Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19282 del 22/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 22/09/2011, (ud. 14/06/2011, dep. 22/09/2011), n.19282

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 618-2010 proposto da;

FALLIMENTO LIFE HOSPITAL S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA CAMILLUCCIA

19,, presso lo studio dell’avvocato MARCONE CLAUDIO, rappresentata e

difesa dall’avvocato GALARDO GIOVANNI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO SAN GIUSEPPE S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALFREDO FUSCO

104, presso lo studio dell’avvocato CAIAFA ANTONIO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

R.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TEODORO

MONTICELLI 12, presso lo studio dell’avvocato STUDIO PANNONE PILEGGI

MATERA, rappresentato e difeso dall’avvocato PANNONE OTTAVIO, giusta

delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3020/2009 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 06/06/2009 r.g.n. 8936/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/06/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato PANNONE OTTAVIO;

è comparso l’Avvocato SOLDINI PATRIZIA per delega CAIAFA ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 6.11.2007, R.R. proponeva appello avverso la sentenza resa dal Tribunale di S. Maria C. Vetere, in funzione di giudice del Lavoro, il 30.1/15.3.2007, con la quale era stata rigettata la propria domanda, diretta ad ottenere l’accertamento della continuazione e definitiva costituzione del suo rapporto di lavoro con la società Life Hospital S.p.A -cessionaria, in seguito a contratto di affitto, dell’azienda facente capo alla San Giuseppe S.p.A.- a far data dal 13.12.2001, o dalla diversa data ritenuta di giustizia, a norma dell’art. 2112 c.c., con ordine alla cessionaria di provvedere al ripristino della concreta funzionalità del rapporto di lavoro, nelle mansioni equivalenti, con la qualifica di inquadramento precedentemente ricoperta ed ordine di immediata reintegra. Il lavoratore ripercorreva la propria vicenda lavorativa già illustrata nel ricorso introduttivo circa:

– lo svolgimento di mansioni di operaio addetto alla manutenzione presso la casa di cura Centro Praxis, di cui era titolare la San Giuseppe S.p.A., dichiarata fallita con sentenza del 13-21.12.1999

la conclusione del contratto di affitto di azienda intercorso tra il fallimento San Giuseppe e la società LIFE HOSPITAL in data 13.12.2001; il richiamo, da parte di tale contratto di affitto di azienda, della intesa sindacale del 7.12.01 effettuata a norma della L. n. 428 del 1990, art. 47;

il contenuto della predetta intesa sindacale, diretta a realizzare il rientro graduale dei lavoratori già dipendenti della San Giuseppe presso Life Hospital immessa nel possesso dei beni affittati con obbligo ad esercitare l’attività sanitaria e previsione della riapertura del Centro Praxis nel giugno2002;

la intervenuta sospensione del rapporto di lavoro da parte del fallimento San Giuseppe in data 15.3.2002;

la violazione, da parte della Life Hospital, delle intese raggiunte, avendo disposto il rientro solo di 15 unità lavorative;

la reiterata offerta della propria prestazione lavorativa anche attraverso la costituzione, nel 1998, di una cooperativa finalizzata a salvaguardare i posti di lavoro.

L’appellante deduceva l’erroneità della pronunzia impugnata, laddove, in mancanza di istruzione della causa ai fini dell’accertamento della continuazione o meno dell’attività dell’impresa, aveva ritenuto la sussistenza di tutti i presupposti di cui alla L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 5 per la deroga all’art. 2112 c.c. ed, in particolare, aveva affermato che era cessata l’attività dell’azienda fallita.

Aggiungeva che, in ogni caso, l’accordo sindacale, recepito dal contratto di affitto di azienda, aveva previsto il riassorbimento graduale di tutti i lavoratori alle dipendenze della San Giuseppe SPA, con la conseguenza che doveva ritenersi, anche per tale via, la piena operatività del disposto della norma dell’art. 2112 c.c..

Sosteneva, inoltre, che senza che fosse stata sollevata eccezione sul punto e, pertanto, in violazione dell’art. 112 c.p.c., il Giudice di primo grado aveva ritenuto che non fosse stato impugnato l’accordo sindacale del 7.12.2001 concluso nell’ambito del trasferimento di azienda.

Alla stregua di tali rilievi e censure, chiedeva, in riforma della impugnata decisione, l’accoglimento integrale della domanda introduttiva.

