Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19287 del 29/09/2016


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Cassazione civile sez. III, 29/09/2016, (ud. 06/07/2016, dep. 29/09/2016), n.19287

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28252/2013 proposto da:

M.N., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, V.

BLUMENSTIHL 55, presso lo studio dell’avvocato CATERINA BINDOCCI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALFREDO BRAGAGNI giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO

3, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO GIANNI, rappresentata e

difesa dall’avvocato LUCA MONTEMAGGI giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1623/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 31/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/07/2016 dal Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO;

udito l’Avvocato FELISSO LAVINIA;

udito l’Avvocato LUCA MONTEMAGGI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. M.N., quale conduttore dell’immobile di proprietà di F.L., citava quest’ultima in giudizio per ottenere il rimborso delle spese sostenute per riparazioni necessarie ad eliminare infiltrazioni di umidità; la locatrice contestava la domanda, eccependo che il degrado era preesistente al contratto di locazione.

2. Il tribunale accoglieva la domanda e condannava F.L. al pagamento della somma di Euro 48.310,80 in favore del M.; la Corte d’appello riformava integralmente la sentenza di primo grado sulla considerazione che si trattava di vizi preesistenti, che legittimavano i rimedi di cui all’art. 1578 c.c. (risoluzione del contratto o riduzione del corrispettivo, oltre ai danni) e non autorizzavano, invece, il conduttore ad eliminarli a spese del proprietario.

3. Contro la sentenza di appello propone ricorso per cassazione il M., articolando 7 motivi di censura; resiste con controricorso F.L.. Il M. deposita memoria difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., dovendosi ritenere l’appello inammissibile per mancata indicazione delle parti della sentenza impugnate e per mancata indicazione delle modifiche richieste.

2. Questo motivo di ricorso è inammissibile per mancanza di autosufficienza e di specificità, non essendo riportati i motivi di appello che sarebbero affetti da inammissibilità; in ogni caso, il motivo si sostanzia in una censura di merito sulla motivazione adottata dalla Corte d’appello, sul punto, alle pagine 5-6 della sentenza, senza tener conto dei limiti di deduzione dei vizio di motivazione attualmente vigenti; il ricorso per cassazione, infatti, è disciplinato, quanto ai motivi deducibili, dalla legge temporalmente in vigore all’epoca della proposizione dell’impugnazione, in base al generale principio processuale “tempus regit actum”. Poichè la sentenza di appello è stata pubblicata dopo il trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, (vale a dire dopo l’11 settembre 2012), trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella nuova formulazione restrittiva introdotta dell’art. 54, comma 1, lett. b), del suddetto D.L. (cfr. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 26654 del 18/12/2014, Rv. 633893). In ogni caso, la sentenza ha argomentato in modo specifico, approfondito e logico in ordine alla ritenuta specificità dei motivi di appello, senza che questa Corte di legittimità possa oggi ingerirsi in valutazioni di merito che non le competono.

3. Con un secondo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1575, 1576, 1577 e 1578, in relazione alla qualificazione dei difetti riscontrati quali vizi invece che come guasti suscettibili di riparazione; secondo il ricorrente la Corte fiorentina avrebbe errato nel ritenere che i fenomeni da lui denunziati fossero vizi e non guasti.

4. Anche questo motivo di ricorso non può essere accolto; in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171). Poichè nel caso di specie si censura la ritenuta sussistenza di vizi originari della cosa (che il ricorrente ritiene guasti verificatisi successivamente), in realtà si compie una critica che afferisce a valutazioni di fatto e dunque alla motivazione della sentenza. E allora, bisogna ricordare che costituisce causa di inammissibilità del ricorso per cassazione l’erronea sussunzione del vizio, che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità, nell’una o nell’altra fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c. (sez. 3, Sentenza n. 21165 del 17/09/2013, Rv. 628690). Si richiama, comunque, quanto affermato al punto precedente circa la modifica normativa dell’art. 360, n. 5, che oggi non consente di dedurre il vizio di motivazione, se non in caso di mera apparenza o mancanza grafica della stessa. Circostanza certamente non ricorrente nel caso di specie, avendo la Corte argomentato in modo approfondito sul punto e, peraltro, nel rispetto delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza di legittimità, laddove ha osservato che non è il momento di insorgenza, ma la natura del difetto che rileva ai fini della sua qualificazione come vizio originario o come successivo deterioramento per difetto di manutenzione. La Corte ha poi ritenuto, sulla base di una motivazione specifica, contenuta nell’ultimo capoverso della pagina 7, che la mancanza di protezioni essenziali e di un’adeguata impermeabilizzazione della copertura, entrambe riconducibili alla incompletezza dei lavori di costruzione, costituissero vizi strutturali preesistenti alla locazione (si ricorda che costituiscono vizi della cosa locata agli effetti dell’art. 1578 c.c. – la cui presenza non configura un inadempimento del locatore alle obbligazioni assunte ai sensi dell’art. 1575 c.c., ma altera l’equilibrio delle prestazioni corrispettive, incidendo sull’idoneità all’uso della cosa stessa e consentendo la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo, ma non l’esperibilità dell’azione di esatto adempimento – quelli che investono la struttura materiale della cosa, alterandone l’integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se eliminabili e manifestatisi successivamente alla conclusione del contratto di locazione; cfr. Sez. 3, Sentenza n. 24459 del 21/11/2011, Rv. 620557).

