Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19285 del 22/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 22/09/2011, (ud. 15/06/2011, dep. 22/09/2011), n.19285

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29552-2007 proposto da:

CENTRO CURA SAN MICHELE S.R.L., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VTA DELLA VITE 7,

presso lo studio dell’avvocato MASINI MARIA STEFANIA, rappresentata e

difesa dall’avvocato CORRIAS PIER GIORGIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 568/2006 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 17/11/2006 r.g.n. 593/05 + altre;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con cinque distinti ricorsi la Centro di cura San Michele s.r.l, proponeva opposizione, dinanzi al Tribunale di Cagliari, in funzione di giudice del lavoro, avverso altrettanti decreti ingiuntivi -rispettivamente n. 712/03, 850/03, 973/03, 3/04 e 59/04 – con i quali lo stesso Giudice, rispettivamente in data 21 ottobre, 25 novembre e 20 dicembre 2003, 8 e 21 gennaio 2004, provvedendo in conformità alla domanda di D.R., aveva ingiunto ad essa società il pagamento delle rispettive somme di Euro 4.916,68, 1.229,17, 1.229,17, 2.458,34 e 27.245,29, a titolo di mensilità da giugno ad agosto e quattordicesima mensilità 2003, settembre 2003, ottobre 2003, da agosto 2000 a maggio 2003, dicembre e tredicesima mensilità 2003, dovute a seguito dell’annullamento del licenziamento intimato alla D. il 10 agosto 2000 e dell’ordine di reintegrazione disposto con sentenza 30 maggio 2003 dallo stesso Tribunale.

L’opponente sosteneva che la sentenza, con la quale era stata disposta la reintegrazione della D. nel posto di lavoro e condannata la società Centro San Michele a corrispondere le mensilità di retribuzione, non costituiva titolo idoneo per il procedimento monitorio atteso che si trattava di una sentenza generica che richiedeva la necessità di un ulteriore giudizio per la liquidazione del quantum. La stessa sentenza, inoltre, dato atto che la lavoratrice aveva svolto attività lavorativa a favore di altri soggetti nel periodo successivo al licenziamento, aveva statuito che il concreto risarcimento del danno doveva essere determinato solamente dopo l’accertamento, appunto nell’ambito di un separato giudizio, del cd. aliunde perceptum; accertamento assolutamente necessario giacchè, per quanto era a conoscenza della società, la D. dopo il licenziamento aveva svolto la propria attività lavorativa non solamente in favore di un imprenditore ma anche in favore di altri soggetti fra i quali vari privati.

In ogni caso – precisava la società opponente, i criteri di calcolo utilizzati dalla D. per determinare le retribuzioni non erano corretti giacchè la somma di Euro 760,00 richiesta era di gran lunga superiore a quella media percepita di fatto nell’ultimo periodo prima del licenziamento.

Tutto ciò premesso la Centro di cura San Michele s.r.l. chiedeva, previa sospensione e/o revoca della provvisoria esecutività dei decreti ingiuntivi n. 973/03 e 59/04, la revoca delle ingiunzioni e l’assoluzione da ogni avversa domanda.

Il Giudice disponeva la riunione delle cause relative alle opposizioni ai decreti n. 3/04 e 59/04, stante l’identità delle questioni dalla cui definizione dipendeva la decisione.

Istruite le quattro cause con produzioni di documenti, le opposizioni venivano rigettate rispettivamente con sentenze 21 luglio – 19 ottobre 2004, 24 febbraio – 31 maggio 2005, 22 ottobre – 20 novembre 2004 e 24 febbraio – 31 maggio 2005.

Con sentenza dell’11 ottobre – 17 novembre 2006, l’adita Corte d’appello di Cagliari, riunite le cause rigettava il gravame proposto dalla soccombente società, osservando che i decreti ingiuntivi erano stati emessi correttamente sulla base non solo della pronuncia di illegittimità del licenziamento e della relativa condanna ma anche di altra idonea documentazione specificamente indicata.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la società con tre motivi.