Il Fallimento San Giuseppe S.p.A., in persona del curatore, che aveva spiegato intervento volontario nel giudizio di primo grado, concludeva, aderendo alle deduzioni di parte appellante, per l’accoglimento della domanda formulata da parte ricorrente, ponendo a carico esclusivo dell’affittuaria, in conseguenza del dichiarato ripristino della concreta funzionalità del rapporto, le retribuzioni maturate, oltre accessori di legge.

La curatela del Fallimento Life Hospital SPA, costituitasi, eccepiva la incompetenza funzionale del giudice del lavoro riguardo a tutte le domande dirette oramai ad ottenere pretese di natura patrimoniale sia pure celate dietro apparenti domande di mero accertamento.

Nel merito sosteneva la inapplicabilità dell’art. 2112 c.c. sulla base della L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 5. Concludeva per il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.

Con sentenza del 13 maggio-6 giugno 2006, l’adita Corte d’appello di Napoli, in parziale accoglimento del gravame, dichiarava la continuazione del rapporto di lavoro tra l’appellante e Life Hospital S.p.A. poi curatela fallimento Life Hospital S.p.A. dal 13.12.2001, trattandosi, tra l’altro, di lavoratore non eccedentario e, come tale, titolare del diritto al passaggio.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre il Fallimento Life Hospital S.p.A. con due motivi.

Resistono R. e il Fallimento San Giuseppe con separati controricorsi. Sono state depositate memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente osservato, per una più agevole esposizione delle ragioni poste a base del ricorso in esame, che oggetto della controversia, come manifestatosi nei gradi di merito e riproposto nel presente giudizio di legittimità, è il tema dell’applicabilità dell’art. 2112 c.c. alle imprese sottoposte a procedura concorsuale.

Per esse vi è il disposto della L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 5, che così recita: “Qualora il trasferimento riguardi aziende o unità produttive delle quali il CIPI abbia accertato lo stato di crisi aziendale a norma della L. 12 agosto 1977, n. 675, art. 2, comma 5, lett. e), o imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di fallimento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all’amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata e nel corso della consultazione di cui ai precedenti commi sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l’acquirente non trova applicazione l’art. 2112 c.c., salvo che dall’accordo risultino condizioni di miglior favore. Il predetto accordo può altresì prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che quest’ultimo continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell’alienante”.

La norma introduce indubbiamente una deroga alla generale operatività dell’art. 2112 c.c. stabilendo che, nel caso in cui la continuazione dell’attività imprenditoriale non sia continuata o sia cessata, nel corso degli accordi conclusi nell’ambito delle consultazioni sindacali, previste dalla L. n. 428 del 1990, art. 47, primi tre commi ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l’acquirente non si applica l’art. 2112 c.c., a meno che non sia l’accordo stesso a prevedere condizioni di miglior favore.

Ciò significa che le assunzioni da parte dell’impresa subentrante possono avvenire ex novo, senza conservazione dell’anzianità pregressa, senza applicazione del principio di cui all’art. 2103 c.c. e così via. In pratica, il legislatore ha previsto ampia possibilità per l’impresa subentrante di concordare condizioni contrattuali per l’assunzione ex novo dei lavoratori, in deroga a quanto prevede l’art. 2112 c.c. ed ha altresì previsto la possibilità di escludere parte del personale eccedentario dal passaggio.

Ma la deroga, finalizzata ad incentivare l’assunzione dei lavoratori e, quindi, la conservazione dei livelli occupazionali, opera solo qualora possa identificarsi un accordo collettivo idoneo a costituire la norma (derogatoria) che regola la fattispecie. In tal caso, nell’accordo possono essere esclusi alcuni lavoraci eccedentari dal passaggio; possono essere concordate condizioni di assunzione ex novo per coloro che passano, invece, alle dipendenze dell’impresa cessionaria (v. Cass. n. 8292/2006).

Orbene, con il primo motivo il Fallimento ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, sul presupposto che l’accordo sindacale, concluso dalle parti interessati nella vicenda traslativa dell’azienda, non avrebbe costituito “materia del contendere”, si da avere – si assume – il primo Giudice ritenuto pacifica la relativa esistenza e validità mentre, al contrario, la Corte territoriale aveva pronunciato la invalidità dello stesso, seppur stipulato nel rispetto delle regole fissate dalla L. n. 428 del 1990, art. 47.

Con il secondo motivo si denuncia motivazione insufficiente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), sostenendosi che la sentenza gravata sarebbe errata perchè non avrebbe indicato la ragione per la quale sarebbe invalido l’accordo sindacale, ancorchè stipulato ai sensi della L. 29 dicembre 1990, art. 47, n. 428.

