Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19288 del 10/09/2010

Cassazione civile sez. III, 10/09/2010, (ud. 24/06/2010, dep. 10/09/2010), n.19288

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA TIBURTINA 228 INT. 5, presso lo studio dell’avvocato MARIA

LUCIA SERAFINI, rappresentato e difeso dall’avvocato FALVO GENNARO

giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.P., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA G. PISANELLI 2, presso lo studio dell’avvocato DI MEO

STEFANO, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 269/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

emessa il 28/06/2004, depositata il 15/03/2005; R.G.N. 1172/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/06/2010 dal Consigliere Dott. MAURIZIO MASSERA;

udito l’Avvocato Stefano DI MEO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico che ha concluso per il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 28 agosto 2001 il Tribunale di Rossano rigettava la domanda proposta da C.P., il quale aveva chiesto la condanna di B.A. al risarcimento del danno conseguente e al furto della propria autovettura, che aveva affidato alla custodia del convenuto per l’esecuzione del “tagliando”.

Con sentenza in data 28 giugno 2004 – 15 marzo 2005 la Corte d’Appello di Catanzaro condannava il B. a pagare al C. la somma di Euro 7.746,85 oltre interessi e spese del doppio grado.

La Corte territoriale osservava per quanto interessa: il contratto all’origine della controversia era atipico a causa mista in quanto partecipava sia della natura di contratto d’opera, sia di quello di deposito, che impone all’affidatario la diligenza del buon padre di famiglia nei limiti del caso fortuito e della forza maggiore;

risultava che il veicolo era stato sottratto senza violenza o minaccia alle persone, per cui era escluso il caso fortuito; non era stato provato – e neppure dedotto – che gli accessi al locale in cui era custodita l’autovettura fossero muniti di dispositivo antifurto;

la restituzione del veicolo al proprietario era stata concordata per il terzo giorno successivo alla consegna e il furto era stato commesso entro tale lasso di tempo; il danno andava determinato considerando che il veicolo era stato sottratto dopo un mese dall’acquisto e poi ritrovato a distanza di cinque anni.

Avverso la suddetta sentenza il B. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il C. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1768, 2697 c.c. dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 118 disp. att. c.p.c.; omessa applicazione dell’art. 1768 c.c., comma 2;

violazione art. 113, n. 4 c.p.c. per omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Il motivo non indica a quale delle diverse ipotesi descritte nell’art. 360 c.p.c. si faccia riferimento e contiene una pluralita’ di censure, anche disomogenee tra loro, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4.

Il ricorrente assume che, essendo gratuito il deposito, la responsabilita’ per colpa e’ valutata con minior rigore. Ma egli, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non ha dimostrato di avere proposto il tema all’esame della Corte territoriale, che peraltro ha sostanzialmente valutato la gravita’ della colpa, affermandone la concreta sussistenza.

Inoltre egli sostiene che la diligenza del buon padre di famiglia e’ presunta e che quindi gravava sul C. dimostrarne la mancanza.

La tesi, oltre ad essere infondata per la ragione appena sopra indicata, contrasta con la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui (Cass. Sez. 3^, n. 15490 del 2008), il depositante, il quale lamenti che la cosa depositata abbia subito danni durante il deposito, in giudizio ha il solo onere di provare l’esistenza del contratto e dei danni, mentre e’ onere del depositario dimostrare che questi ultimi preesistevano alla consegna, ovvero non siano da attribuirsi a propria responsabilita’.

Anzi, e’ stato autorevolmente affermato (Cass. Sez. 3^, n. 5736 del 2009) che, in caso di perdita della cosa depositata in seguito a furto, il depositario non si libera della responsabilita’ “ex recepto” provando di avere usato nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia prescritta dall’art. 1768 c.c., e cioe’ di avere disposto un adeguato servizio di vigilanza, ma deve provare a mente dell’art. 1218 c.c. che l’inadempimento sia derivato da causa a lui non imputabile. Il relativo accertamento costituisce un apprezzamento di fatto, come tale insuscettibile di esame in sede di legittimita’, se debitamente motivato.

Quest’ultima affermazione esonera dall’esaminare le ulteriori argomentazioni addotte con il primo motivo poiche’ esse attengono proprio all’accertamento delle cause dell’inadempimento, su cui la sentenza impugnata ha offerto congrua motivazione, escludendo il caso fortuito e la forza maggiore.

Il secondo motivo ipotizza violazione dell’art. 2697 c.c. sotto diverso profilo e in relazione alla quantificazione del danno;

violazione dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 118 disp. att. c.p.c..

Anche questo motivo e’ privo del necessario riferimento all’art. 360 c.p.c..

La censura, pur prospettando violazioni di norme di diritto, in realta’ stigmatizza una valutazione di merito, cioe’ la quantificazione del danno ex adverso lamentato. Infatti poggia su ampi riferimenti alle risultanze processuali e su argomentazioni che implicano accertamenti e apprezzamenti di fatto, tutte attivita’ non consentite al giudice di legittimita’.

Il terzo motivo lamenta falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. Le argomentazioni a sostegno contengono ampi riferimenti a situazioni fattuali e ad apprezzamenti di fatto, la cui trattazione non e’ consentita in sede di legittimita’ e inoltre si rivelano assolutamente generiche e astratte, quindi inammissibili.

Pertanto il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2010

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