5. Pertanto, anche le precisazioni contenute nella memoria difensiva non sono pertinenti, dato che il motivo di ricorso tende ad acclarare un principio (che la differenza tra vizio e guasto vada ricercata nella natura e non nell’entità del fenomeno) che non si discosta affatto da quello applicato dalla Corte territoriale. E’ del tutto evidente, pertanto, che alcuna violazione di legge vi è stata da parte della Corte e che le lamentele formulate dal ricorrente si sostanziano in censure di merito contro la motivazione, inammissibili in questa sede di legittimità.

6. Con un terzo motivo di ricorso denuncia omesso esame delle foto del computo metrico allegato all’accertamento tecnico preventivo, contenente la descrizione degli interventi eseguiti dal signor M.; il motivo è inammissibile, sia per mancanza di autosufficienza, non risultando allegati al ricorso i documenti su cui si fonda la censura, sia perchè tenta di indurre questa Corte ad un riesame delle prove, non consentito in questa sede di legittimità (peraltro, mediante una valutazione operata in modo del tutto frammentario, senza tener conto anche delle altre risultanze di causa). I passi riportati nel motivo di ricorso non fanno altro che confermare l’esattezza della valutazione compiuta dal tribunale in ordine all’esistenza di vizi ed alla loro natura strutturale. Manca, infine, una adeguata argomentazione in ordine alla decisività delle prove asseritamente non valutate e la stessa eccezione di omessa valutazione è del tutto apodittica, non essendo certo sufficiente il mancato richiamo espresso di una prova a far ritenere che il giudice non l’abbia valutata.

7. Con un quarto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., con riferimento alla presunzione che gli ammaloramenti riscontrati sarebbero stati sussistenti fin dalla consegna dell’immobile; il motivo è inammissibile perchè, ancora una volta, deduce come violazione di legge una censura in fatto, che ricade nell’ambito dei vizi di motivazione. Si richiamano pertanto le considerazioni svolte con riferimento al secondo motivo di ricorso.

8. Con un quinto motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 1331 c.c., laddove non sono stati riconosciuti valore, validità ed efficacia alla clausola contrattuale con cui si dava atto del buono stato di manutenzione dell’immobile; anche questo motivo di ricorso non può essere accolto. Prima di tutto, non si dice quale sarebbe stata la violazione dell’art. 1321 c.c., il quale, peraltro, sancisce solamente la natura convenzionale del contratto. In secondo luogo, ciò che in sostanza si censura è l’attività interpretativa della Corte, che costituisce valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità, ove adeguatamente, come nel caso di specie, motivata. Infine, il ricorso è pure privo della necessaria autosufficienza, non essendo stata prodotta una copia del contratto, nè essendo indicato dove e se si trova tale documento nei fascicoli di causa.

9. Con un sesto motivo di ricorso si censura la violazione dell’art. 2730 del codice civile; valgano le considerazioni espresse con riferimento al motivo precedente. Innanzitutto, non è dato comprendere quale norma contenuta nell’art. 2730, sia stata violata dalla Corte d’appello di Firenze, per cui il motivo è privo della necessaria specificità. In ogni caso, la volontà delle parti non è certo idonea ad immutare il vero e pertanto, se anche vi fosse stato il riconoscimento bilaterale dell’assenza di vizi, la successiva scoperta degli stessi non potrebbe certamente imporre una diversa qualificazione, potendo semmai operare su un piano diverso e cioè come esonero convenzionale da responsabilità, come correttamente ritenuto dalla Corte fiorentina.

10. Infine, con un settimo motivo si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2728 c.c., per omessa valutazione di fatti decisivi, costituiti dalla deposizione del teste D.G., dalla natura della pratica edilizia e dalle ragioni per le quali fu deciso di concedere in locazione l’immobile per un solo anno. Anche questo motivo, pur essendo parzialmente rubricato come violazione di legge, consiste in realtà in censure di merito sulla valutazione delle prove, non consentite in sede di legittimità, tantomeno nella nuova formulazione restrittiva dell’art. 360 c.p.c., n. 5. In ogni caso, il motivo è pure generico e non autosufficiente, con particolare riferimento ai dedotti problemi di natura urbanistica, di cui peraltro sfugge la rilevanza ai fini della denuncia del vizio di cui all’art. 360, n. 4 (così come rubricato ed indicato altresì nel corpo del motivo).

11. Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione possono essere compensate, in virtù della complessità delle questioni esaminate e della decisione difforme in primo grado. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17: “Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

PQM

Rigetta il ricorso e compensa le spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2016

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