La D. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il Centro di Cura San Michele, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 633 e 634 c.p.c. e L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4 nonchè difetto di motivazione, si duole che il Giudice d’appello – come, del resto, il Giudice di primo grado – abbia ritenuto che la sentenza di annullamento del licenziamento intimato dalla società Centro di cura San Michele alla D. e condannato la datrice di lavoro al risarcimento del danno, da commisurarsi alle retribuzioni globali di fatto maturate dalla data del licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegrazione, previa decurtazione dell’aliunde perceptum, potesse costituire prova scritta di un diritto certo, liquido ed esigibile.

Ed avrebbe errato il Giudice d’appello, altresì, nell’attribuire al procedimento per ingiunzione una funzione di determinazione del credito mentre il procedimento monitorio presuppone, al contrario, l’esistenza e la prova di un credito liquido, esigibile, esattamente determinato nel suo ammontare senza possibilità di procedere a calcoli o aggiunte e che abbia tali caratteristiche già al momento del deposito del ricorso. Il motivo è infondato, Invero, come opportunamente rimarcato dal Giudice d’appello, deve osservarsi, a sostegno della correttezza della impugnata decisione, non solo che, a seguito dell’opposizione il procedimento per ingiunzione si trasforma in un ordinario giudizio di cognizione nel quale l’opponente – formalmente attore ma sostanzialmente convenuto – può far valere tutte le proprie azioni ed eccezioni (tra le tante, Cass. n. 17494/2009), ma anche e soprattutto che, nella specie, correttamente sono stati emessi i decreti ingiuntivi opposti, essendo gli stessi fondati: a) sulla pronuncia di illegittimità del licenziamento con cui era stata sancita la condanna del Centro di cura San Michiele a reintegrare la lavoratrice ed il risarcimento del danno da commisurarsi alle retribuzioni globali di fatto dalla data del licenziamento fino a quella della effettiva reintegrazione, previa decurtazione dell’aliunde perceptum; b) sulla determinazione dell’liunde perceptum, avendo la D., nel ricorso che aveva portato all’emissione dell’ingiunzione n. 618/03, ammesso di aver prestato attività lavorativa retribuita presso il Centro Fisioterapico (OMISSIS) percependo compensi per un ammontare complessivo di Euro 21.139,68 -risultanti dai modelli CUD e dai “fogli compensi per prestazioni prelazione ai mesi da gennaio a maggio 2003 prodotte dalla lavoratrice”-, che aveva detratto dal credito di Euro 51.043,41 relativo alle retribuzioni maturate dal 1 agosto 2000 al 30 maggio 2003, chiedendo, quindi, esclusivamente la differenza pari ad Euro 27.245,29 al netto del contributi previdenziali; c) sui prodotti contratti collettivi successivi al licenziamento (2 luglio 2001) con le relative tabelle salariali contenenti i nuovi minimi salariali nel frattempo aggiornati.

Pertanto, contrariamente all’assunto della ricorrente, a fondamento dei decreti ingiuntivi, oltre alla richiamata sentenza di condanna risarcitoria, è stata posta ulteriore documentazione idonea di per sè ai fini della determinazione del Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, e difetto di motivazione, sostiene che la retribuzione globale di fatto da prendere a base del risarcimento del danno non sarebbe suscettibile di aggiornamento e si dovrebbe calcolare la media delle retribuzioni dell’ultimo periodo.

Anche questo motivo è privo di fondamento.

Invero, la giurisprudenza richiamata dalla ricorrente – secondo cui il riferimento da parte della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, (modificato dall’art. 1 della legge n. 108 del 1990) alla “retribuzione globale di fatto”, per la determinazione dell’indennità dovuta al lavoratore illegittimamente licenziato in relazione al periodo intercorrente tra la data del licenziamento e quello della reintegrazione nel posto di lavoro, implica la rilevanza della media dei compensi corrisposti di fatto nell’ultimo periodo prima del licenziamento, anche se tale procedimento può comportare una discrepanza rispetto a quanto sarebbe dovuto in base agli elementi fissi e continuativi della retribuzione – si riferisce ad un caso in cui il giudice di merito aveva valorizzato le retribuzioni risultanti dalle buste paga prodotte, relative agli ultimi quattro mesi prima del licenziamento, in cui erano state prestati orari complessivi molto differenziati) (Cass. n. 9307/2000). Nel caso in esame, la specifica questione sottoposta all’esame della Corte riguarda l’aggiornamento delle retribuzioni, e la soluzione ad essa offerta dal Giudice d’appello appare corretta considerata la natura risarcitoria delle somme spettanti al lavoratore in seguito all’illegittimo licenziamento rispetto alla quale l’aggiornamento è espressione di detta natura.

Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 420 c.p.c., artt. 2697 e 1227 c.c. in relazione alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, ed alla L. n. 108 del 1990, art. 1 nonchè difetto di motivazione, assume che la Corte d’appello, ai fini della determinazione della somme eventualmente dovute alla D., avrebbe dovuto considerare non solo le retribuzioni percepite per l’attività svolta a favore di terzi ma anche quanto la D. avrebbe continuato a percepire se non si fosse volontariamente dimessa e non avesse tenuto un comportamento che ha concorso al verificarsi del predetto danno.

La censura non può essere condivisa, in quanto, mentre con riguardo all’aliunde perceptum già si è detto esaminando il primo motivo di ricorso, in ordine all’aliunde percipiendum concernente le dimissioni della D. dal suo lavoro presso il Centro Fisioterapico (OMISSIS), la Corte d’appello ha motivato esaurientemente le ragioni del rigetto della richiesta.

Ha osservato in proposito che nel periodo successivo al 30 maggio 2003 -data della pronuncia della sentenza che dichiarò illegittimo il licenziamento ordinando la reintegrazione della lavoratrice e condannando la società al risarcimento del danno – non può essere ravvisato nel comportamento tenuto dalla D. alcun elemento di colpevolezza. Ciò in quanto risultava accertato che la D. si era dimessa dalla Centro Fisioterapico (OMISSIS) il (OMISSIS), dopo aver appreso, dalla lettura del dispositivo della sentenza, di essere stata reintegrata nel posto di lavoro. La stessa, inoltre, prestava la propria opera presso il Centro Fisioterapico (OMISSIS) non già nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato bensì in quello, assai meno garantito, di collaborazione continuativa e coordinata; la lavoratrice aveva, perciò, uno specifico interesse a riprendere il rapporto presso il Centro di cura San Michele.

A tanto era da aggiungersi – prosegue il Giudice a quo – il corretto atteggiamento della lavoratrice per ben due volte, dapprima il 17 giugno e quindi il 17 luglio 2003, aveva formalmente dichiarato, per mezzo del proprio legale, alla Centro di cura San Michele di mettere a sua disposizione le proprie energie lavorative, senza ottenere dal datore di lavoro alcuna risposta, sicchè l’insieme di queste circostanze conduceva a ritenere che la D., in buona fede, a fronte di una sentenza provvisoriamente esecutiva, che ordinava la sua reintegrazione nel posto di lavoro, confidasse di essere effettivamente e tempestivamente riammessa al lavoro.

La conferma, poi, della correttezza del comportamento della D. andava, inoltre, ravvisato nella condotta successiva da lei tenuta, considerato che – puntualizza la Corte di merito – la lavoratrice preso atto, in conseguenza del protrarsi del comportamento totalmente omissivo, che il Centro di cura San Michele non aveva alcuna intenzione di riammetterla al lavoro dando esecuzione alla sentenza del tribunale, si era riattivata per reperire una nuova occupazione che aveva trovato solamente dal marzo del 2004, riavviando “una collaborazione di natura occasionale con il dott. M.P. G.” percependo “il compenso di L. 15.000 ad ora nette …”.

Sulla base di tale accertamento, il Giudice d’appello ha coerentemente concluso che, valutato, anche sotto un profilo comparativo, il comportamento delle parti doveva ritenersi che a fronte di una condotta della D. improntata ad assoluta correttezza e buona fede si fosse contrapposto un atteggiamento di sicura scorrettezza della Centro di cura San Michele che non si era curata neppure di dare una risposta alle lettere con le quali la lavoratrice metteva a disposizione le proprie energie lavorative chiedendo la riammissione al lavoro.

Pertanto, in questo contesto doveva escludersi che la D. potesse evitare parte dei danni, da attribuirsi, invece, in via esclusiva alla condotta tenuta della Centro di cura San Michele.

Trattandosi di valutazioni di merito, supportate da adeguata motivazione, e come tali non inficiate dalla diversa prospettazione dei fatti formulata dalla ricorrente, il motivo va disatteso.

Per quanto precede, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, non avendo la D. svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2011

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