro, “oltre IVA e interessi legali dalla sentenza al saldo”.

3. Il primo motivo del ricorso deduce la “violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, delle seguenti norme di diritto: art. 115 c.p.c.; art. 320 c.p.c.; artt. 319 e 329 c.p.c.; art. 152 c.p.c., L. n. 69 del 2009, art. 58; art. 2043 c.c.; art. 2697 c.c.”.

Il motivo è articolato in cinque punti, con cui si censura il Tribunale perchè “anticipa l’ambito di applicazione della novella dell’art. 115 c.p.c.” (punto 1a), “ritiene che il principio di non contestazione sia applicabile anche in presenza di contrastanti risultanze probatorie” (1b), “ritiene che gli assunti di parte attrice debbano a pena di decadenza essere necessariamente contestati nell’atto di costituzione in giudizio”; (1c), “non considera che una specifica contestazione debba necessariamente essere preceduta da una specifica allegazione fattuale e non debba comunque essere in contrasto con il principio nemo tenetur se ipsum accusare” (1d), viola “di conseguenza l’art. 2043 c.c. nel non considerare che necessariamente, per aversi condanna al risarcimento del danno, quesr’ultimo debba essere ricondotto alla condotta illecita del convenuto”.

4. Col secondo motivo (“inammissibilità dell’appello, violazione dell’art. 113 c.p.c. e del D.M. Grazia e Giustizia 5 ottobre 1994, n. 585, art. 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”), il ricorrente censura la sentenza per avere dichiarato ammissibile l’appello senza considerare che, con tale atto, la domanda era stata ridotta a 687,00 euro e che l’aggiunta “danno maggiore o minore” costituiva una mera clausola di stile.

5. Il secondo motivo (che va esaminato prioritariamente per la potenziale portata assorbente) è infondato: ciò che rileva è, infatti, il valore della domanda originaria (eccedente i 1.100,00 Euro) e la circostanza – consequenziale – che il G.d.P. non abbia pronunciato secondo equità.

6. In relazione al primo motivo, deve ritenersi che il Tribunale abbia impropriamente richiamato il principio di non contestazione a fronte di una posizione processuale del convenuto che – per un verso (ossia in relazione al fatto storico dell’avvenuto transito sui prati) – comportava l’espressa ammissione di una condotta e – per altro verso (ossia in relazione alla circostanza che il danno lamentato dall’attrice fosse conseguito a predetto transito)- si sostanziava in una espressa contestazione della responsabilità.

Quello che il Tribunale ha – in effetti – inteso valorizzare è il dato della confessione (giudiziale) del transito a mezzo del fuoristrada; su questa premessa fattuale, ha ritenuto di poter compiere un accertamento di natura presuntiva circa la riconducibilità al transito compiuto dall’attore delle tracce degli pneumatici riscontrate dal consulente, tenuto conto che il danneggiamento del manto erboso costituisce un effetto ordinario del transito di un veicolo e che non erano emerse evidenze univoche sulla riferibilità di tali tracce ad altri mezzi.

Così ricostruita l’effettiva ratio della decisione (ed in tal senso corretta la motivazione della sentenza impugnata), deve rilevarsi che il ricorso – tutto incentrato sulla contestazione dell’operatività del principio di non contestazione – non ha sottoposto a specifica censura i passaggi attraverso i quali il giudice di appello è pervenuto a imputare alla condotta confessata dell’odierno ricorrente i danni sofferti dall’attrice (passaggi che, per quanto detto, fanno leva sulla relazione di c.t.u. e su valutazioni di ordine presuntivo).

Ne consegue che il ricorso dev’essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

6. Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 1.300,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre rimborso delle spese forfettarie e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2016

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