Entrambi i motivi, da trattarsi congiuntamente perchè strettamente connessi, sono privi di fondamento.

Invero, dalla lettura della impugnata sentenza emerge che il Giudice a quo non ha per nulla pronunciato la invalidità dell’accordo, quanto, piuttosto, ritenuto violati gli obblighi discendenti dall’art. 2112 c.c., in quanto le parti interessate alla vicenda traslativa avevano raggiunto una “intesa generica”, laddove sarebbe stato necessario che l’accordo da esse concluso avesse forza di legge perchè potesse derogare all’art. 2112 c.c..

Ed invero, la Corte di Appello ha riformato la sentenza del primo Giudice, osservando che l’accordo collettivo, in grado di consentire alle parti di attuare la flessibilizzazione relativa degli obblighi, nei confronti dei lavoratori, discendenti dall’art. 2112 c.c., deve essere “idoneo a costituire la norma che regola la fattispecie …”, riespandendosi, in caso contrario, “… con tutta la forza imperativa, la norma dell’art. 2112 cod. civ.”. Pertanto, qualora l’accordo collettivo non sia in grado di operare, “… vuoi perchè privo dei requisiti minimi essenziali per essere definito tale, vuoi perchè non sia in esso neppure chiaramente desumibile … la natura eccedentaria della posizione dei lavoratore non passato alle dipendenze dell’impresa subentrante…” si versa, inevitabilmente, in una situazione che non può essere regolata, per alcuna ragione, dalla norma derogatoria collettiva, sicchè la vicenda traslativa viene a trovare la sua fonte regolatrice nell’art. 2112 cod. civ., con conseguente diritto dei lavoratori di passare alle dipendenze dell’impresa cessionaria, quante volte, ovviamente, nella fattispecie sia individuabile un trasferimento di azienda.

Nella specie – conclude sul punto il Giudice a quo – essendo, tra le parti, intervenuta una “… intesa generica”, l’accordo da esse concluso era sprovvisto di quella forza di legge necessaria ai fini della deroga all’art. 2112 c.p.c..

A sostegno di tale assunto, la Corte territoriale osserva che il suddetto carattere dell’intesa, si ricavava dalla circostanza che nello stesso verbale di incontro si faceva riferimento ad un futuro accordo da stipulare con i criteri di efficienza, economicità e gradualità; ed, ancora, dalla ulteriore circostanza che nel contratto di affitto di azienda, stipulato successivamente, si faceva riferimento alla futura consultazione sindacale prevista dalle L. n. 428 del 1990, L. n. 223 del 1991 ecc., e ad obbligazioni che sarebbero sorte a seguito della rinnovazione dei contratti di lavoro.

Nella specie, dunque – come correttamente puntualizzato nella impugnata decisione – non si pone una questione di un onere di impugnazione dell’accordo concluso da parte del lavoratore, non essendo denunciata la validità di esso, quanto, invece, dedotta semplicemente la sua mancata attuazione.

E sulla base delle svolte considerazioni la Corte d’appello ha coerentemente ritenuto inesistenti gli estremi per ritenere le intese perfezionate con l’accordo del 7 dicembre 2001 idonee a derogare e flessibilizzare gli obblighi discendenti dall’art. 2112 c.c., sicchè, di fronte alla incontestabile vicenda traslativa, costituita concessione in affitto di azienda, si era avuto il passaggio del R. alle dipendenze della Life Hospital S.p.A. senza soluzione di continuità rispetto al pregresso rapporto. Ma il Giudice a quo ha pure aggiunto – e l’argomento non è stato oggetto di impugnazione- che, anche a volere ritenere valida l’intesa del 7.12.2001 in parola, egualmente doveva affermarsi il diritto del lavoratore a passare all’impresa subentrante, non rientrando, in quanto inquadrato nel profilo di “operaio manutentore”, alla stregua dell’intesa stessa, tra i lavoratori eccedentari.

Per quanto precede, non ravvisandosi nella impugnata pronuncia le violazioni ed i vizi denunciati, il ricorso va rigettato, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese in favore del R., nella misura indicata in dispositivo. La peculiare posizione assunta dal Fallimento San Giuseppe nella esaminata vicenda, induce a dichiarare compensate le spese nei suoi confronti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di questo giudizio, in favore di R.R., liquidate in Euro 31,00 oltre Euro 2.550,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA. Compensa le spese nei confronti del Fallimento San Giuseppe S.p.A..

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2011

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